La Procura ha aperto una particolare inchiesta riguardante il rogo della Città della Scienza. Attualmente l’unico indagato è il custode, anche se l’indagine non esclude la cooperazione con altre persone, probabilmente provenienti dal mondo della camorra e della criminalità organizzata.
Chi appiccò l’incendio quella maledetta notte del 4 Marzo, conosceva bene gli orari della struttura che, di lunedì, manteneva aperto solo il laboratorio di teatro per un paio d’ore al massimo. Sia nel primo che nel secondo attentato gli autori conoscevano meticolosamente ogni particolare, le abitudini dei ragazzi (fuori dal laboratorio massimo per le nove di sera) così come la presenza di una solo telecamera puntata sulla spiaggia. Anche a queste domande dovrà rispondere il custode per spiegare come mai gli attentatori fossero a conoscenza di tanti particolari.
Il procuratore di Napoli, Giovanni Colangelo ha scritto che, dalle comparazioni e dalle indagini effettuate, è emersa un’azione congiunta dell’atto criminoso. Le fiamme si sono sviluppate da quattro punti diversi della zona (cosparsi di benzina). Questi particolari fanno quindi pensare che, con molta probabilità, il custode non avrebbe mai potuto fare tutto da solo. E proprio l’azione simultanea di più attentatori ha fatto sì che lo Science Center bruciasse in pochissimi minuti.
La Procura, al momento, contesta al custode anche l’aggravante del metodo mafioso, ma sono tanti, troppi, i dubbi sul perché di quell’incendio. «Faccio fatica a credere che si tratti di un fatto di camorra», disse il 12 marzo 2013 il magistrato Raffaele Cantone. E Vittorio Silvestrini sostiene da sempre che «la decisione di spostare qui il porto turistico ha cambiato qualcosa, siamo diventati fastidiosi».