Insciallah: guerra, amore ed entropia a Beirut

Creato il 25 settembre 2013 da Siboney2046 @siboney2046

«”Hai tradotto in romanzo l’equazione di Boltzmann”. L’equazione è S = K ln W. Entropia (Caos) uguale costante di Boltzmann moltiplicata per il logaritmo naturale delle probabilità di distribuzione. Ludwing Boltzmann, il fisico austriaco morto suicida nel 1906, l’ha enunciata cent’anni fa introducendo nella termodinamica i metodi della statistica e sostenendo che il Caos è la tendenza ineluttabile e irreversibile di tutte le cose: dall’atomo alla molecola, dai pianeti alle galassie, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande. Ha uno scopo esclusivamente distruttivo e se tenti di combatterlo, di mettere ordine nel disordine, anziché diminuire aumenta. Di conseguenza, il suo traguardo finale è la distruzione, anzi l’autodistruzione dell’universo».
(Nota dell’editore a Insciallah di Oriana Fallaci)

Io leggo abbastanza, leggo molti romanzi, di generi ed autori diversi e facendo relativamente grandi numeri e, sebbene prediliga i classici senza tempo, non è così frequente che incappi in grandi capolavori (per i miei personalissimi gusti). Non è il caso di Insciallah, romanzo del 1990 di Oriana Fallaci, che per me è un libro semplicemente immenso.
A comprova della mia eterna convinzione che per scrivere bei Libri ci vogliano anni ed anni, lei ne ha impiegati cinque a scriverlo e tre diverse stesure per arrivare a quella finale, quella che verte tutta attorno al concetto di entropia. L’entropia è la tendenza dell’essere alla distruzione, un cammino irreversibile verso la fine.

Angelo, un incursore dell’esercito italiano a Beirut laureato in matematica, è ossessionato dalla ricerca della formula della vita che, nel suo pensiero, si deve necessariamente contrapporre alla formula della morte, rappresentata dalla Legge di Boltzmann. La formula della vita è il  fil rouge del romanzo che vede coinvolti numerosi personaggi dell’esercito italiano perfettamente caratterizzati sia da un punto di vista psicologico che linguistico (ognuno proviene da una differente regione d’Italia per cui parla nel suo dialetto di origine), oltre che alcuni libanesi le cui vite si intrecciano con quelle dei militari italiani. Le vicende partono dall’attentato kamikaze che colpisce le basi americana e francese, mietendo uno spropositato numero di vittime, e proseguono con il continuo e costante terrore dei soldati italiani che sanno che il terzo attentato previsto è in serbo per loro anche se non si sa quando.

È un romanzo intriso  di una violenza inaudita, quella che solo chi ha vissuto la guerra può comprendere appieno. Leggendo l’orrore è stupefacente, ma penso non sia nulla rispetto a quello che può aver provato chi in situazioni simili si è trovato per davvero. Oggi è facile giudicare chi sceglie la professione del soldato, ma allora la leva era obbligatoria e molti dei personaggi coinvolti evidenziano come quella non sia stata una loro scelta e come traumaticamente la vivano. Personalmente non mi sento di giudicare che sceglie volontariamente questo percorso di vita e penso che sia più biasimevole chi condanna a priori senza cercare di capire le motivazioni di una scelta simile, piuttosto di chi la compie. Oriana Fallaci è stata spesso accusata di essere una guerrafondaia e questa accusa mi sembra tanto ridicola dopo aver letto un libro come questo, dove il suo disgusto per la guerra è tanto palese.

Ma non è semplicemente una storia sugli orrori della guerra, è anche una vera e propria dichiarazione d’amore alla vita, anzi all’amore. In questo post di qualche settimana fa avevo riportato una citazione del libro che non tutti, suppongo abbiano capito appieno. Questa riflessione è contenuta in una delle lettere d’amore più belle che io abbia mai letto, quella di Ninette, l’unico personaggio femminile di rilievo nel romanzo, che, forse, rappresenta la chiave di volta della storia. Ninette è una misteriosa donna libanese innamorata di Angelo che però non prova nulla per lei al di là dell’attrazione fisica, finché non riceve appunto la meravigliosa lettera d’amore, quando pero è troppo tardi. «Ma allo stesso modo in cui non si può amare un morto in eterno, non si può amare in eterno chi non ci ama. E da oggi non ti amo più, non ti voglio più» scrive Ninette, affrancandosi dalla schiavitù di un amore non corrisposto semplicemente perché non compreso. La potenza di questa lettera e di tutto il personaggio di Ninette è tanto travolgente quanto lo sono gli effetti dei bombardamenti su Beirut: lascia un segno indelebile nell’animo di chi legge, purché abbia gli occhi aperti per capire.

Lo stile della Fallaci è come sempre forte, tenace, quasi maschile. Racconta i fatti duri e crudi senza imbellettare, senza edulcorare, senza apporre fronzoli superflui, trasmettendo con il suo scrivere un po’ della sua straordinaria esperienza da reporter di guerra, di una che ha vissuto i combattimenti dalla prima linea, per cui ha un carattere forgiato nel ferro. Tuttavia, al contempo, resta una donna, con la sua delicata sensibilità, e riesce a regalare tenerezza anche nei momenti più insospettabili. In tutto ciò ed in molto altro sta la grandezza di questo romanzo, ottocento pagine di amore, vita e morte, scritte da chi queste tre cose le conosceva molto bene.

Da leggere, nella maniera più assoluta. Specialmente da chi la biasima, spesso senza conoscerla.

«La morte d’un amore è come la morte d’una persona amata. Lascia lo stesso strazio, lo stesso vuoto, lo stesso rifiuto di rassegnarsi a quel vuoto. Perfino se l’hai attesa, causata, voluta per autodifesa o buonsenso o bisogno di libertà, quando arriva ti senti invalido. Mutilato. Ti sembra d’essere rimasto con un occhio solo, una gamba sola, il cervello dimezzato, e non fai che invocare la metà perduta di te stesso: colui o colei con cui ti sentivi intero»
(Oriana Fallaci, Insciallah, 1990)


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