Da Bishkek una macchina ci aveva riportato a sud, a Osh, e da qui al confine con l’Uzbekistan era questione di minuti. Ciò che avrebbe mangiato il nostro tempo però non era il viaggio verso la dogana, ma il passaggio della dogana stessa. Gli ufficiali di frontiera uzbeki si erano creati una certa fama tra i viaggiatori di questa parte di mondo e si parlava di attese lunghe ore per il controllo di dettagli insignificanti. Una serie di regole e leggi rimaste in vita dal periodo comunista tentavano di impedire l’importazione di qualsiasi oggetto di valore, mentre il naso delle guardie era sempre pronto ad annusare l’arrivo di un infiltrato straniero. Come se qualcuno fosse davvero interessato a spiare sull’Uzbekistan.
L’Uzbekistan esiste nella sua forma odierna da quando il suo presidente Islam Karimov lo ha dichiarato un paese indipendente nel 1991, dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Karimov, forzatamente amato dal suo popolo in assenza di qualsiasi altra alternativa, era un’importante membro del Partito Comunista quando questo occupava le poltrone al governo. Dopo il collasso, la sua poltrona è rimasta occupata come se niente fosse accaduto, grazie in particolare ad una per niente sospetta elezione in cui ha raccolto quasi il novanta per cento dei voti. Allo scadere del suo mandato, nel 1996, attraverso un referendum che appare più come un comunicato al popolo, ha esteso la sua carica fino al 2000, anno in cui una nuova elezione gli ha portato il novantuno per cento dei voti. In quest’ultima elezione i cittadini avevano diritto di votare “Sì” per mantenere Karimov al governo, oppure “No” per mandarlo a casa. Tutte le schede bianche valevano come “Sì”, tutte le schede nulle valevano come “Sì”, tutti i “Sì” valevano come “Sì”. Per correttezza, però, anche i “No” venivano conteggiati, con il solo intoppo che, perché un voto negativo fosse valido, questo doveva essere espresso chiaramente, con un pennarello nero, a volto scoperto, di fronte ad una guardia armata un po’ incazzata. Nel 2007 i due mandati di Karimov erano estinti e la legge non prevedeva che un presidente potesse essere eletto per una terza volta. Nello stesso anno Islam Karimov viene rieletto presidente per la terza volta con l’ottantotto per cento dei voti. Nonostante in passato il presidente abbia collaborato con stati occidentali, tra cui gli Stati Uniti, Karimov ha sempre preferito mantenere alte le barriere e tenere, per quanto possibile, le porte chiuse a chi viene da fuori con scopi diversi dal turismo. Nel 2008, delle relazioni con l’estero però, si è occupata una personalità nuova, l’ambasciatrice uzbeka alle Nazioni Unite di Ginevra, Gulnara Karimova, che il caso vuole sia anche la figlia del presidente. Purtroppo la posizione non venne mantenuta a lungo, forse perché l’Uzbekistan ha uno dei peggiori registri per quanto riguarda i diritti umani, soprattutto se si ricorda la storia di Muzafar Avazov e Khuzniddin Alimov che, nel 2002, accusati di far parte di un gruppo di estremisti islamici, furono bolliti vivi come due patate in pentola. Più probabilmente però, Gulnara ha lasciato il suo impiego politico perché una carriera diversa stava occupando la maggior parte dei suoi giorni: con il nome di Googoosha, la figlia del presidente è la più conosciuta pop-star uzbeka, per non dimenticare il suo ruolo di fashion designer. La sua fame di notorietà è stata anche la causa del suo declino, infatti, dopo essere diventata un’imprenditirice di successo, dopo aver raccolto contatti in tutto il mondo, dopo aver accettato una mazzetta da trecento milioni di dollari da una compagnia telefonica svedese per permetterle di entrare nel mercato uzbeko, qualcuno ha cominciato a pensare che potesse essere lei a succedere il presidente. Qualcuno ha cominciato a pensarlo e quindi qualcuno ha cominciato a parlarne, fino a quando lei stessa non si è convinta di avere tra le mani abbastanza potere da potersi scontrare con la sua stessa famiglia. “Non chiamatemi figlia del dittatore” ha detto la Karimova attraverso fonti ufficiali, cioè Twitter. L’ultima volta che qualcuno ha proposto al presidente Karimov di far partecipare un nuovo partito alle elezioni lui ha accettato a condizione che l’instaurazione di questo partito fosse sostenuta da almeno 60.000 firme, specificando in seguito che le firme avrebbero dovuto superare un controllo di validità, che ovviamente sarebbe stato effettuato da lui. Gulnara Karimova, o Googoosha, avrebbe dovuto conoscere suo padre abbastanza bene da sapere che non accetta avversari, ma non riconoscendo i propri limiti è finita agli arresti domiciliari dopo che tutte le sue attività sono misteriosamente fallite.
Un padre che arresta la propria figlia per fini politici è una premessa che porta in qualche modo ad aspettarsi che delle misure un po’ più strette vengano messe in atto nei confronti di chi vuole attraversare la frontiera. Un autobus ci scarica di fronte ad un grande cancello che ci augura buon viaggio in cirillico. I soldati kirghizi ci salutano con pacche sulle spalle dopo averci stampato il passaporto, sventolando i loro fucili al grido di “Roberto Baggio!”, “Milan!”, “Toto Cutugno!”, mentre a pochi metri di distanza guardie immobili ci attendono senza espressione in volto. Non trovando indicazioni mi ero diretto verso quella che sembrava essere l’entrata dei pedoni, separata da quella delle autovetture che se ne stavano in fila a motore spento. Faccio i primi passi attraverso una grande porta metallica, una specie di gabbia aperta alle estremità in cui due piloni di acciaio segnano l’ingresso. Una guardia annoiata mi nota e, dopo averci riflettuto per qualche secondo, si avvicina lentamente. “No, no, no” mi dice senza alzare troppo la voce, con aria scocciata “Voi passate di là!”. “Ma ormai sono entrato”, gli dico, sentendomi rispondere “Va bene, va bene, passa, ma qui radiazioni!”. Come “Va bene, va bene, passa, ma qui radiazioni”? Mi aveva visto arrivare da lontano, sarebbe bastato alzare un dito per indicarmi l’entrata giusta. Invece mi ha lasciato passare attraverso uno RPM per camion e mezzi pesanti, uno scanner installato in molte frontiere di questa regione per controllare il traffico illecito di sostanze nucleari dopo la fine dell’impero sovietico. E adesso mi nascerà un figlio con tre occhi.
Entrare il confine uzbeko è un gioco composto da tante regole confuse che bisogna cercare di rispettare nel miglior modo possibile senza sapere cosa esattamente queste implichino. Su alcune ero preparato, su altre un po’ meno. La prima e più semplice è che non si può uscire dall’Uzbekistan con più soldi di quanti se ne abbiano in tasca al momento dell’ingresso, per evitare che vengano svolte attività commerciali da stranieri all’interno del paese. Essendo il territorio privo di sportelli automatici per il prelievo, è necessario avere con sé tutti i contanti che si ha intenzione di spendere, in dollari americani o Euro che sono le uniche due valute accettate dagli agenti di cambio sul mercato nero. Oltre a dichiarare il denaro posseduto, è richiesto di trascrivere una lista di tutti gli oggetti di valore che si portano con sé. Se si viene trovati ad uscire dal paese con un oggetto di valore che si è dimenticato di inserire nella lista, questo viene interpretato come tentativo di esportazione che, mi sembra scontato dire, non va per niente bene. Cos’è un oggetto di valore? Nessuna descrizione è data, quindi viene spontaneo inserire nella lista ogni singolo bene che si vuole evitare venga sequestrato. “Cos’è una Goooo…Pro, signore?” mi chiedeva una guardia annoiata scorrendo il dito sul mio elenco, “Una videocamera, capo”. “Sei un giornalista?” mi viene chiesto di conseguenza, “No, non sono un giornalista, capo”, “E allora perché hai una videocamera? Cosa riprendi?”, “Volevo dire una fotocamera capo, faccio le foto, sono un turista”. Avevo cercato di evitare ulteriori domande nel modo meno convincente che mi era saltato in mente. La guardia mi aveva osservato per qualche secondo dicendo “Avanti!”. Era l’ora di pranzo. La cosa che mi era stata detta, ma che mi ero dimenticato, era che agli ufficiali di dogana uzbeki non piacciono molto le fotografie e le riprese video e può accadere che sfoglino migliaia di immagini nella speranza di trovare qualcosa di sospetto. Dopo aver consegnato la lista dei miei preziosissimi possedimenti – un portatile ed una minima attrezzatura fotografica – alla prima guardia, ho proseguito verso il nastro su cui sarebbe dovuto passare il mio zaino. Un imprenditore coreano era in fila prima di me e non sembrava nuovo alla procedura “Solo vestiti, solo vestiti”, diceva sbruffando prima ancora che qualsiasi domanda gli fosse posta. Passato il mio zaino dallo scanner sotto gli occhi di due ufficiali stanchi di osservare colori fluorescenti tutto il giorno, vengo indirizzato verso un tavolo, in cui un altro uomo in uniforme mi chiede di tirare fuori il computer. “Hai foto o video?”. Il problema non era tanto che avessi immagini incriminanti all’interno del portatile, ma piuttosto che avevo raccolto nella sua memoria circa quarantanovemila tra scatti e riprese video, una collezione che raccontava gli ultimi quattro anni e mezzo della mia vita fuori dall’Italia. Non so se avevo più il terrore di passare il resto della giornata a guardare ogni singolo file oppure quello di consegnare l’hard disk alla guardia con il rischio di veder scomparire i miei ricordi in un qualche incidente. “Solo qualche foto, capo” avevo risposto, “Vediamo” mi sono sentito dire. Avevo una cartella con una cinquantina di immagini recenti ed ero riuscito a spingere l’uomo ad aprirla trovandosi di fronte a noiose fotografie di montagne e cavalli kirghizi. “Niente video?” mi era stato chiesto, “No, capo” avevo ribattuto sperando che passasse inosservata la cartella “VIDEO” al centro del desktop. Stufo di perdere tempo con me, la guardia sembrava avvicinarsi per riconsegnarmi il computer, quando sottovoce mi sento dire “E… Pornografia?”. Ti piacerebbe.