Sono in un vivaio con un vecchio amico, parliamo delle erbacce inutili e tempestanti che soffocano gli orti non curati, io gli mostro delle piante aromatiche e ne compro alcuni piccoli vasi, sono per il nostro giardino, gli dico. Metto gli acquisti in un sacchetto di plastica bianco, tanto li trapianterò immediatamente. Ci avviamo verso la periferia, dobbiamo raggiungere la campagna.
Dopo una svolta ci si para davanti una donna, vecchia e nuda, con un cesto della spesa e con il culo sanguinante. Si stringe le natiche cadenti con la mano e si ferma al cancelletto di una casa.
Il mio accompagnatore mi avvisa che è vittima di torture da anni, che è il marito a infliggergliele. Vedo che lei ha il capo rasato e lui dice, sibillino: non è come sembra, non averne pietà.
Invece entro in casa, sono preoccupata e ho anche paura.
La casa è su più livelli, ma le scale non sono presenti ovunque, quella dimora è un continuo saliscendi di stanze tra sprazzi di luce e angoli oscuri. La donna si volta ed è vestita e ha corti capelli grigi e mi parla con naturalezza, spiegandomi che il marito le ha fatto le più atroci nefandezze e che lei ne è felice.
Si rammarica solamente della mancanza di un balconcino e delle finestre poste troppo in alto, dalle quali non vede la strada e i passanti. In effetti, le stanze hanno soffitti alti e le finestre sono ornate da vetri gialli e smerigliati. Oltre il corridoio intravedo una camera: lei dice che lì c’è suo marito, che ormai è invalido, quindi lei ha il permesso di uscire per la spesa, ed è l’uomo che in passato le ha fatto di tutto. Mi dice che ciò che ho visto in strada, la sua umiliazione e il suo sangue, era solo la proiezione del suo passato.
La donna si dilunga con l’elenco delle sodomie subite, dice che fu anche impalata al ramo di un albero.
A questo punto nemmeno l’ascolto, ho capito dai suoi atteggiamenti che lei se ne compiace, che non è meno pazza di lui. Un senso di pericolo e timore m’induce a fare qualche passo verso l’atrio d’ingresso. Lei cerca di trattenermi, m’invita in cucina, indicando verso l’alto. Sul soffitto dello strano corridoio dove siamo sostate, c’è una botola alla rovescia, aperta ed assolata. E’ il passaggio verso la cucina. Lì per lì penso di ubbidirle, è l’educazione inculcata a farmi tentennare, ma per fortuna vedo che non c’è nemmeno una scala a pioli ed io non saprei issarmi. Le dico che non fa niente e guadagno la porta.
Una volta all’esterno sono in una specie di ristorante all’aperto, attorno c’è il verde del bosco primaverile. So che è presente il mio amico, che mi aveva aspettato fuori, ma la mia attenzione è per un bell’uomo brizzolato e piacente, in compagnia di un bel bambino dai capelli da angelo, biondi e ricadenti sulle spalle. L’uomo è il marito della donna e quello è loro figlio!
Mi accorgo con stupore che non è invalido, né decrepito, ma che si è conservato bene forse per ingannare con un’apparenza impeccabile. Immagino voglia espormi la follia della moglie e invece è del bambino che parla, il suo unico bene. Il ragazzino avrà dieci anni ed è pestifero, dice cose orribili al padre, è violento e capriccioso, alza le mani e sembra covare un odio atavico per tutto. Guardo l’uomo, gli chiedo perchè mai l’abbia viziato tanto e lui, indicando la casa dov’è la moglie, mi dice che il suo male lo dirige tutto verso di lei, che a loro sta bene così, e di conseguenza non è capace di indirizzarlo verso il figlio per educarlo, che per lui è l’opposto della moglie. Il bambino disturba, dice parolacce, fa versi ed io mi chiedo se, una volta più grande, non sarà destinato alla fine della madre, succube e felice… certo uno dei due finirà così. Pizzico la bocca del ragazzino con due dita con durezza, è così esterrefatto di quella mia imposizione che si zittisce e si mette seduto. Cerco di dire all’uomo che lo rovinerà, ma lui ancora si giustifica.
Esasperata e innervosita (mi faceva più paura la vecchia), lascio quel luogo e nuovamente mi avvio con il mio amico verso il sentiero del bosco, ordinato come un giardino.
Rifletto ad alta voce con lui: è proprio vero che il male si nasconde là dove non immagineresti, che è come la gramigna, riesce ad attecchire dappertutto, e allora estraggo le piantine. Hanno preso la forma di palline di legno, quelle che si usano per profumare la biancheria, ma io so che sono semi.
Camminando sulla strada bianca ne getto uno nel primo spiazzo erboso, e in quello dopo e poi ancora e ancora. Mi faccio aiutare dall’amico e gli spiego: meglio seminare questi, che lasciare che si espandano la gramigna e le erbacce, il nostro giardino è già bello, arricchiamo il bosco, che da ogni seme nasca qualcosa di buono e non lasci spazio all’erba cattiva!
E mi sono svegliata.
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