Come sapete oggi, 23 gennaio 2012, per il Web potrebbe essere una giornata storica. E’ infatti in previsione la serrata dei colossi Google, Amazon, Facebook, Twitter (e forse altri) in risposta al disegno di legge presentato dal deputato repubblicano statunitense Lamar Smith. Si tratta del SOPA, Stop Online Piracy Act, che ha già indirettamente portato alla chiusura del noto portale Megaupload.
Il SOPA nasce con l’intento di tutelare i proventi (leggi: gli interessi economici) delle multinazionali che guadagnano grazie al principio della proprietà intellettuale: case discografiche e cinematografiche, editoria etc etc. Per farla breve la misura prevista da questo provvedimento è l’oscuramento dei siti accusati di violare il diritto d’autore. Siti a cui si imputerebbe quindi la mancata vigilanza dei contenuti caricati. Vigilanza che tra l’altro appare alquanto improbabile, contando la quantità spaventosa di contenuti caricati ogni minuto su siti come Youtube o Blogger.
Al momento in cui vi scrivo non vi so dire se questo sciopero è stato confermato o meno. Per alcuni si tratta infatti soltanto di una bufala. Forse voi che steate leggendo già la sapete, mentre io lo scoprirò a breve, essendo questo articolo scritto e programmato nella notte di domenica 22 gennaio.
A ogni modo prendiamo questa notizia (vera o falsa che sia) come spunto per disquisire un po’ di internet, di condivisione, censura e di una buona fetta del futuro che ci attende. Perché il Web è una cosa seria, da qualunque parte la si guardi.
Non ho intenzione di tediarvi con questioni economiche o giuridiche, perché non ne ho la capacità. Se volete leggere un’analisi chiara e user friendly, vi consiglio di fare un salto qui. L’articolo di Paolo Bottazzini è abbastanza esaustivo.
Su Plutonia però non ci occupiamo di cose tecniche, non credendo nella tuttologia. Possiamo invece ricavarne qualche ragionamento molto alla larga, partendo da lontano.
Non è voglia di protagonismo
Tra le tante cose di cui ci accusano – alcune le trovate sintetizzate in questo articolo – c’è anche quella di essere dei blogger.
Ci dicono che siamo degli esibizionisti, degli egocentrici, dei repressi che si nascondono e fanno la voce grossa dietro un monitor. Il che, per una percentuale (credo minoritaria) della blogosfera, può essere anche vero. Ma facciamo un passo indietro.
Ho 36 anni, quindi ne ho vissuti ben 22 nel mondo senza World Wide Web. Roba che a molti adolescenti di oggi suona più o meno come se dicessi “il mio vicino di casa era un brontosauro”. Sono online dal 1998, quando mi collegavo in stile carbonaro dall’InfoLab dell’università, mettendoci una vita a caricare una paginetta dalla grafica spartana.
Fin dai miei primi giorni da internauta ho apprezzato il parere della condivisione e della partecipazione.
All’inizio c’erano le mailing list e i forum. Ne ho frequentati parecchi, di argomenti disparati (sport, giochi di ruolo, musica, celebrità, fantasy, fumetti, politica milanese), conoscendo una “diversa umanità”, composta in pari misura da gente assettata di arricchimento e da vandali del Web, che sempre ci sono e sempre ci saranno.
Anche se i forum mi hanno stancato, conservo questa esperienza giudicandola preziosa e indimenticabile.
L’esperienza dei blog è senz’altro più recente. Ho iniziato a bloggare attorno al 2001. I miei primi esperimenti in materia erano angoli di Rete frequentati da massimo dieci persone. Sinceramente non ricordo più i loro nomi. Non c’era grande interattività, ma era chiaro che il settore si sarebbe sviluppato da lì a breve.
Così è stato.
La blogosfera italiana è forse nel suo momento di maggior vitalità. Purtroppo c’è stato un ingresso massiccio di gente poco raccomandabile, ricchi di violenza nel linguaggio e di inciviltà mascherata da lotta al sistema – che sia esso quello economico, politico, editoriale, o anche solo il fan club di uno scrittore o di una cantante.
Purtroppo, ma anche per fortuna, la libertà di parola lascia spazio anche a questi elementi. Cercheremo di sopportarli o, al limite, ci dimenticheremo della loro esistenza.
Curare un blog, prima L’Orlo del Mondo, adesso Plutonia, è una delle attività che più mi realizzano nella vita. Più di scrivere racconti? Senz’altro, e di gran lunga. Pianificare i post, dare il via a discussioni e confronti, proporre spunti di riflessione, consigliare letture: queste sono cose a cui difficilmente potrei rinunciare.
Dicevamo, non è protagonismo.
La maggior parte di voi non mi conosce di persona. Sono piuttosto schivo, odio essere al centro dell’attenzione. Non ho mai partecipato né probabilmente parteciperò a meeting, movimenti trasversali, presentazioni dal vivo, raduni. Mi piace il rapporto faccia a faccia (uno a uno). Sono di quelli che pensano che, incontrandoci in tre, saremmo già con una persona di troppo tra i piedi. Limite mio, si capisce.
Gestire un blog mi dà invece la possibilità di esternare idee e pareri che dal vivo non riuscirei forse a trasmettere.
La parola scritta rimane, ha una memoria. Ci si può riflettere e la si può riponderare con calma, magari dopo mesi.
La condivisione
Oltre a riflessioni e a pareri, i miei blog hanno sempre condiviso consigli riguardanti libri, ebook, film, fumetti, giochi di ruolo, canzoni.
Dal momento in cui io scrivo “il film Tal dei Tali è molto bello” sono consapevole di istigare 8 persone su 10 a cercarlo su eMule e 2 su 10 a comprarlo in negozio. Una media sproporzionatamente a favore della pirateria, per parlare di semplice matematica.
Eppure nei miei intenti non c’è mai la volontà di guidare il lettore verso una scelta oppure l’altra. Sono anzi consapevole che la mia recensione servirà comunque a promuovere e a pubblicizzare il prodotto in questione. Anche perché io parlo quasi sempre di cose che mi sono piaciute. Scelta codarda, dicono alcuni. Io preferisco parlare di positività: perché spendere ore per scrivere un articolo la cui sintesi potrebbe essere “questo libro è una merda”? Per dare un giudizio così lapidario mi basta la bacheca di Facebook, se proprio sento il bisogno di farlo.
Ora, concludendo, vorrei ribadirvi che eviterò ogni discorso economico riguardante la pirateria online, la condivisione etc. So soltanto che quando certi provvedimenti sanno troppo di censura, non mi piacciono.
So cos’è la libertà di parola su Internet, so anche cosa significa spostare l’asse dei mercato (parlo di mercato di intrattenimento – il mio campo) in base a opinioni genuine e non solo grazie a campagne di parte e a marchette di vario tipo.
Per esperienza personale, perché in fondo questa conta, sono consapevole che molte realtà editoriali preferiscono che si parli di loro, anche in termini di pirateria, piuttosto che un silenzio tombale. Se un blog scrive: “questo serial è bellissimo, lo potete trovare in streaming” fa comunque una pubblicità notevole al serial in questione.
Forse andrebbe rivisitato l’intero concetto di mercato. Per quanto certi dinosauri preferiscono calvalcare l’onda del possesso materiale (il disco di vinile! Il libro di carta!) non bisogna aver paura di parlare di commercio digitale, di abbattimento dei costi. Creare un equo mercato mi sembra il modo più intelligente per tagliare le gambe alla pirateria, per creare una coscienza al consumatore.
Ma, come ho detto, non mi voglio spingere troppo in là con le mie considerazioni.
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