Papa Benedetto XIV, Prospero Lorenzo Lambertini (1675 – 1758),
eletto al soglio pontificio il 17 agosto 1740, ritratto da Pierre Subleyras (1699 – 1749).
Benedetto XIV
Inter omnigenas
Fra le calamità di ogni specie dalle quali i figli della Chiesa che abitano sotto il dominio degli infedeli sono oppressi da ogni parte, e delle quali, tutte, sentiamo compassione con paterna carità, quelle che più sollecitano e premono il nostro animo sono quelle da cui temiamo che nasca occasione di perdizione per le anime redente dal Sangue di Cristo, con la conseguenza che possa essere causato un danno alla integrità della Fede cattolica e della disciplina. Fra tali calamità che Voi, Venerabili Fratelli, Diletti Figli, sostenete da tempo nel Regno di Serbia sotto il durissimo giogo dei Turchi, e che altre volte giunsero alle Nostre orecchie da molte parti, Ci colpirono con incredibile dolore le ultimissime che Ci furono spiegate con maggiori particolari e quasi mostrate ai Nostri occhi dal Venerabile Fratello Giovanni Battista, da Noi eletto e costituito Arcivescovo di Skopje. Infatti, anche se abbiamo dovuto lodare e anzi ammirare l’assidua vigilanza e sollecitudine per il proprio gregge dei Pastori di codesto Regno e la ferma costanza dei popoli nella Fede e nella pietà, fra le gravissime vessazioni e persecuzioni inferte dalla crudeltà degli infedeli e dall’odio degli scismatici, tuttavia Ci causarono molto dolore sia il comportamento non lineare e fluttuante o anche arbitrario, in cose della massima importanza, di alcuni di loro, sia la corruzione dei costumi e della disciplina portata nella maggior parte dei fedeli dalla compagnia degli stranieri, ma soprattutto la turpe occultazione della professione cristiana, somigliante all’infedeltà, che molti in codeste regioni mostrano di usare, per timore di danni materiali.
1. In verità, quelle cose che si dice si siano introdotte fra i fedeli di codeste Chiese contro la purezza della fede e dei costumi dovevano, per la maggior parte, essere prevenute o corrette ed emendate in forza delle sanzioni sufficientemente conosciute del diritto pontificio e canonico, dei decreti della Sede Apostolica emanati più spesso attraverso l’organo dei Venerabili Nostri Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa preposti agli affari di “Propaganda fide”, ma specialmente a motivo di ciò che fu stabilito nel Concilio Albanese che fu indetto e celebrato, sotto il Nostro predecessore di felice memoria Clemente XI, dal Primate di codesto Regno, per tutto il clero e il popolo di Albania e Serbia. Perciò, richiamando alla memoria a tutti voi tutte le predette leggi del Diritto Ecclesiastico e della Sede Apostolica e raccomandando molto di studiarle e osservarle, comandiamo che il predetto Concilio Albanese, adattato specialmente alla vostra situazione e all’opportunità dei tempi, sia in tutto mantenuto e dappertutto osservato, volendo che tutti gli Arcivescovi, Vescovi, Parroci e Missionari e gli altri che sono in cura d’anime in codesto Regno, abbiano presso di sé qualche copia di quel Concilio e cerchino di regolare e di conformare il loro comportamento e quello dei loro fedeli secondo quelle norme.
2. Tuttavia, affinché siano tolti del tutto ed eliminati per sempre i più gravi abusi riguardanti l’integrità della Fede, dei costumi e dei riti, che sono giunti a Nostra conoscenza da codeste regioni, dopo averli Noi stessi considerati ed esaminati con attenzione e diligenza, abbiamo stabilito, col consiglio dei Nostri Venerabili Fratelli, di riferirvi e di annunciarvi quei Decreti che seguono, le cui disposizioni confidiamo nel Signore che debbano essere abbracciate volentieri da tutti voi, a cui spetta, come utili e necessarie, e nondimeno ordiniamo con autorità Apostolica che siano esattissimamente compiute e custodite.
3. Cominciando perciò dalle cose della Fede, senza la quale è impossibile piacere a Dio, ordiniamo e comandiamo rigorosamente a tutti e singoli i fedeli di codesto Regno che vogliono mantenere la comunione con la Chiesa cattolica, che si guardino dal fare o dall’ammettere alcunché contro i precetti e le norme Evangeliche, al fine di occultare il possesso della Religione cristiana, per quanto talvolta sia lecito e necessario; specialmente quelle cose che implicano una affermazione della setta Maomettana. Perciò, se avranno ricevuto la circoncisione, sappiano che Cristo non gioverà ad essi per nulla, secondo la parola dell’Apostolo. Evitino del tutto di assumere nomi turchi, che non dovrebbero nemmeno ricordare con le labbra; di frequentare gli abominevoli templi degli infedeli, chiamati Mosche e; di profanare, mangiando carne, i giorni dei digiuni Ecclesiastici: ciò, al fine di essere creduti Maomettani. Tutte queste cose infatti, anche se la Fede di Cristo è mantenuta nel cuore, non si possono fare senza la simulazione degli errori di Maometto, contraria alla sincerità cristiana; tale simulazione contiene una menzogna in materia gravissima e comporta una virtuale negazione della Fede, con gravissima offesa di Dio e scandalo del prossimo.
4. Ma molto più, nel caso che siano interrogati dalle pubbliche autorità, sappiano che non è loro lecito professarsi seguaci della setta Maomettana, ma ricordino che quello è il tempo in cui – brandendo lo scudo della Fede – debbono non solo credere col cuore alla giustizia, ma anche confessare Cristo con la bocca per la salvezza, altrimenti, se avranno osato rinnegarlo davanti agli uomini, anche Lui li rinnegherà davanti al Padre Suo.
5. Ugualmente empio ed illecito è l’abuso di quei Cristiani di Serbia che, prossimi a morire, permettono o dispongono che i loro cadaveri siano consegnati alle sepolture dei Turchi, con l’assistenza di costoro e con l’uso dei riti Maomettani; infatti, se non devono affatto vergognarsi di Cristo in vita, quanto meno lo devono nel momento in cui stanno per comparire al Suo tremendo giudizio, affinché Egli non si vergogni di loro davanti al Suo Eterno Padre.
6. Sarà dunque compito dei Vescovi, dei Parroci e dei Missionari, ammaestrare ed ammonire seriamente quei Cristiani che empiamente osano fare le cose suddette, con grande offesa della Fede; invano si vantano della custodia, dello zelo nella legge cristiana e della educazione dei figli nella medesima legge, poiché se mancano anche in uno solo di questi punti, si rendono colpevoli di tutti. Perciò dichiarino ad essi apertamente che chiunque, per timore di qualsivoglia potestà o per paura di perdere i beni materiali, tradisce la sua Fede, provoca l’ira di Dio su di sé e si esclude da ogni speranza di salvezza, a meno che se ne penta, poiché teme più l’uomo che Dio e preferisce conservare le cose effimere di questa terra piuttosto che acquistare le realtà eterne. Se poi alcuni vorranno continuare ostinati in questa via di empietà, saranno privati dei Sacramenti in vita e, se morranno impenitenti, dei suffragi dopo la morte; a questi nessun Ministro della Chiesa osi ammetterli, altrimenti dovrà essere punito dal proprio Vescovo con le pene canoniche, secondo quanto è prescritto anche dal suddetto Concilio Albanese.
7. Sono ugualmente da tener lontane dai Sacramenti della Chiesa quelle donne che, introdotte nel padiglione dei Turchi col titolo di mogli, celando la professione della religione cristiana, là conducono una vita lontana da ogni esercizio della religione; ad esse dev’essere dichiarato dai Pastori che non ripongano fiducia per l’eterna salvezza in quella fede che, morta senza le opere, si convincono di poter conservare utilmente soltanto nel cuore.
8. Quanto ai figli di queste donne, che vengono presentati ai Parroci per essere battezzati, se la loro vita sembra in pericolo, i predetti Parroci non esitino a battezzarli, ammonendo le madri che, se guariranno, dovranno educarli con impegno nella religione cristiana. Riguardo a quelli di sana e robusta costituzione, che sono presentati al Battesimo dalle suddette madri senza fini superstiziosi, ma con l’unico scopo di ottenere la salvezza, poiché è impossibile esaminare le singole circostanze che possono convincere se essi persevereranno nel culto della legge Evangelica e della Fede, o se, privati dell’educazione Cristiana da madri di quel genere, seguiranno l’empietà del padre Maomettano, considerati anche i pericoli dell’età infantile per i quali dicono che, per lo più, un terzo degli uomini muore prima di compiere i 10 anni, pensiamo di non dover comandare nulla espressamente. Solamente esortiamo i Ministri Ecclesiastici che, dopo aver invocato con gemiti la luce dello Spirito Santo, si comportino secondo la sua guida e le indicazioni della sua prudenza. Se poi crederanno di poterli ammettere al Battesimo, non omettano di inculcare nelle madri l’obbligo rigoroso a cui sono tenute, di far conoscere la verità di Dio a questi figli della Chiesa, se arriveranno all’uso di ragione, e di educarli nella disciplina e nella legge del Signore.
9. Giunge alle Nostre orecchie anche la notizia grave e molto incresciosa che i Decreti del Concilio Tridentino sul Sacramento del Matrimonio da alcuni non sono osservati in codeste regioni nelle quali – come comprova lo stesso Concilio Albanese – essi furono a suo tempo debitamente pubblicati. Perciò, dichiarando che tutti i fedeli di codeste parti sono tenuti ai suddetti Decreti, definiamo completamente invalidi e nulli quei pretesi matrimoni che sono contratti davanti al solo giudice dei Turchi, detto “cadì”, o anche senza di lui, dai soli sposi, e non secondo le prescrizioni del predetto Concilio Tridentino. Coloro che contrassero nozze nulle e clandestine di tal genere e, dopo averle contratte, convivono, comandiamo che, come persone che vivono in illecito concubinato, a meno che facciano penitenza del passato e siano congiunti con matrimonio valido riguardo alla Chiesa, siano tenuti lontani dalla partecipazione ai Sacramenti.
10. Ma quando il matrimonio è stato contratto secondo il rito dai fedeli, non permettiamo affatto a loro, neppure per salvaguardare le mogli dal rapimento dei Turchi, di rinnovarlo davanti al Cadì per mezzo di procuratori secondo il rito turco, salvo che il rito maomettano delle nozze sia puramente civile e non contenga nessuna invocazione a Maometto o qualunque altra specie di superstizione. Infatti, benché facciano questo non di persona, ma per mezzo di procuratori, tuttavia non devono mai essere considerati innocenti di quel crimine che viene commesso per loro autorità o mandato.
11. Per quanto riguarda le pubblicazioni stabilite dal Concilio Tridentino, benché si dica che in Serbia non sono affatto confermate dall’uso, in quanto tuttavia sono prescritte ai Parroci anche di Serbia nel prelodato Concilio Albanese, tolta la facoltà di dispensarne tranne che per motivo di necessità urgente, comandiamo che ciò sia osservato in tutto, per quanto si possa fare.
12. Se poi la moglie di qualche fedele fugge fra i Turchi e osa contrarre nozze scellerate con qualcuno di loro, non è lecito al marito sposarne un’altra al posto di quella, in quanto il Matrimonio, indissolubile per diritto divino finché vivono i coniugi, non viene affatto dissolto dal misfatto di una donna di tal fatta. Quindi se uno in tale situazione ne sposa un’altra, commette adulterio e, se non si separa completamente da lei, dev’essere tenuto lontano dai Sacramenti.
13. E pure a tutti è chiaro che cosa si debba dire sulla salvezza di simili donne, a meno che facciano penitenza. Riguardo alle donne cristiane rapite con la forza dai Turchi e sposate a forza o nell’infanzia che, senza essere congiunte da nessun diritto di fede sacramentale, perseverano in illecito concubinato con gli infedeli, stabiliamo in tutto la medesima cosa che fu decretata nel predetto Concilio Albanese: siano loro negati i Sacramenti della Chiesa, non tenendo in nessun conto né la loro pretesa perseveranza nella fede cristiana, né la violenza usata loro dai Turchi in età infantile, e nemmeno il fatto che siano considerate dai Turchi come moglie unica o migliore o giusta. Queste cose non danno nessun diritto, a chi vive in concubinato o fornicazione, a ricevere i Sacramenti, e non offrono ai Sacerdoti nessuna facoltà ad amministrarli a chi ne è indegno.
14. Circa le dispense matrimoniali, i Vescovi e i Missionari di Serbia stiano attenti a non servirsi senza giudizio o verso gli immeritevoli delle facoltà loro comunicate da questa Santa Sede, e a non oltrepassare i limiti della loro autorità. Abbiamo perciò stabilito che non si debba concedere nessuna dispensa a quei cristiani occulti, di cui si è detto, che fingono di seguire i riti maomettani; infatti costoro, poiché si vergognano di Cristo, si rendono indegni delle grazie della Chiesa, che di Cristo è la sposa. Inoltre non concedano nessuna dispensa nei casi in cui prevedano che i matrimoni non saranno celebrati validamente e santamente secondo il rito della Chiesa Cattolica, come detto sopra; in tal caso infatti non sarebbero dispense, ma dissipazioni e incitamenti all’incontinenza, dalle quali il fedele e prudente ministro di Cristo deve tenersi lontano in ogni modo.
15. Specialmente poi considerino che, fra le altre facoltà loro comunicate, non si trova quella di dispensare dall’impedimento di giustizia di pubblica onestà, proveniente dal matrimonio rato che sia intercorso altra volta fra l’una o l’altra delle parti e il consanguineo in primo grado dell’altra parte, ma che sia stato sciolto prima della consumazione o per morte o per altra legittima causa. Infatti questo impedimento è più forte di quello che nasce dagli sponsali: perciò dovranno evitare di concedere una dispensa di tal genere.
16. Nel celebrare le nozze si osservino i tempi prescritti dalla Chiesa Cattolica. Se poi i Maomettani, celebrando le loro nozze nei tempi proibiti, avranno invitato qualche fedele a motivo del suo ufficio, poiché i precetti della Chiesa non riguardano minimamente coloro che ne sono fuori, non si proibisce ai cattolici di Serbia di parteciparvi, comportandosi con cristiana modestia, purché lo si possa fare senza offendere il Creatore, né i fedeli, né la Chiesa di Dio, e non ci sia nessuna invocazione a Maometto nelle nozze dei Turchi e nessun rito superstizioso, ai quali i cristiani invitati debbano partecipare o consentire con la bocca o con le azioni.
Tuttavia, se cercheranno, per quanto potranno, di scansare quelle adunanze di infedeli e quei conviti profani, eviteranno molti pericoli per le loro anime.
17. Per quanto riguarda la cognazione spirituale, comandiamo che in Serbia siano osservati in tutto i sapientissimi Decreti del Concilio Tridentino, nonostante qualsiasi consuetudine contraria. Perciò non permettiamo che sia estesa oltre le persone e i gradi definiti dallo stesso Concilio quella cognazione che nasce dai Sacramenti del Battesimo e della Confermazione, ed espressamente dichiariamo che nessuna cognazione spirituale nasce da altra causa e specialmente dall’assistenza prestata al matrimonio, anche su invito dei contraenti; come neppure fra coloro dai quali vengono tagliati i capelli ai bambini per la prima volta. Infatti è importante il motivo del predetto Decreto conciliare che, a causa delle troppe proibizioni, non avvenga più spesso che si contraggano matrimoni in casi proibiti senza saperlo, o si perseveri nel peccato, o che debbano essere sciolti con scandalo. Ciò che fu stabilito sapientemente circa quei casi di cognazione spirituale che erano già stati accolti nella Chiesa, a molto maggior ragione deve valere in altre specie di tal genere che, ignote nella Chiesa Cattolica, hanno un’origine infetta dagli scismatici, dei quali è tipico imporre agli uomini pesi gravi e impossibili a portarsi, senza muoverli nemmeno con un dito. Perciò è sicuramente da disprezzarsi lo scandalo di costoro, se avranno saputo dell’osservanza di questo decreto fra i fedeli.
18. Riguardo poi ai sacri riti, in cui le Chiese di codeste regioni, mettendosi davanti come specchio ed esempio questa Chiesa Romana, Madre e Maestra di tutte le altre, mostrano di usare non altro che il Messale, il Rituale ed il Cerimoniale Romano, esortiamo i Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi a non cambiare niente in questa consuetudine sicura e lodevole; tanto nella celebrazione dei Santi Misteri e nella amministrazione dei Sacramenti, quanto nelle Benedizioni e negli Esorcismi, non permettano che sia aperto l’ingresso, sotto qualunque pretesto, a qualsivogliano altri riti, cerimonie e preghiere, presi da altre parti.
19. Badino poi che le cause di timore che talvolta sono addotte per omettere nell’amministrazione del Battesimo le cerimonie prescritte dal Rituale Romano, non siano inutili o leggere; e, qualora capiti che siano trascurate per veri e gravi motivi, cureranno anche che, appena possibile, siano compiute. Infatti riti di così grande importanza e di tanta antichità e sommamente necessari a procurare riverenza al Sacramento, non si trascurano senza peccato grave.
20. È da curare altresì che, tolto il caso di necessità e di giusto timore ispirato dagli infedeli, non si usi nell’amministrazione del Battesimo l’acqua comune e naturale e nemmeno quella che viene benedetta per le purificazioni; né temerariamente si ometta di usare l’acqua benedetta a questo preciso scopo secondo la prescrizione del Rituale Romano. Infatti può difficilmente accadere senza massima incuria e vano timore (anche secondo il senso del Concilio Albanese), che nelle Chiese Parrocchiali, dove esistono, non siano benedetti i fonti battesimali nei tempi stabiliti e secondo i riti, o che non ci sia una sufficiente quantità di Sacri Oli per questo.
21. Per compiere il loro dovere pastorale, vigilino anche che ai fedeli dimoranti in qualunque luogo, non manchino Sacerdoti Cattolici che possano amministrare loro la Sacrosanta Eucaristia nella solennità di Pasqua, sia perché sia osservato il Decreto del Concilio Laterano per tutti i fedeli di ambo i sessi, sia perché, nella comune letizia di tutta la Chiesa per la Risurrezione del Signore, i figli della Chiesa siano nutriti e irrobustiti da questo vivificante pascolo che è anche simbolo dell’unità. E se capitasse che, a causa della infelicità dei luoghi e dei tempi, questo non si possa in alcun modo fare entro le due settimane che intercorrono dalla domenica delle Palme alla domenica in Albis, in tal caso, a tenore di questa Lettera, concediamo e permettiamo che i popoli di codeste regioni della Serbia possano soddisfare quel precetto o in Quaresima o nella solennità di Pentecoste e nei giorni precedenti, secondo il consiglio del proprio Sacerdote.
22. Con troppo dolore abbiamo poi saputo che le Chiese di codeste regioni sono talmente abbandonate e rovinose e che il furore degl’infedeli è così insolente che non è possibile conservare la Santissima Eucaristia in modo decente e sicuro, come si conviene. Da ciò deriva che la maggior parte dei fedeli infermi paga il debito alla natura senza il Viatico della salvezza. Per l’avvenire si deve ovviare e provvedere, per quanto possibile, a questo gravissimo male; perciò i Parroci devono cercare con ansiosa diligenza di aver notizia degli infermi, non solo per purificarli col Sacramento della Penitenza, e per aiutarli e sollevarli con esortazioni cristiane e conforti spirituali, ma anche perché siano ristorati col santissimo Corpo di Cristo e fortificati per affrontare l’ultima battaglia. Perciò, quando vedano che il pericolo di morte sovrasta qualche fedele, al più presto gli somministrino il predetto Sacramento dell’Eucaristia e, se possono farlo senza pericolo, presolo dalla Chiesa, se ce n’è qualcuna, lo devono portare a casa dell’infermo, dal momento che non è lecito celebrare la Messa presso gli infermi, in luogo non consacrato, eccetto il caso gravissimo di necessità.
23. Mentre poi il Sacerdote porta agli infermi un così grande Sacramento, osservi con esattezza i decreti promulgati nel Concilio Albanese, con i quali si comanda che, indossata la cotta e posta la stola sulle spalle, con davanti almeno un cero, recitando a bassa voce inni e salmi, porti devotamente il Sacramento entro la Sacra Pisside o in un Calice pulito, tenendolo davanti al petto con le due mani. Ma quando la prepotenza e l’iniquità dei Turchi è più forte (come si aggiunge nello stesso luogo), il Sacerdote porti sempre la stola coperta dalle proprie vesti, nasconda la Pisside in un sacchetto o in una borsa che, appesa al collo con cordicelle, tenga sul seno, e non vada mai solo, ma si faccia accompagnare almeno da un fedele, in mancanza del chierico.
24. Infine, riguardo alla sepoltura dei cadaveri dei fedeli, si evitino tutte le vane credenze dei Turchi, dalle quali in verità traggono un’impura origine alcuni riti superstiziosi, come lavature che vengono eseguite con incenso e con la recita di certe preghiere che sono disapprovate dalla Chiesa Cattolica. Pertanto, astenendosi, per quanto potranno, da ogni apparenza negativa e dalla imitazione degli infedeli, i popoli di codeste regioni imparino che in tali riti non c’è nulla che sia necessario alla salvezza e al suffragio dei defunti, e non diano importanza né alle dicerie e alle derisioni dei Turchi, né ai vani discorsi degli scismatici.
25. Nel giudicare poi i pericoli in presenza dei quali abbiamo dichiarato che può essere addolcito il rigore della disciplina Ecclesiastica nelle circostanze sopra enunciate, ammoniamo e preghiamo tutti i fedeli di codeste regioni, e specialmente i Pastori delle Anime, affinché, innalzando con cristiana fortezza gli animi abbattuti, considerino che cosa sia davvero da temere e che cosa da disprezzare; osservino i precetti di Dio e della Chiesa non con angustia e timore delle autorità terrene, ma con la larghezza della carità e l’ardore dell’amore che scaccia il timore; amministrino la cura delle Anime. E se giudicheranno giusto motivo per trasgredire i precetti della Religione Cristiana o per trascurare la cura delle Anime loro affidate, la sola paura degli insulti dei Turchi o il pericolo di lievi incomodi, veramente di loro si potrà dire: “Trepidarono di timore laddove non c’era da temere“. Perciò esortiamo nel Signore e scongiuriamo i Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi, che lo Spirito Santo pose a reggere codeste Chiese oppresse da un cumulo di gravissime calamità, a scacciare questi vani timori dal petto dei Ministri inferiori della Chiesa e di tutti i fedeli, e a sollevarli e a stimolarli affinché, calpestati ugualmente le lusinghe e i terrori del mondo, per il sentiero arduo e angusto, seguano con costanza Cristo, Capo della Chiesa, che li chiama alla vetta della santificazione.
26. Riconoscano infine la singolare misericordia nei loro confronti del nostro Dio, il quale, mentre con terribile giudizio permise che in altre regioni sottoposte alla dominazione degli infedeli la Religione Cristiana fosse completamente calpestata ed estinta, volle invece che in codesto Regno di Serbia splendesse la luce della sua verità, guardando la quale gli uomini che si trovano nelle angustie e nelle tribolazioni potessero ricevere consolazione in questa vita, e fossero condotti a conseguire l’altra migliore e più beata.
27. Perciò, Venerabili Fratelli, Diletti Figli, meditate ancora, e ancora guardate che, per il vizio di un animo ingrato, non si inaridisca il flusso della divina pietà verso di voi e sia tolto a voi il Regno di Dio, dal momento che avrete sdegnato di ottemperare alle sue leggi e di conservare i costumi rettamente stabiliti.
28. Se poi i sopraesposti decreti, ai quali amiamo richiamare il vostro modo di fare per la purezza delle santissime leggi della Chiesa, e che con Apostolica autorità con questa nostra Lettera vi dichiariamo che devono essere in tutto eseguiti da voi, vi sembreranno pesanti e impossibili da portarsi, badate di non attribuire per vostra opinione al leggero peso di Cristo e al giogo soave della sua legge quella pesantezza e molestia che traggono principio o dalla eccessiva sollecitudine di conservare i beni temporali, o dalla cupidigia di acquistarli. Se rigetterete queste cose e riterrete che non si può conciliare la servitù del mondo con quella che avete dichiarato a Cristo, tutto vi sembrerà davvero leggero e spedito nell’osservanza della legge cristiana. E poi Dio è fedele e non permetterà che voi siate perseguitati dagli infedeli né che siate tentati oltre le vostre forze, ma anzi dalla tentazione ricaverà un guadagno e ripagherà abbondantemente i pochi momenti delle vostre tribolazioni con un eterno cumulo di gloria. La qual cosa augurandovi di cuore dallo stesso Padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione, impartiamo a voi tutti affettuosamente la Benedizione Apostolica.
Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 2 febbraio 1744, quarto anno del Nostro Pontificato.