La Suprema Corte di Cassazione, con una recentissima sentenza appena pubblicata , ha definito i limiti entro cui è possibile l’intercettazione di una conversazione privata tra l’avvocato e il proprio cliente. Il fulcro della questione giuridica ruota intorno alla natura della conversazione: se, cioè, abbia una valenza professionale (nel qual caso non sarà utilizzabile) o meno (per esempio, se l’avvocato, in quanto amico, si limiti a prestare consigli).
Nello specifico, la Corte ha annullato un’ordinanza del Tribunale del Riesame di Bari, con la quale si era esclusa la possibilità di utilizzare l’intercettazione di un colloquio captato in macchina, tra un avvocato e un suo cliente anche suo amico, i quali parlavano della separazione giudiziale di quest’ultimo.
In base al giudizio della Cassazione il Tribunale del Riesame aveva estrapolato solo una parte dell’intercettazione mentre avrebbe dovuto considerarne la globalità per valutare bene se il colloquio avesse natura professionale, nell’ambito del mandato difensivo.
Questo è, quindi, il principio dettato dalla Cassazione con le regole da seguire in situazione analoghe. Nell’ipotesi che venga intercettato un colloquio fra l’indagato e un avvocato legati da uno stretto rapporto di amicizia e familiarità, il giudice, al fine di stabilire se quel colloquio sia o no utilizzabile, all’esito di un esame globale e unitario dell’intera conversazione, deve valutare:
1) se quanto detto dall’indagato sia finalizzato a ottenere consigli difensivi o non sia, piuttosto, una mera confidenza che potrebbe essere fatta a chiunque altro con cui si trovi in stretti rapporti di amicizia;
2) se quanto detto dall’avvocato sia di natura professionale (e, quindi, rientrante nell’ambito del mandato difensivo) oppure abbia una mera natura consolatoria ed “amicale” a fronte delle confidenza ricevute. ( in tal senso Cass. sent. n. 26323/14.)
Foggia, 19 giugno 2014 Avv. Eugenio Gargiulo