Cinquecentosettanta volte Zanetti. E si potrebbe chiudere qua il commento alla partita, con una standing ovation virtuale per il ragazzino arrivato in Italia nell’estate del 1995 come spalla di “Avioncito” Rambert e salito sul podio dei giocatori con più presenze in Serie A, per adesso al gradino più basso, a pari merito con un mostro sacro, Dino Zoff. Capace, dopo oltre mille partite ufficiali e un palmares infinito, di confermarsi “el tractor” che prende il pallone e supera in progressione uno, due, tre avversari, con la sua classica andatura a trazione integrale.
Ci sarebbe però anche una partita da analizzare, giocata dai nerazzurri con molta determinazione, prima alla ricerca del pareggio, poi della vittoria. Che è arrivata, meritata, ma che non deve provocare eccessivi salti di gioia. Stramaccioni ha bocciato Forlan (e non avrebbe potuto fare altrimenti), preferendogli Alvarez, e ha fatto accomodare in panchina Guarin (Obi dal primo minuto). Per il resto, il solito 4-3-3 con Zanetti e Chivu esterni bassi. Rispetto alle ultime prestazioni, l’Inter è stata più volitiva, anche se l’errore di Samuel dopo pochi minuti aveva portato al gol D’Agostino. Argentino costretto ad uscire al 38’, dopo essersi in parte riscattato con una chiusura che ha evitato il tracollo. L’inserimento di Nagatomo sulla corsia di sinistra, con il conseguente spostamento al centro di Chivu, ha dato più vivacità. Il pressing alto ha messo gli avversari alle corde, che non sono più riusciti ad uscire dall’angolo e sono andati in affanno soprattutto nella ripresa, quando sono calati fisicamente. Tra i giocatori del trio d’attacco, Alvarez è apparso evanescente, poco incisivo e lento nella distribuzione del gioco. Più intraprendente Zarate, nonostante la tendenza a tenere il pallone un paio di secondi di troppo, quelli che in genere gli fanno sbagliare la giocata. Qualche occasione poteva essere sfruttata meglio (due volte Milito e Stankovic), ma alla fine la superiorità dei nerazzurri si è concretizzata.