Antonio Ingroia-bersaglio-mafia
Apprendiamo dalla stampa che il sostituto procuratore antimafia di Palermo, Antonio Ingroia, a partire dal prossimo autunno, quindi quasi con effetto immediato, si trasferirà in Guatemala per lavorare, su proposta delle Nazioni Unite, come capo dell’unità di investigazioni e analisi criminale contro l’impunità. Lascerà, ne consegue, le sue carte scottanti sulla trattativa tra Stato e mafia e per un anno si occuperà d’altro.
Dài oggi e dài domani, gli attacchi contro una delle migliori figure professionali della magistratura italiana, l’ultimo quello del sedicente giornalista Cangini, che lo ha definito il “magistrato dell’iperbole”, hanno lasciato il loro segno. Una lacerazione profonda provocata da una sottile azione continua di isolamento e di diminutio della stessa personalità del magistrato che invece ci appare come il migliore interprete della professionalità messa in campo dal suo maestro Paolo Borsellino. Lo ha seguito da sempre come un vero allievo imparandone tecniche e modalità di azioni concrete, dentro una visione nuova e moderna dei fenomeni criminali odierni e della reale pericolosità di Cosa Nostra oggi e della sua evoluzione storica dentro lo Stato. A partire dagli anni di Portella della Ginestra, per arrivare alla mafia degli ambulacri dei Palazzi romani di oggi. Lo hanno accusato di sostituirsi agli storici, di fare politica, di predicare sventure, di essere esagerato, di avere le traveggole, e di avere non si sa quanti altri attributi che ne fanno il magistrato più aggettivato del mondo.
Ma ci spiegano i sociologi che l”aggettivazione” è una delle fasi del processo emarginativo di un individuo ed è fuori discussione che qualcuno da tempo impieghi il suo tempo a costruire l’additamento dell’emarginando. Fino all’esito finale del presidente della Repubblica che punta il dito sui magistrati di Palermo. Non ci stupisce, quindi, che Ingroia, ma – supponiamo – anche i colleghi che lavorano con lui, si sentano minacciati.
Ci potrebbero confortare due cose: il tempo limitato ad un anno della sua lontananza; l’alto riconoscimento del magistrato da parte di un organo come le Nazioni Unite. Ma gli italiani, nella loro storia, sono ormai scafati. Sanno che cosa vuole dire ‘promuovere’. Anche Falcone fu allora ‘promosso’. E i latini, nostri antenati, duemila anni fa, ci ammonivano e dicevano a proposito di certe promozioni che toccavano qualche personaggio scomodo: “Promoveatur ut admoveatur”, promuovere per spostare ad altra sede e togliersi così dai piedi un importuno, uno che risulta disorganico, che non canta nel coro. Anzi si mette fuori dal coro e lavora con passione professionale straordinaria, seguendo solo le sue conoscenze e la sua coscienza. Virtù rara ai giorni nostri.
Per questo abbiamo dei dubbi che un combattente per la democrazia e per la Costituzione come Ingroia, possa ritornare, dopo l’esperienza guatemalteca, al suo posto di lavoro. L’Italia è una terra troppo amara anche se bella.
Ma noi vogliamo sperare che tutti i cittadini onesti e liberi del Bel Paese possano fare sentire la loro voce di sostegno, ammirazione e solidarietà a un magistrato che, come raramente è accaduto in passato, ci ha fatto sentire come già aveva fatto Borsellino, la sua forza umana, il suo sogno di una terra più libera e civile. Perchè tutto quello che di buono si fa, in questo nostro disgraziato Paese, non sia invano.