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Intermezzo: d’un libro amatissimo, Houjicha venerabile e rimasugli d’uovo

Da Lasere

10 apr 2013 @ 12:36

Tè, arte e poesia, Varie (oltre il tè), dal Giappone, tè verde

hojicha houjicha isabel allende la casa degli spiriti tè dal giappone tè tostato tè verde giapponese

Il qui presente Houjicha, da asciutto, profuma buono di fave di cacao e cioccolata, e blando caffè torrefatto, anche; assonanza facile e felice, quella con i rimasugli d’uovo pasquale: un morso di questo, un sorso di quello, ad abbreviarne il dissolversi tiepido in bocca e a smorzarne l’estrema dolcezza, col suo contegno sobrio di foglie – frammenti di foglie e rametti, nella fattispecie – dalla tostatura intensa, ma garbata.

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Modestie a parte, porta il gran nome Hijiri 聖 (appellativo di venerabilità solitamente riservato ai monaci buddisti più virtuosi) e proviene dai campi di Mr. Obayashi, stanti in quel di Okumikawa (prefettura di Aichi, isola di Honshū) e composti da piante che non vedono un pesticida da oltre trent’anni, ovverosia dal tempo in cui a Mr. Obayashi fu chiesto di produrre tè destinato all’Imperatore: da allora la sua attività, vasta appena 2 ettari, s’è votata non solo al biologico ma anche alla raccolta manuale, che ancora strenuamente dura, testarda e virtuosa, per l’appunto. Ciò detto non vi stupirà, io credo, saperlo tè proposto da Postcard Teas (che al momento in cui pubblico risulta però irraggiungibile, allora intanto rimando al mio post).

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Diversamente dal mio solito, stavolta ho sperimentato la maniera che sempre leggo in giro consigliata dai giapponesi stessi: circa il doppio delle foglie a cui siamo abituati noi occidentali, acqua riposata appena dopo la piena ebollizione (95° circa, dunque, quando prima mi fermavo intorno agli 80°) e solo 30” d’infusionetipo qui.

Il risultato mi soddisfa: il liquore è morbido e equilibrato al palato, mentre al naso è carbonella gentile e un che di caramello, dolcezza bruciacchiata che mi piace, sfruculiata appena da un balzano venticello salmastro che s’alza soprattutto alla terza infusione, a ricordarci che sempre tè verde è, questo, pur vestito di scuro, e pazzerello.

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Il libro-tovaglia parla invece d’America Latina, c’entra come il cavolo all’ora dell’high-tea ed è recente rilettura a distanza d’oltre quindici anni dalla prima volta: ero ragazzina quando me ne innamorai e sono donna ora che me ne innamoro da capo, più giù ancora. Per questo ve lo dico.

È, codesta Casa degli spiriti di Isabel Allende, racconto brulicante d’incanti e gente e storie indimenticabili, secondo me; più d’ogni cosa ci son donne immense, veggenti abbandonate strambe devote tragiche ardenti, e amori inconcepibili incoscienti come ogni amore giusto dovrebbe essere, per me – mio immenso malgrado; e poi nessuno muore mai davvero.
Poi c’è la Storia, di padroni e contadini, e Cile di tenute, coltivi e miniere, di primi Presidenti marxisti (Salvador Allende), di Poeti dalle case azzurre (Neruda), di golpe orrendi (Pinochet); e in questo sta il suo essere un roman à clef, che mi travolge.
Epperò, dicevo, tra tutti i personaggi io preferisco un uomo, il peggiore, quell’orribile Esteban Trueba collerico e reazionario, che vive prepotente, ama e disprezza violentissimo, fedele a sé stesso fino alla cecità, intransigente fino all’autodistruzione: me lo sento umanamente appiccicato, e certamente sbaglio a pensare che il suo amore valga cinque volte tanto, disgraziato com’è, e imperfettissimo, eppure lo penso, lo penso anche di me, presuntuosa, a costo di vedermi rattrappita l’anima come succede a Esteban, per delirio di grandezza che mi viene così bene, modestamente, e che ci volete farci.

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È un libro di quelli che mi lasciano orfana, e tra una rilettura e l’altra (sarò anziana alla prossima, chissà) tampono la mancanza riandando di tanto in tanto al film che n’è stato tratto nel 1993, tra i miei preferiti di sempre, con Jeremy Irons nei panni di Esteban Trueba (voglio dire, Jeremy Irons! Ora che ci penso, io credo non esista, nel mio mondo ideal, uomo più irresistibile di lui) e una Meryl Streep e una Glenn Close così brave che io ogni volta mi verrebbe da inchinarmi, guarda.

E poi, niente: due cose che non c’entrano, foglie e pagine casualmente mescolate, di quei giorni svagati in cui s’ha ancora meno voglia di rinchiudersi dentro uno schermo, c’è vento e cielo fuori a reclamare, e un sacco d’alberi e cose d’augurarsi o da dimenticare, allora vado, però prima faceva piacere passare di qui, affacciarmi e lanciarvi una chiacchiera scompigliata, da prendere al volo. Scappo allora ciao, alla prossima! ^_^


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