Viviamo nel 2012 e io la farei più breve su quanto accaduto in Louisiana: si chiama razzismo. Poi che siano stati tre appartenenti al Ku Klux Klan o tre coglioni in cerca di cattiva fama cambia qualcosa?
Come insegna Luca Sofri, dato il ruolo che ricopro all'interno del magazine per cui lavoro, T-Mag, ho chiesto espressamente ai colleghi di evitare commenti o analisi prima di una eventuale conferma che, giustappunto, non è arrivata. Mi accodo a Mario, in qualche modo, anche se lui si concentra su altro alla fine. Sofri sostiene che sia una bella cosa che il Corriere della Sera si avvalga di uno strumento quale Factchecking per verificare la veridicità delle notizie; sono d'accordo. Ma va meno bene quando si ha la pretesa – e le continue sviste lo testimonierebbero – che sia l'unico mezzo possibile. E il controllo prima della pubblicazione cos'è, un optional? Abbiamo lasciato correre troppo a lungo un certo modo di fare giornalismo per cui è concorrenza inseguire le “notizie” degli altri – poco importa se rispondono o meno ai criteri di notiziabilità, conta semmai l'effetto domino – piuttosto che argomentare, e nel caso replicare, ciò che afferma la testata “x”. Una sorta di controinformazione, ma non nella sua accezione negativa. Che poi vuol dire semplicemente proporre un sano giornalismo. È possibile?