“Finalmente! L’aspettavo, sa? Ero certa che sarebbe venuta! “
Una voce cristallina mi accoglie mentre varco la soglia di un antico palazzo della mia città.
È un caldo pomeriggio di maggio. Passo dal bagliore della luce sull’asfalto della via del centro alla penombra del chiostro, e non riesco subito a darle un volto.
Ma è proprio Elisabetta!
Segue un abbraccio avvolgente, come tra vecchie amiche che si sono viste anche solo il giorno prima.
In realtà, Elisabetta è una mia ex alunna e ci incontriamo dopo ben diciassette anni! Non c’eravamo completamente perse, ma nulla più di qualche contatto su Facebook .
Diciassette anni! Ci guardiamo … il passato non sembra essere tale, il saluto affettuoso testimonia di un bel rapporto che è ancora il presente, nonostante il tempo trascorso.
È il suo giorno, la presentazione del suo primo libro Sarebbe più interessante parlare di Angelica. È emozionata e felice; i suoi occhi sorridono mentre ringrazia e stringe mani.
Arrivano in molti per condividere con lei la gioia di un sogno realizzato.
Io mi sento chiamare da più parti.
“Ma dai!”, “Guarda chi c’è!”, “Quanto tempo!”, anche per nome, persino con un “Ciao prof!” che non ha prezzo.
Compagne e compagni di scuola di Elisabetta, tutti passati “sotto le mie grinfie”, come sottolinea qualcuno ridendo. Un pizzico di nostalgia al ricordo del periodo del Liceo, della mia materia “nonostante i quattro! (“Quanti ne abbiamo presi!” esclama un coretto; “Ma quanti ne ho dati!?” replico con una battuta), poi tante, tantissime risate e un’atmosfera stupendamente cameratesca.
Alcuni m’informano con soddisfazione sul loro lavoro; altri mi presentano la famiglia e mi fanno trastullare un pargoletto.
Momenti fantastici!
Ora i riflettori sono per Elisabetta.
È disinvolta mentre illustra la sua raccolta di racconti
Elisabetta Croce – Sarebbe più interessante parlare di Angelica
Accanto a lei, Chicca e Silvia che le rivolgono domande e leggono alcune pagine del libro.
Elisabetta al centro. Silvia e Chicca ai lati.
Palazzo Fodri – Cremona
Spiega com’è nato il progetto: la vittoria a un concorso letterario e da qui la spinta a narrare altre storie, inventare personaggi e creare nuove vite.
Davvero un bel pomeriggio … per avere ritrovato le “mie” ragazze e i “miei” ragazzi ormai adulti realizzati nei loro obiettivi professionali, personali e affettivi.
Ci lasciamo in allegria programmando nuovi rendez-vous.
Mi avvio verso casa. È quasi sera. Pedalo tranquillamente in bicicletta per le vie della città, respiro profondamente l’aria più fresca e sorrido soddisfatta.
“E con Carlotta … sono due!“, mi sento decisamente orgogliosa. Di loro, ovvio, ma anche di me.
Non è mancanza di modestia, piuttosto la consapevolezza di avere insegnato con la volontà di essere superata da loro, con il desiderio di imparare sempre di più grazie ai loro stimoli, con il proposito di non addestrarli a un mestiere ma di fornire loro gli strumenti per cercarlo e poi trovarlo; e oggi, infine, la certezza che non mi hanno subìta.
Soddisfatta, ripeto, per la conferma dell’idea di scuola che, insieme ad altri bravissimi colleghi, ho sempre sostenuto, testardamente, anche tra alcuni ostacoli.
Insegnante esigente? Ebbene sì, lo ero, ma (mi si perdoni l’accostamento) come un genitore, comunque un educatore, cui importa molto della crescita culturale e umana dei propri figli.
Non ho mai creduto alla figura del prof/compagno che si atteggia a “gggiovane” nel linguaggio e nel comportamento per guadagnare consenso. Anzi, basare il rapporto con gli studenti su questa finalità è già partire con il piede sbagliato. Se deve proprio esistere un “progetto di conquista”, è semmai quello della loro stima e non della loro amicizia. Il feeling non si nutre solo di simpatia.
Perché nel nostro conversare durante il pomeriggio sono emersi ricordi dei “due” o dei “quattro” ricevuti al Liceo (non solo da me, eh!…) e non degli “otto” elargiti con tanta generosità? Perché, ancora, farmi notare “Ti ricordi, prof, quando in quell’interrogazione mi hai dato la sufficienza?” citandone addirittura l’argomento?
Gli studenti non dimenticano, soprattutto capiscono. Sanno assolutamente valutare la competenza e l’autorevolezza di chi hanno di fronte, l’onestà intellettuale di chi, con molta chiarezza, a una particolare richiesta risponde con tranquillità “Non so, m’informo, poi ne parliamo”; sono perfettamente in grado di riconoscere chi li rispetta pur nei richiami, capaci di distinguere la svogliata indifferenza di un disinteressato lasciar correre e l’intervento puntuale, attento, anche severo per il loro bene.
Soddisfatta, quindi, e lo ripeto ancora, non per me bensì per un concetto di scuola e d’insegnamento la cui essenza è la condivisione, che non significa appiattimento.
E questo è il premio della giornata, ma non solo …
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