Dell’attuale governo Renzi si possono pensare diverse cose. Per quanto mi riguarda, tra le altre, annovero la sua genesi incoerente, tante promesse fatte e alcuni disegni di legge portati in Parlamento. Oggi sul Corriere della sera Aldo Cazzullo firma un’intervista a Renzi, il quale – tra proclami, fiumi di retorica e i riferimenti alla velocità e alla «palude» cui ci ha abituato – dice anche «ho giurato sulla Carta, non su Rodotà o Zagrebelsky», ispirando, immagino, il (brutto) titolo “Basta professoroni”.
A prescindere dal giudizio di merito sull’esecutivo e su Renzi, c’è chi vede in queste parole «populismo e arroganza», per citare il commento del giornalista Fabio Chiusi. Se sull’arroganza degli stilemi renziani ci sarebbe da dibattere (e Chiusi non ha certo tutti i torti nell’invocare un linguaggio meno aspro nei toni e nelle divisioni dialettiche) – la critica concernente il «populismo» in questo caso specifico per me è molto inconsistente. In primis perché non so se il tema dei «professoroni» sia così facilmente ascrivibile al panem et circenses (“ti scagli contro accademici e pensatori organici alla sinistra? Ti votiamo!”). E soprattutto, in secondo luogo, perché definire Zagrebelsky e soci «professionisti dell’appello» non è oltraggioso, fuori luogo o “di destra”: è innanzitutto dire una cosa vera. Per molti persino ovvia.
Negli ultimi anni, professori e teoreti di indubbie capacità e dalla storia prestigiosa come Rodotà, Zagrebelsky, Asor Rosa e altri hanno fatto parlare di sé quasi esclusivamente per aver firmato appelli, lanciato strali, j’accuse e ammonimenti «degli intellettuali», come sono stati ribattezzati, a cui i partiti della sinistra italiana si sono regolarmente (e, aggiungerei, perlopiù acriticamente) allineati, sperando di trovare una legittimazione dotta a due decenni di antiberlusconismo vuoto e convulso – ovvero, in parole povere, un’esca per attrarre ampi settori della società civile insofferente all’ex Cav. Quel che ne è venuto fuori in termini socio-politici, tra petizioni della rivista MicroMega e recenti corsivi su governi «del cambiamento», credo sia noto a tutti.
Che scagliarsi contro «gli intellettuali» sia “populista” è tutto da vedere, insomma. Dipende dagli intellettuali, mi verrebbe da dire. Chiamarli «professoroni o presunti tali» è uno stile supponente che andrebbe lasciato a Beppe Grillo. Ricordare, come ha fatto sarcasticamente pochi mesi fa Guido Vitiello, che «il rapporto di Libertà e Giustizia, MicroMega e affini con la Costituzione ricorda da vicino quello di Norman Bates con l’anziana madre in Psyco» è tutt’altra cosa, ben più ricevibile. Anzi: auspicabile. La settimana scorsa su Studio ho provato a spiegare perché la retorica sbandierata da un certo establishment dell’intellighenzia di sinistra non è solo inutile, ma spesso addirittura dannosa. E per questa, sì, si può scomodare il termine «populismo».
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