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internodue: Paola Foderaro, Caramella

Creato il 26 giugno 2012 da Sulromanzo

internodue: Paola Foderaro, Caramellainternodue approda alla sua fine. Dopo cinque mesi di intenso lavoro che hanno costantemente tenuto aperto il cantiere settimana dopo settimana, moralmente soddisfatti delle proposte fatte, orgogliosi di vedere i nostri racconti sempre tra i più letti di ogni mese, felici per aver coinvolto penne brillanti e voci freschissime, mettiamo un punto. Così, perché va fatto.

Ci congediamo con una caramella. L'orecchio e la sensibilità di Paola Foderaro, già messi alla prova in lavori editoriali, qui si presentano in un racconto/favola dalla prosa ammaliante, dal ritmo sicuro e da un tocco leggerissimo. Vi lasciamo con questa lettura che è anche un omaggio affettivo e diciamo grazie: a chi c'è stato, a chi ha letto,  a chi ha apprezzato, a chi no e anche a chi non ha avuto il tempo per farlo.

Caramella

E stettero immobili a fissarsi per ore, il cavaliere fuori e la fanciulla dentro. Ogni tanto lei, quando si era asciugato, leccava il vetro fatto di zucchero, per renderlo di nuovo trasparente e contemplare il volto del giovane. La scimmia albina rivolgeva alla padrona improvvise smorfie piene di denti, pensando di distrarla e farla sorridere, ma senza risultato; la pantera a due teste si strusciava sulle gambe del misterioso uomo. Lui rimaneva fermo e muto fuori dalla casa, avvolto in quell’incomparabile nerezza, a fissare attraverso la finestra colei che aveva cercato così a lungo. Pensieri dolceamari, desideri oscuri e ferite congelate iniziavano a sciogliersi dentro di loro.

*

«...Caramella?» le chiedo dopo aver accettato il suo consiglio sulla locanda. La vecchia con cui parlo, finora è stata gentile e disponibile, ma la mia ultima domanda ha guastato il dialogo. Guarda nervosamente a terra, sospira e preoccupata mi dice: «Non si offre a nessuno perché nessuno la accetta», e con fare seccato, si copre la testa e se ne va. Pare augurarmi di esser divorato dal sole che sta sorgendo immenso e vorace alle nostre spalle.

Ma il sole qui fa solo scena. In questa terra desolata tira sempre vento gelido e non ho ancora incontrato nessuno disposto ad aiutarmi a trovare Caramella – Amore mio, aspettami! Sto correndo da te! ‒ Risalgo sul mio destriero e riprendo a galoppare controvento – Ferma dove sei, sto per trovarti!

È mattino. Caramella apre gli occhi e li richiude subito, strofinando le gambe sulle lenzuola nere e lucide come pelle di balena. Deve aver dormito un paio d’ore di troppo perché dai vetri opachi della camera passa troppa luce. Si massaggia il collo, cerca di alzarsi ma la testa rimane attaccata al cuscino: la chioma è troppo pesante. Un paio di ore di sonno in più e i capelli sono quasi mezzo metro più lunghi del solito. Skiuma, la scimmietta albina, arriva subito saltellando, poggia a lato del letto un cesto e le porge le cesoie che aspettano sul comodino. E Zacchetezàc! Caramella taglia via la chioma prodigiosa che le è cresciuta di notte, poi la posa con amore nel canestro. Skiuma lo piazza subito sotto la macchina da cucire e fa l’applauso.

Del filo setoso e nerissimo che cresce solo in testa a Caramella, i prìncipi tristi della terra si sono innamorati. Perciò commissionano a lei i vestiti per i loro lutti, e gli ombrellini neri da abbinarci: solo la famosa Caramella possiede il misterioso materiale che nessun altro sarto riesce a procurarsi, e poi, sempre malinconica com’è, quella produzione fa per lei. Se chiedete a un bambino di qui di disegnarla, la fa con la bocca in giù e i capelli corti, perché così appare quando esce di casa per spedire le sue confezioni. Nessuno sospetta che se li tagli ogni giorno, e che ogni notte le crescano a quel modo. Se la vedessero appena sveglia, quando la sua chioma tocca il pavimento, non la riconoscerebbero – forse, pur di non ammettere che è lei, la ucciderebbero.

Cavalco fieramente da svariate ore in questa steppa desolata che non ha limiti né centro. Praterie scorrono polverose al mio fianco senza mai concedere il piacere di una nuova angolazione, né la consolazione di un altro animale in corsa. Ma ecco che una torre svetta e dei tetti zigzagano: sto per giungere in un paese! Sono vicino a Caramella, con tutto il mio cuore io lo sento!

Scendo da cavallo e mi metto a camminare tra case di sasso e recinti di terracotta. Ma anche qui tutto è isolato e gelido. Scorgo un nugolo di gente scura che segue lenta un carro funebre. Se ne vanno lasciandosi a lato una chiesetta in cui sta entrando una manciata di persone, così frettolose che tra tre parole l’ultima ha già sprangato il portone da dentro. Mi supera da dietro un anziano che corre con le guance gonfie, picchia a quell’uscio ma evidentemente lo hanno chiuso fuori. Lasciatemi entrare!

In casa di Caramella c’è sempre puzza di bruciato perché tutto è fatto di caramello cotto e solidificato. I mobili, le stoviglie, le mattonelle – e le fughe –, le porte e i sanitari, compreso il bidè, sono in caramello; i pavimenti poi sono di caramello così caramellato che più lucidi di così si muore. Tende, lenzuola, tovaglie, salviette e presine, son tutte di tessuto di chioma. E in camera, vicino alla finestra, c’è un’arpa di caramello, con le corde... indovinate di che cosa.

In giardino tutte le notti le barbabietole crescono alte come faggi. Ogni mattina Piùomeno, la pantera nera a due teste che fa la guardia, va a far le fusa a Caramella scodinzolando e strusciandosi sulle gambe. A un cenno della padrona, torna a sonnecchiare setosa sotto a un riccioloso gazebo, mentre Skiuma porge alla padroncina un’enorme sega da taglialegna a due manici. Una di qua, una di là, tirano giù il tuberume, aprono una botola nascosta e ci si tuffano dentro assieme al raccolto.

Mentre cammino verso di lui, il tizio mi squadra con aria di disapprovazione. Ma è un uomo che fa corse folli, è uno che hanno lasciato fuori: non può non capirmi!

«Sono alla disperata ricerca di Caramella. La scongiuro, me lo dica, mi dica dove vive.»

«Perché la cerchi?»

«Perché da quando so che esiste, non trovo pace.»

«È una fanciulla che non si offre a nessuno perché nessuno la accetta. Chi saresti tu per farlo?»

«Non capisco. Come mai l’hanno lasciata fuori? Perché si comportano così?»

L’uomo starnutisce, e poi ancora, e poi finisce in preda a una tosse che romba e raglia e ringhia, poi rallenta, si calma ma è così rosso in viso. Due lacrime dense scendono a lato degli occhi. «Non lo so perché mi hanno lasciato fuori» risponde singhiozzando.

«È lo stesso per me!» replico, triste.

Medita, scalcia i sassi per terra – si rovinerà le scarpe buone –; si alza con piglio ribelle e mi dice: «Vai dritto al galoppo per questa via che hai imboccato. Giungerai a una radura. Vai oltre e fallo un’altra volta. Quando vedi una ciminiera che spunta da un grosso cubo nero e butta fumo, ci sei. Perbacco, giovanotto, sei fortunato: hai un gran bel cavallo!»

È sera. Quando la fanciulla riapre la botola ed esce all’aria fresca, un lampo balugina nel cielo. Caramella allora bacia le teste di Piùomeno e il fusto delle barbabietole, poi entra in casa, si siede a mangiare e bacia il tavolo e il piatto e anche le barbabietole condite e infine sale in camera, leccando il corrimano della scala. La scimmietta copia tutti i suoi gesti.

È in arrivo una notte di furore: quando i lampi macchiano il buio, Caramella crea fogge pazze, assurde, irriverenti, mentre Skiuma gira la manovella della macchina da cucire cantando con gli occhi chiusi. Al mattino, per la vergogna e per l’oblio, spediranno i pezzi ad indirizzi a caso. Se un re o una regina vedessero quegli abiti inspiegabili, condannerebbero Caramella alla prigione perpetua – a morire soffocata dai suoi capelli in perenne crescita dentro alla cella.

Ma prima che il gioco cominci, stavolta qualcuno bussa alla porta.

*

Erano passate ore. Ancora lo fissava a bocca aperta. Il cavaliere indossava un mantello con un cappuccio enorme, dagli orli pendevano monete di caramello su cui non c’erano il re e la regina, ma la testa di un maiale in divisa e un’oca vista dal deretano; da dietro usciva una lunga coda intrecciata; le maniche si chiudevano in un guanto che aveva il dorso ricamato con uno stemma regale e finiva in appuntite unghie di caramello cucite sulla stoffa.

La fanciulla guardava incredula la sua creazione. Chissà cosa significava. Ma tanto era splendida magnifica sublime. La regina e suo marito, un’oca e un porco. Pensandoci, all’improvviso Caramella rise: Skiuma non l’aveva mai vista farlo e decise che il momento era arrivato. Con una testata ruppe il vetro della finestra, raccolse i pezzi e li offrì ai due. Succhiando quell’impasto di zucchero, il cavaliere tese la mano alla ragazza della cui chioma si era vestito. E così si tennero tra applausi infiniti e interminabili ruggiti per tutta la vita.

Paola Foderaro nasce a Cremona nei fantastici anni Ottanta. Attualmente vive nell’unica città italiana di cui non riesce a imparare il dialetto, Verona. Trascorre il suo tempo con la bocca aperta davanti allo specchio del bagno, guardando con tragica compassione i suoi denti del Giudizio.

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