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Insulto, no grazie!

Creato il 12 febbraio 2014 da Patuasia

Riceviamo dal signor Fabio Protasoni e volentieri pubblichiamo.

Il livello degli insulti, delle offese e delle sceneggiate plateali che ammorbano la politica di questi ultimi tempi non ci indignano più. E’ triste ma ci stiamo abituando. Che siano le aule parlamentari o i consigli regionali e comunali oppure le piazze virtuali dei social network lasciate senza moderazione o dei talk-show televisivi è ormai è una consuetudine passare dal confronto alla demagogia e alla prevaricazione fino all’offesa senza soluzione di continuità. Vorrei fare due considerazioni sulle quali sarebbe, a mio parere, utile riflettere. La prima riguarda la strumentalità di chi alimenta tensioni e violenza. Dietro certi linguaggi e lo sdoganamento di stili e comportamenti che si vogliono far passare come giustificabili, c’è un bieco interesse elettorale. In troppi, non solo politici, pensano che questo sia un modo per intercettare e capitalizzare politicamente la rabbia della gente, le angosce e la paura per il futuro che derivano dalla crisi economica. E allora invece di proporre soluzioni e operare per realizzarle cercando alleanze e strumenti concreti si preferisce soffiare sul fuoco. Ma la violenza porta solo altra violenza e il discredito che genera sulle istituzioni e sulla democrazia ci toglie spazi e opportunità per uscire da questo tunnel. Seghiamo il ramo su cui tutti (e sottolineo tutti) siamo seduti e il risultato concreto è l’immobilismo e il rafforzamento di “altri” poteri ed “altri” interessi. La seconda considerazione è relativa ai “particolari” bersagli degli insulti: le donne. Dal ministro Kyenge alla Presidente Boldrini, dalle deputate del Partito Democratico fino alle donne che ancora, con la doppia fatica della famiglia e dell’impegno civile, credono nella militanza e nel volontariato politico assistiamo alle peggiori volgarità. Certo, come scrive Laura Puppato, quando si tratta di donne, l’insulto è più facile, c’è più storiografia e si sa già che è un attimo giocare al ribasso. L’insulto, anche quando non è pronunciato, è ammiccato, sottinteso, tradotto in una indifferenza significativa e giudicante. Quando si gioca, o si lascia giocare, al “tanto peggio, tanto meglio” si aizzano istinti primordiali, specie in chi è protetto (o si crede tale) dall’anonimato del web. Fare finta di niente significa legittimare un brodo culturale in cui l’equazione femmina = puttana è solo l’anticamera di una società di nuovo maschilista e violenta. Spetta a tutti, e in particolare ai media, ridire con forza che l’insulto… no. Non è tollerabile! Mai!


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