Dietro l’appellativo Pavlove, che rende omaggio al cane del famoso psicologo russo, si cela un attento fotografo. La cosa altrettanto interessante è che ha dato vita a un bellissimo progetto visivo iniziato nell’ottobre 2009 a Milano, città dove l’inventiva spesso si trasforma in lavoro. Pavlove ha ritratto giovani creativi nel loro habitat naturale e gli ha chiesto di posare per lui con gli occhi chiusi, realizzando così qualcosa di silenzioso, qualcosa di immobile, tremendamente intimo. Abbiamo scambiato due chiacchiere con lui per scoprire qualcosa in più su Inneres Auge.
Ciao Pavlove, come ti sei avvicinato all’arte?
Non credo di essermi mai avvicinato realmente all’Arte in senso lato. Mi avvicino alle cose che mi interessano, che poi sia un quadro di Picasso o un piatto di carbonara questo è un altro paio di maniche.
Parlaci del progetto fotografico Inneres Auge e raccontaci come è nato.
L’idea di Inneres Auge nasce nel 2009 a Berlino, città dove ho vissuto stabilmente per quasi due anni. La fotografia e l’arte passavano quotidianamente davanti ai miei occhi. Osservavo molto e producevo poco. Una marea di input quotidiani che raccoglievo nella mia testa. Inneres Auge nasce poi concretamente alla fine di questo periodo una volta tornato a Milano. È stato una necessità. Volevo raccontare una storia e trovare un filo conduttore.
Come mai hai scelto di ritrarre artisti con gli occhi chiusi?
La verità è che l’idea di “chiudere gli occhi” agli artisti è nata per caso quando uno di loro dopo aver inizialmente accettato di farsi ritrarre aveva cambiato idea per timidezza, gli chiesi allora di provare a chiudere gli occhi. Il suo volto, teso e nervoso, cambiò completamente espressione. Bingo. Eliminare gli occhi significa inoltre costringere chi guarda le foto a soffermarsi su altri dettagli, quelli dell’ambiente circostante ad esempio.
È stato difficile metterti in contatto con loro?
Il lavoro è nato in maniera naturale, all’epoca collaboravo con O’, un bellissimo spazio che promuove l’arte contemporanea a Milano. Ero in contatto con artisti sempre nuovi. Sono stati loro le mie prime cavie. Altri invece mi hanno snobbato pentendosene dopo, quando era troppo tardi. Non torno indietro, è un processo a direzione univoca.
Come hanno reagito stilisti, fotografi, attori, musicisti, designer di fronte alla tua richiesta?
Ci sono state le reazioni più disparate. Ma rimane di base un bellissimo atto di fiducia nei miei confronti. Molti di loro non conoscevano la mia reale identità.
Cosa vuoi comunicare attraverso questo progetto?
Inneres Auge è tante cose. È un gioco, un esercizio di stile, una ricerca sociologica, la foto è solo l’ultimo step di un lungo percorso, alcune sono state scattate svariati mesi dopo i primi contatti con l’artista. Mi piaceva l’idea di fermare dei momenti. Degli attimi dalla durata infinita.
Ci hai accennato l’uscita di una curiosa applicazione scaricabile dall’Apple Store, di cosa si tratta?
Inneres Auge in collaborazione con un duo torinese chiamato Stream Hand Studio è diventata un Application scaricabile per smartphone. Ci piaceva pensare il progetto come un lavoro fruibile anche su altre piattaforme comunicative. L’application permetterà a chi la scarica gratuitamente di conoscere a fondo gli artisti fotografati con informazioni più approfondite.
Altre foto di Inneres Auge sul sito personale di Pavlove www.pavlove.net