Parte Critica.
Tesi conservatrice.
Il brigantaggio come manifestazione di criminalità comune su un sottofondo sociale mai meglio precisato. Una delle caratteristiche di questa tesi si ripresenta nella questione razzistica, cioè nel relegare a una questione antropologica deviata tipica dei contadini e delle popolazioni meridionali; e in senso più generale si attribuisce alla civiltà contadina un rifiuto totale di una non precisata modernizzazione.
Tesi anarcoide (movimenti giovanili della sinistra rivoluzionaria).
Il brigantaggio viene visto come forma ante litteram della lotta antiborghese e anticapitalistica, o più precisamente dell’opposizione antiautoritaria ai nuovi e vecchi regimi, quindi come moto della classe contadina del sud in uno scontro sociale che preconizza la lotta di classe marxisticamente intesa. Si scrive intorno alla vocazione del rivoluzionarismo del proletariato meridionale. E si fanno distinzioni tra lo “spontaneismo” bakuniniano e la coscienza di classe marxistica.
Questioni fondamentali sollevate:
- o carattere di classe del fenomeno del brigantaggio
- o impatto del brigantaggio sulla crisi generale della società meridionale.
Sull’aspetto di classe non sussistono dubbi: quasi tutti i capibanda e i gregari provenivano dal sottoproletariato agricolo.
Brigantaggio come “ultimo dramma” della questione demaniale ? (G. Fortunato).
La trasformazione della maggior parte della nobiltà fondiaria già feudale in nobiltà fondiaria in buona parte imborghesita e perlopiù latifondista e assenteista e lo sviluppo della grande borghesia agraria, attorniata e contrastata dalla massa inquieta della piccola e media borghesia urbana e rurale, portò alla rovina degli strati contadini. Le quotizzazioni dei demani comunali tra i contadini poveri furono rinviate e abbandonate. Negli anni ’60 erano 100.000 le quote (su qualche milione di contadini) le quote assegnate ma poi inglobate nelle grandi proprietà perché nessun contadino con quota aveva aiuto da parte dell’autorità (contributi finanziamenti pianificazione ecc.). Iniziarono le usurpazioni e la tutela dello status quo dei latifondisti era la legge. Anche la piccola e media borghesia volevano accedere alla quotizzazione.
Effetti e ripercussioni: “manutengolismo” come patteggiamento con cui la borghesia agraria fu obbligata dal terrore contadino, per cui vi era il tentativo di tendere la mano alle forze repressive dello Stato e allo stesso tempo organizzare la difesa attraverso figure criminogene (allo scopo d’intermediare il “monopolio della violenza” con queste “agenzie” o “camurrie”). Da ciò si evince che non bisogna sopravalutare ne generalizzare l’influenza della borghesia sul brigantaggio.
Qual era la relazione reale tra la forte milizia contadina e la reazione clerico-borbonica (col suo esercito in disfacimento)? Paternalismo borbonico, ascendente sociale delle famiglie nobili e il potere spirituale e propagandistico del clero.
Invece l’autonomia “politica” si era espressa completamente col “caso Crocco-Borjes”.
L’autonomia, in questo caso va intesa come reazione alla violenza repressiva: ma sempre si tratta di un’autonomia non definita e soffusa. Non appare nessun “partito contadino”.
Essi –i contadini- difendono con energia e a loro modo i propri interessi di classe sociale in nuce. Tuttavia non sanno andare oltre le azioni distruttive e anarcoidi non riescono mai a mobilitare grandi masse di combattenti, a strutturare un esercito contadino, a estendere su vasta scala le loro operazioni militari, a liberare durevolmente zone o centri importanti dove proclamare governi contadini. Nessun passaggio da guerriglia a guerra contadina.
Nel secolo XIX°, in Italia, la classe storicamente progressista era la borghesia liberale nel suo insieme. Nell’annettersi il mezzogiorno la destra moderata operò scelte politiche e sociali ancora più conservatrici che altrove perché ancora maggiori furono qui i timori e quindi il distacco e l’ostilità verso le aspirazioni dei più larghi strati del popolo e in particolare delle masse contadine.
CONCLUSIONI
Con una politica più coraggiosa e ragionevole (accesso agli impieghi civili e militari, sicurezza come misura preventiva – e non reattiva!-, avvio di un serio sviluppo economico e non l’espropriazione delle industrie già esistenti), i governi moderati avrebbero potuto guardare ad alleanze con forze sociali omogenee impiantando l’edificio dello Stato unitario su un fondamento più solido e a largo consenso.
Era possibile ottenere l’appoggio, certo temporaneo, delle masse contadine a un prezzo non eccessivo (vaste quotizzazioni e assistenza alle terre quotizzate) con lo scopo di ottenere fasce di piccoli proprietari filo-unitari.
Dopo la repressione militare della protesta armata ai contadini del sud non rimarrà altra scelta, per un intero periodo storico che percorre a milioni le vie dure dell’emigrazione, rassegnati e indomiti allo stesso tempo.