Abbiamo chiesto ad alcuni economisti che cosa pensano della decrescita. È compatibile con l’uscita dalla crisi e con l’aumento dell’occupazione? Nei giorni scorsi ha risposto Luigino Bruni. Prossimamente risponderanno Pierluigi Porta e Marco Dardi. Oggi:
Risponde Mauro Gallegati, Università Politecnica delle Marche
con la collaborazione di Raffaella Rose (Istat)
Per uscire dalla crisi sembra esistere una sola possibilità: crescere, ovvero aumentare il PIL.
Speriamo non sia così. Vediamo perché.
È stato calcolato che, se la popolazione mondiale consumasse al ritmo di quella statunitense, avremmo bisogno di risorse pari all’utilizzo di altri 5 pianeti come la Terra (http://www.footprintnetwork.org/). La stessa prospettiva di un aumento indefinito delle potenzialità tecnologiche è un concetto che non turba la mente degli economisti tradizionali. Del resto, ricorda Kenneth Boulding: “chiunque creda che una crescita esponenziale possa durare sempre in un mondo finito, o è un folle o un economista”. I miliardi di abitanti del pianeta finora esclusi dalla crescita del PIL lo dovranno essere anche nel futuro per permettere a noi fortunati di continuare a consumare anche per loro.
La crisi del 2007 si può leggere in una duplice prospettiva: da una parte una crisi economico-finanziaria, se non una crisi strutturale del sistema economico; dall’altra, una crisi ambientale. Dalla prima, presto o tardi, usciremo (magari con sacrifici finanziari per salvare le banche): ma dalla seconda?
Ciò che occorre, a nostro parere, è inventarsi un nuovo e diverso modo di vivere, di popolare questo pianeta, di interagire con esso e tra di noi.
Questo nuovo modo, questa metamorfosi, potrebbero essere scelti ma molto più probabilmente, visto l’ossessionante mantra della crescita, tra l’altro senza colori per aggettivarla (green o blu), ci saranno imposti, malthusianamente imposti. L’uomo, poiché ha conoscenza del funzionamento dei sistemi viventi, delle reti trofiche, potrebbe finalmente prendere coscienza di non esserne solo osservatore, ma di farne profondamente parte, al pari di batteri e bradipi, di farfalle e sule, e in base a questo, e contrariamente da loro, decidere il da farsi.
Dalla crisi finanziaria in qualche modo si riuscirà ad uscire, ma i quattro quinti della popolazione mondiale rimarranno in uno stato di “povertà”. Si è calcolato che se il PIL prodotto oggi dal pianeta venisse distribuito in parti eguali all’intera popolazione mondiale, ci sarebbe un reddito pro-capite (in parità di potere d’acquisto) di 400$ al mese. Se però la distribuzione del reddito fosse identica all’attuale, avremmo che meno di un miliardo e mezzo di persone vivrebbe con 1600 $ al mese e 5.5 miliardi con 200 $ (la soglia di povertà relativa sarebbe di poco superata).
Ciò che dovremmo perseguire quindi non è una decrescita seppur felice del PIL, ma una decrescita qualitativa, un modello di sviluppo non più basato sul Pil, ma sul benessere; che indirizzi la spesa in R&S (ricerca e sviluppo) verso produzioni del “futuro” (come l’impatto ambientale zero, l’energy saving e la dematerializzazione dei beni). Dove si lavori meno, si distribuiscano più equamente le risorse ed i redditi.
Concludiamo: crescere tutti non si può. D’altra parte, escludere quasi tutta la popolazione del mondo dalla vita nemmeno, e neanche riprodurre il nostro modello di vita (o consumo). Voci alternative si stanno alzando: dal Buthan con la Felicità interna lorda (FIL) o l’Ecuador col buen vivir. Occorre ripensare a come vivere, perchè consumare senza pensare alle conseguenze di ciò, equivale a rubare la speranza a noi tutti e alle future generazioni.