Intensità
Senza sapere perché, stavo guardando un film italiano dei primi anni duemila, una di quelle pellicole intimiste che devono per forza piacere ai sensibili. Mi sembrava di camminare nelle sabbie mobili. In una scena, con la protagonista dagli occhi tristi che si barcamenava tra sensi di colpa e spinta uterina verso il bellone, sentii una sirena, assomigliava a quella di un'autoambulanza.
Il rumore era ovattato, non riuscii a capire se provenisse dal televisore o arrivasse da fuori. Quell'insopportabile confusione tra vita reale e finzione scadente mi spinse a uscire.
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Ricordai che era sabato sera, misi dei pantaloni che non fossero la parte inferiore di una tuta, infilai il giubbotto e chiusi la porta tirandomela dietro. Non era freddo. Decisi che si poteva andare in bici. Rientrai e presi il mio bolide a due ruote.
Sapevo che gli altri si sarebbero ritrovati al "Circolo Rireativo Operaio". CRO, per gli amici. Nessuno di loro era un operaio. Non lo ero nemmeno io. A dirla tutta, un lavoro, non lo avevo proprio.
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Il locale era pieno. Paolo, il gestore, era occupato a servire cuba libre, molto rum e poca coca, molto cuba e poco libre. Io non bevo, questo mi salva dalle pozioni della strega cattiva, ma mi condanna ad essere guardato con sospetto da tutti gli altri.
Il Fungo, così l'avevano soprannominato, era già un pezzo avanti, urlava, sorrideva, con una birra in mano, annullando qualsiasi altro contributo alla discussione. Non che si parlasse di massimi sistemi: fica, scopate e serate passate con droga ed alcool.
Tutti argomenti sui quali non potevo dire più di tanto. Le ragazze mi piacciono, e c'era stato un periodo nel quale c'eravamo date gioie a vicenda, ma dall'ultima era passata un'era geologica. Per droga e alcool, non c'avevo mai tirato, quindi come sopra: guardato con sospetto.
Il Fungo era un buon umorista. Peccato che, una volta preso il palco con i suoi aneddoti raccontati ad alta voce e senza pause, fosse impossibile a chiunque altro aggiungere qualcosa: one man show.
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Il furore da intrattenitore del Fungo si era calmato. Dopo avermi abbracciato per un paio di minuti, si era fiondato da alcune conoscenze femminili. Parlai un po' con Andrea e la sua ragazza, Adele, si ragionava su quando organizzare una serata Rock Band a casa loro.
Intanto, fuori e dentro, il CRO si stava riempiendo di gente. Un gruppetto di ragazze si avvicinarono all'Adele e la salutarono. Qualche presentazione, qualche dialogo decente. Poi altre persone. Adele era finita più in là, io insieme ad Andrea, a chiacchierare con individui dei quali non sapevo gran ché.
Sembrava un ballo di gruppo, di quelli che si vedono nelle grandi feste, nei film in costume, in cui si cambia partner a intervalli regolari e alla fine ci si trova vicino a invitati diversi da quelli con cui si era arrivati. E così andò.
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Quella strana combinazione dei pezzi sulla scacchiera fece in modo che incontrassi la Luce. Al CRO, non me l'aspettavo proprio. Era stato Chinaski ad abbagliarmi, non ero sicuro che si trattasse di lui. Glielo chiesi, me lo confermò. Sì, lo so, lo citano tutti, per darsi un tono, ma non si trattava né di un link su facebook, né di una battuta estrapolata e privata del suo senso. No, nessuna banalità da bimbo-minchia o da radical chic, l'aveva letto, e bene, lo conosceva sul serio.
La Luce era luminosa, troppo forte per capire di quale colore fosse. Così intensa da farmi arrossire il volto e obbligarmi a distogliere lo sguardo. Intorno proseguiva il solito rito. Ma niente riusciva ad abbassare la Luce. Chiunque mi passasse davanti veniva attraversato da essa, quasi fosse trasparente. Seguitava a colpirmi con i suoi raggi, c'era finita di mezzo anche Kashmir. Non per questo avevo perso cognizione di dove fossi. Il ballo continuò, seguendone le regole tornai a parlare con i miei amici. Capitai vicino ad un conoscente, era con due amiche, molto carine, mi presentai. Ma continuavo a sentire il calore provenire dalla Luce. Come tutte le serate, anche quella finì. Tornai a casa, solo.
Prima di addormentarmi mi masturbai fantasticando sui culetti delle due incontrate con quel tipo, le vedevo bene a darsi da fare insieme. Mi sdraiai sul letto e mi girai su un fianco, presi sonno abbracciando il cuscino con in testa la Luce.
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La settimana passò con tanti pensieri e senza novità. Alle volte mi domandavo se quello fosse il lavoro delle settimane: passare come niente.
Oltre a scrivere, cercare in modo poco convinto qualche lavoro e tutto il resto, pensai alla Luce. A costo di sembrare un babbeo, devo ammettere che lo feci spesso. O forse sarebbe da babbei negarlo. Beh, fatto sta che era di nuovo sabato.
Nemmeno quella sera era freddo. Il novembre ci stava regalando diverse giornate a misura di bici. Viareggio, dal canto suo, sembrava fatta apposta per pedalare: una cosa buona ce l'aveva.
Andai al CRO, di nuovo. Il CRO non era cambiato. Io non ero cambiato. La gente non era cambiata. Eppure, ad un certo punto, saremmo morti tutti.
Tra una discorso e l'altro, mentre un paio di ubriachi si contendevano l'attenzione generale a colpi di urla e capitomboli, era passata l'una. Se ci fosse stato il Fungo gliel'avrebbe fatta vedere lui, a quei dilettanti. Ma il mio amico era andato a Pisa, e il divertimento aveva perso un buon alleato.
Dopo diverse cose che non sono degne di essere ricordate, arrivarono le due e mezzo. Niente Luce, non s'era accesa, nemmeno un bagliore, non dov'ero io. Tornai a casa sentendo più freddo di quanto fosse. Non abbracciai il cuscino e presi sonno a fatica.
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"Salve" poi dissi nome e cognome.
L'edificio non era un gran ché, sorgeva vicino alla stazione. Ero in orario e la segretaria mi aveva fatto passare subito. Avevo pantaloni puliti e stirati -facciamo non sporchi e nemmeno troppo spiegazzati-, una camicia blu e un maglioncino.
"Salve, sono il dottor Mucina, ma diamoci del tu, chiamami pure Angelo" si era alzato per stringermi la mano, indossava ancora il cappotto.
Io avevo lasciato il giubbotto nella sala d'aspetto. Realizzai, in quel momento, che sarebbero arrivati altri aspiranti servi, dei senza lavoro come me, magari qualcuno mi avrebbe fregato i pochi spiccioli che avevo in tasca, oltre che il posto. Pregai che non succedesse. Almeno per i soldi.
Era magro, portava degli occhiali dalla montatura sobria e venne subito al dunque: "Allora, sei il primo colloquio di oggi. Sai di cosa si tratta?"
Non lo sapevo. La domanda mi parve un tranello, visto che dall'annuncio si poteva solo sospettare il tipo di lavoro. Impiegato alla vendita, avevo pensato, ma non ne ero certo. Gli porsi una busta, col mio curriculum all'interno, prima di sedermi e rispondere:"Non proprio."
Lui la prese, la aprì e tirò fuori i due fogli su cui era spalmata la mia vita. Si appoggiò sui gomiti, guardò quello che c'era scritto. Notai che i suoi occhi non si muovevano, voltò pagina ma ero sicuro che non avesse finito di leggerla. Fece lo stesso con la seconda. Poi mi chiese: "Conosci Herbalife?"
Multilevel marketing. C'ero cascato un'altra volta. Diffidare dagli annunci nei quali non viene specificato il tipo di lavoro e di contratto. Sono quasi sempre trucchi per abbindolare qualche disperato e attirarlo nel tunnel dei sistemi piramidali. E spesso ci riescono. Non ne ho mai capito il motivo, ma molti restano affascinati da quel vertice irraggiungibile, pensano che arrivare in cima sia uno scherzo, qualcosa di scontato, quando l'unica cosa certa è che le piramidi vengono costruite dagli schiavi.
"Mi scusi" gli sorrisi, tesi la mano verso il curriculum, lui me lo dette, non sembrava aver compreso cosa volessi fare. Presi anche la busta e ce lo rimisi dentro. Ci si sarebbe pulito il culo qualcun altro, qualcuno che almeno mi avesse offerto un lavoro, non un incubo.
Uscii guardando le gambe della segretaria, ero più rilassato rispetto a prima. Era carina, mi sorrise. Controllai le tasche del giubbotto, ero stato fortunato. Fuori mi aspettava la mia fedele bici. Erano le sette del pomeriggio, il cielo era scuro. Avevo bisogno di un po' di Luce, anche se non sapevo come trovarla.
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Ecco un altro fine settimana, provai ad uscire anche il venerdì sera. Non che nutrissi maggiori speranze, era solo curiosità. Preziosissima, ormai dimenticata, curiosità.
Si dice che per i curiosi ci sia una paradiso di cartone. A me sarebbe anche andato bene, se ci fosse stata abbastanza Luce. Tanto, di cartone, è anche la vita. Invece nulla. Mi toccò passeggiare in questo paradiso, o in questa vita o qualunque cosa fosse, senza niente ad illuminarmi, bestemmiando interiormente e non solo.
Non che fosse tutto buio. Al buio non si vede nulla, il che può essere un bene.
Invece il paradiso di cartone si vedeva e come. E, alla fine, non era nemmeno tutto da buttare: mi ero preso qualche piccola dose di divertimento da sciogliere nella disillusione, come lo zucchero nel caffè. Solo che niente brillava. Io meno di tutto.
Non la tirai per le lunghe. Tornai a casa che era appena l'una. RAI Movie trasmetteva "Shining", o forse era Iris... Un canale trasmetteva quel film. Jack aveva appena incontrato il direttore dell'Overlook Hotel.
Bisognava affidarsi al cinema per vedere un uomo offrire un lavoro onesto ad un altro uomo. Lo sapevo a memoria, quel film, l'avevo guardato cento volte. Fu la centounesima. L'epilogo mi lasciò il solito amaro in bocca, speravo sempre che Jack ultimasse il lavoro, prima di rimetterci le penne. Ma il finale non cambiava mai.
***
Mi dissero che sarebbero andati al mercato, al Bar Irene: c'era l'aperitivo e poi musica tutta la sera. Perché no? Novembre continuava ad essere clemente, nonostante ci stesse per lasciare. Solo per il fatto di andare e tornare in bici, ascoltando qualche brano dagli auricolari, valeva la pena uscire.
Passai lungo la pineta di levante. Arrivato all'altezza dello sgambatoio per cani notai del movimento alla mia sinistra, dalle frasche del parco spuntò un cinghiale.
Mi fermai. Si fermò.
Lo guardai. Mi guardò.
"Sono le undici, è presto per te."
Fece un verso che sembrava un "cazzi miei."
"Hai ragione, scusa. Stammi bene."
Fece un verso che sembrava un "ok, anche tu."
Continuai per la mia strada.
Continuò con i suoi affari.
Gli altri erano sul posto dalle otto, alcuni di loro erano già in balia dell'alcool. Il bar era piccolo, solo un corridoio col bancone su un lato. La gente era tutta fuori, il volume della musica era giusto, si poteva parlare senza doversi urlare nelle orecchie. C'era quell'atmosfera da festa di paese, per quanto questo sia possibile a Viareggio, dove se non sei ipercostruito, non funzioni.
Mi stavo calando nell'accettabile normalità della serata, quando la sentii. La Luce era lì. Fummo di nuovo vicini. La Luce si comportò da Luce, mi investì con Drive e mi finì con Happy Accidents. Eva, adesso aveva un nome. E un colore, il rosso mogano dei suoi capelli lisci.
Naturalmente, il Fungo e un altro paio di assi pigliatutto, s'infilarono nel mezzo. Lei si presentò. Partì subito la volata. Non ero interessato ad un gioco a premi, li lasciai fare, limitandomi a parlare quando avevo qualcosa da dire.
Devo ammettere, però, che avevano un sacco di numeri ad effetto. Ci misero anche un paio di uscite imbarazzanti, ma nella loro testa servivano solo ad alzare il tassò di ganzità. Fatto sta che quella tecnica funzionava, visto che qualche ragazza la conquistavano, di sicuro funzionava meglio di quello che facevo io. A pensarci bene non saprei dirlo, cosa facessi di preciso, probabilmente nulla di speciale, o forse il nulla sbagliato.
Ma la scena mi risultava chiara: scimmie che fanno a gara a chi salta più in alto, in questo ci stavamo trasformando. La cosa non mi appassionava. Poteva darsi che anch'io, alla fine, non fossi altro che una scimmia. Ma non ero bravo a saltare, nemmeno mi piaceva. Semmai la Luce avesse continuato a illuminarmi, sarebbe stato per altro, doveva essere per altro. Non so per cosa, ma non per i miei salti.
Mi spostai più in là, dal resto della compagnia, e lasciai il palco ai professionisti.
Dopo qualche minuto, anche loro si riunirono a noi. Iniziarono a chiedermi come, dove, quando. Il Fungo si era innamorato. Di nuovo. Con questa facevano tre volte in un mese. In contemporanea, non che un amore svanisse con l'arrivo del successivo, ovviamente. Ora voleva che gli dicessi tutto quello che sapevo. Nonostante avesse rischiato di farmi fare un paio di figure di merda magistrali.
Il bello è che non sapevo molto di lei. Non sapevo che locali frequentava, che amicizie aveva, che uomini le piacevano. Non potevo rispondere al Fungo. Oltretutto, da parte sua, non era mai accaduto che mi presentasse un'amicizia femminile. Avrei voluto restituirgli il favore.
La Luce stava per andarsene, passò a salutare. Il Fungo era con me. Prima che lei ci abbandonasse, tirai un calcetto al mio compare perché ascoltasse e dissi: "Comunque, settimana prossima, fanno un'inaugurazione, è il locale di un mio amico. Vieni anche tu?"
"Mandami l'evento, un salto lo faccio volentieri."
Mi dette il suo contatto, anche il Fungo sentì. Lei m'interessava? Sì, per il momento, anche se avevo bisogno di conoscerla meglio. Io sono un coglione? Sì, da tutta la vita, ma l'idea che un possibile sviluppo sentimentale debba dipendere da quanto si è bravi a tagliare fuori la concorrenza, mi fa ribrezzo.
La salutammo, il sorriso che il Fungo le lanciò fece ridere anche me. Più tardi, pedalando verso casa, oscillavo tra la consapevolezza della mia coglioneria e il buon umore per la serata appena finita.
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All'inaugurazione c'era tutta la città. Anche lei. Parlammo, ci avvicinammo. I saltimbanchi fecero la loro entrata, ma non provocarono danni.
Non c'ero abituato. Non si può dire che fossimo entrati in confidenza, ma forse ci andavamo a genio e, da quello che mi diceva, anche per lei era una cosa insolita. Seguirono altri incontri, scoprii altri aspetti, alcuni dettagli. Me li godevo, non volevo per forza vincere la medaglia. Vaglielo a spiegare, alle donne, che possono interessarti per quello che sono, che non vuoi scopartele ma sapere cosa pensano, cosa sentono, la regola è un'altra: o parti con l'intenzione di fartele -alcune vogliono che tu arrivi subito al sodo, altre preferiscono un piccolo teatrino col quale il pretendente nasconda, nemmeno troppo bene, il suo vero obbiettivo-, oppure scivolerai nelle amicizie e difficilmente ne uscirai. Trovare delle affinità, un modo per capirsi? Conoscersi prima di decidere se ci si piace o no? Lascia stare, sono opzioni non contemplate.
L'avevo sempre pensata così. Me ne fregai e continuai come mi veniva. Certo, tornai a casa da solo anche quella sera.
***
Iniziammo a sentirci, trovarsi non fu più una sorpresa. Adesso la Luce non mi abbagliava, riuscivo a guardarla, scoprii il suo sorriso, le sue forme aggraziate. Ma la vicinanza mi mostrò anche altro. Com'era quel detto sulla durata delle cose belle?
Esatto.
Avvicinarsi, entrare in confidenza, iniziare a vedere. Togliere il velo, insomma. Poi, però, non si può far finta di non capire. Forse sono io che sbaglio, parto con l'idea di fare un passo avanti e mi trovo un metro più indietro.
Forse ci si dovrebbe buttare accontentandosi di una leggera simpatia. Se ti metti in cerca di un'armonia importante, finisce che ti ritrovi come un tappo di sughero in mezzo al mare.
Il tempo passava, vedevo sempre di più lei e sempre meno la Luce. Aveva occhi perfetti, un sorriso che stendeva. Sapeva vestirsi per ogni occasione, aveva un corpo fatto apposta per rendere bello qualsiasi straccio, e lei di stracci non ne metteva.
Probabilmente il momento era arrivato. Muoversi o sparire. Ma tutto questo, non fece che farla somigliare sempre di più ad una sagoma dello sfondo, un pezzo di quel paradiso di cartone. Mi ero avvicinato per la Luce eppure non riuscivo più a vederla.
Un viso disegnato, dei capelli mogano, lunghi e soffici, una silhouette da modella. Tutto inutile, era il momento di passare da frocio col mondo intero. Sì, tutte le cose che ho elencato c'erano.
Ma Bukowski? Era solo finzione, un argomento ben studiato, ma solo come aneddoto per far sembrare una sbronza qualcosa da intellettuali, per togliere schiettezza anche a quell'esperienza, qualsiasi altra componente dei suoi scritti non aveva valore, neppure a lui sarebbe piaciuto essere usato così.
I Led Zep? Solo qualcosa da dire per distinguersi dagli adoratori di Vasco e Liga.
I film? Solo un diversivo quando la serata nei posti fighi salta.
Tutto così. Anzi, peggio, le cose che mi piacevano si dimostravano fasulle, costruite, quelle che non sopportavo, invece, erano così tangibili, di una realtà che non ammetteva prova contraria.
Avevo davvero avuto quella tanto bramata "occasione"? Non lo so, forse no, probabilmente no. In fondo ero solo un mezzo barbone. Ma la risposta a questa domanda non m'interessava. Ci fosse stata o meno, quella possibilità, io la persi, la lasciai passare. Come quando cerchi un passaggio per uscire, poi, capito che tipo di serata si prospetta, ci rinunci.
Eravamo in qualche locale, quando capii tutto questo. Tirai lì un paio di frasi per non troncare la chiacchierata in modo brusco, poi la salutai. Prima di andarmene scambiai giusto due parole con gli amici, dopo di che tornai all'ambasciata marziana sulla terra, casa mia.
Pensai un po'. Un bel po'. Non mi masturbai, ero in lutto, la Luce era sparita e il mondo era di nuovo grigio.