Alessandro Bilotta è nato a Roma il 17 Agosto 1977.
Già giovanissimo si avvicina al mondo del fumetto e nel 1999 insieme con altri colleghi fonda la Montego. Per quest’ultima, scrive tra le altre cose, La Dottrina, una delle collaborazioni più importanti con il disegnatore Carmine di Giandomenico. Arriva alla Bonelli con alcuni soggetti per Martin Mystere per poi passare a Dylan Dog e Dampyr. Per Star Comics ha creato e sceneggiato tutta la serie dedicata a Valter Buio. Ha pubblicato anche in Francia per diversi editori tra cui Les Humanoïdes Associés, Editions Delcourt e Vents d’Ouest. Nel 2010 Valter Buio vince il Premio Romics/Repubblica XL come “Personaggio italiano dell’anno” e nel 2014 l’autore conquista il Premio Anafi come “Miglior Sceneggiatore”.
In Cronache del pianeta dei morti ci porti in universo alternativo in cui un Dylan sofferente e sconfitto si trova a dover fare i conti con i propri sensi di colpa per aver dato inizio all’epidemia zombie. Come hai concepito la storia?
All’origine di questa idea c’è il pensiero che inserire Dylan Dog in estreme condizioni esistenziali e pratiche, avrebbe visto necessario spingersi fino all’estremo anche con il racconto di grandi temi. Questo era ed è quello che principalmente mi interessa.
Come mai hai deciso di creare un universo molto più cupo e soprattutto un Dylan molto più amareggiato dell’originale? Quanto è stato difficile caratterizzare Dylan Dog senza svilire il personaggio?
Penso che la mia unica grande fonte di ispirazione siano state le storie di Tiziano Sclavi del Dylan Dog originale. Il mio obiettivo, seppure la vicenda sia ambientata quindici anni nel futuro, era di dare al lettore la sensazione di leggere qualcosa che attingesse a piene mani dalla storia del personaggio.
Quali problemi hai avuto nella gestione dei personaggi secondari? E come hai deciso il ruolo per ciascuno di essi? Mi riferisco alla gestione di Bloch, Groucho e Bree…
Nel caso di Groucho e di Bree è eccessivo parlare di gestione dei personaggi, perché il primo è praticamente assente e la seconda è solo un personaggio che porta il suo stesso nome, ma che ha un carattere opposto. L’obiettivo è di creare una nuova serie a tutti gli effetti, con nuovi scenari e comprimari, vorrei evitare di fare la sfilata dei personaggi storici invecchiati, un gioco di sicuro fascino, come è stato per Bloch, ma anche un po’ facile e alla lunga poco interessante, soprattutto per i lettori.
Inizialmente Il pianeta dei morti doveva essere un’unica storia. Come mai è stato deciso di continuare a lavorare sull’universo alternativo da te creato?
Semplicemente per il risconto di pubblico che ha avuto quella storia.
Disegno di Carmine di Giandomenico
Quale sarà il ruolo dell’Old Boy nella seconda fase del rilancio della testata Dylan Dog? Si è più volte parlato del ruolo de Le cronache del Pianeta dei morti che occuperà di fatto le pagine del nuovo Speciale. Le storie saranno scritte solo da te? Ci puoi dare qualche indiscrezione riguardo ai disegnatori che sono stati scelti per le prossime storie?
Le cronache del pianeta dei morti sarà una serie annuale che prenderà il posto di quello che un tempo era lo Speciale. Per il momento abbiamo realizzato la prima storia, scritta da me e disegnata da Giampiero Casertano. Se lui lo volesse, non mi dispiacerebbe se disegnasse anche la seconda.
Parlaci del volume Bao. Da quali storie è composto e quali contenuti speciali vi troviamo dentro? Perché la scelta di inserire in ordine cronologico inverso le tre storie?
All’interno del volume ci sono le mie introduzioni alle tre storie, le riflessioni generali scritte anche dai tre disegnatori e il loro materiale di studio per realizzare quel mondo. Le storie sono in ordine inverso perché è l’ordine con cui sono state pubblicate e si sviluppano, ovvero dalla fine. In una bella recensione di Marcello Bertonazzi ho letto che, secondo lui, questa soluzione aumenta ancora di più il senso di disperazione e il pessimismo che si respira nelle pagine. Si arriva all’ultimo racconto con rassegnazione perché la sola cosa che possiamo fare è assistere impotenti alla nascita inesorabile degli eventi. Direi che è una considerazione in cui riconosco i nostri obiettivi.
Disegno di Paolo Martinello
Tavola tratta da “Il lato oscuro della luna” disegni di Matteo Mosca
Tra le tematiche che traspaiono dalle tue storie, una di quelle a te più care è sicuramente l’abbandono e l’incapacità dei tuoi personaggi di accettare e provare ad andare avanti: lo si può vedere ne “Il lato oscuro della luna” ma anche in tutta la serie di Valter Buio. Da cosa deriva questa tua “ossessione” verso l’abbandono, molto spesso quello amoroso?
Un tema che sento molto vicino è la solitudine, e l’abbandono è una delle strade che portano a questa condizione. Ma penso che in realtà siamo sempre soli, nelle nostre scelte, nelle azioni, nei momenti più alti che la vita ci pone difronte. Per quanto cerchiamo aiuto, confronto e affetto, siamo soli. E questa condizione rende l’essere umano un eroe, senza bisogno che s’introduca in un grattacielo per salvare degli ostaggi. Questo eroismo dello stare al mondo è quello che in buona sostanza mi interessa raccontare.
Considerando il bisogno di ritrovare l’originalità in parte perduta e la necessità di riappropriarsi dell’enigmaticità che contraddistingueva le storie di Tiziano Sclavi, pensi che una testata come Dylan Dog abbia bisogno di sviluppare più multiversi alternativi?
No, non penso che una cosa del genere abbia mai portato fortuna a nessun personaggio, in particolare a quelli americani che hanno creato questo genere di racconto e a cui immagino tu ti riferisca.
Copertina di “Nobody” decimo numero de “Le Storie”
Il revisionismo di cui impregni la tua saga dedicata al Dylan del futuro viaggia di pari passo alla pubblicazione delle storie: alle volte addirittura ammiccante nella prima, con il mostrare il maggiolino distrutto, Dylan che ritrova la sua “uniforme” classica, il rapporto con la Morte, intesa come personaggio del cast; poi sempre più disperato con la pubblicazione delle storie precedenti, in cui tiri in ballo forse i problemi più delicati dell’indagatore dell’incubo: l’alcolismo e il rapporto con la sua spalla Groucho. Era già nelle tue intenzioni iniziali dare questa strada alla tua saga?
Per ogni storia che scrivo, in genere ho un numero in eccedenza di idee, tutte non possono mai entrare e a malincuore ne sacrifico sempre molte. Nel caso del Dylan Dog del futuro ne avevo quante mai prima, fermentate in vent’anni di letture e ragionamenti sul personaggio. Quando si è trattato di proseguire la saga, ho potuto recuperarne molte di quelle che non ero riuscito a utilizzare nella prima storia di trentadue pagine.
Sei tra gli autori più attivi e apprezzati sulla collana “Le storie”. Ritieni che questo esperimento sia quello che in questo momento possa darti più soddisfazioni e attenzioni in casa Bonelli?
Ideare personaggi e mondi mi è sicuramente molto congeniale. Penso che sarebbe un peccato non continuare a sfruttarmi in questa direzione. Anche perché mi interessa scrivere un genere di storie e di personaggi che gli altri
A proposito di Valter Buio, di cui si vociferava di una possibile continuazione, c’è ancora la possibilità di vederlo di nuovo in edicola oppure ritieni che il personaggio abbia esaurito il suo ciclo? Sono previsti albi speciali?
Stiamo lavorando per realizzare nuove storie, ma è ancora presto per parlarne. Penso che il personaggio avesse e abbia ancora qualcosa da dire, ma è necessario mettere anche i personaggi nelle condizioni che qualcuno li ascolti.
Quali nuovi progetti hai in ballo? Ti stai concentrando solo sulle storie del nuovo ciclo di Dylan oppure ha in cantiere qualche progetto extra Bonelli?
A parte tutto quello che abbiamo già accennato e al lavoro su Le Storie, sto scrivendo “Arturo Klemen”, una serie per la rinata Splatter, disegnata da Sergio Ponchione e sto proseguendo “Corsari di classe Y”, la mia serie per Il Giornalino, disegnata da Oskar.
Intervista realizzata via mail nel Luglio 2014