Intervenire, O NU?

Creato il 27 agosto 2013 da Federico85 @fgwth

Chuck Hagel, Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, in un’intervista alla Bbc sulla Siria ha detto: «Siamo pronti a intervenire» (New York Times)

«Alcuni paesi arabi esportano datteri. Altri, più fortunati, petrolio. La Siria solo guai». Mentre nel mondo social italiano tra un tweet e un post su Facebook ci si diverte a citare con compiaciuta arguzia questa massima di un non meglio precisato “diplomatico inglese del secolo scorso”, la già drammatica situazione siriana rischia di conoscere una nuova, violenta fase. L’intervento militare caldeggiato da Stati Uniti e Gran Bretagna e appoggiato da Francia, Turchia e Lega Araba, rischia di scatenare un pericoloso innalzamento di temperatura nel già incandescente scacchiere mediorientale. Il duro intervento del Segretario di Stato Americano, John Kerry, contro il regime di Bashar al-Assad rende ormai chiaro come l’amministrazione Obama non intenda più stare a guardare e usare i consueti canali diplomatici. Certo, che i massacri e le uccisioni facciano quasi 5000 morti al mese, tra cui molti civili inermi,  non sembrava un problema così stringente. Almeno fino all’utilizzo (ignobile, inutile sottolinearlo) delle famose “armi chimiche”. Perché secondo il formalismo delle convenzioni massacrare a colpi di mortaio o con una sventagliata di kalashnikov un nemico o anche dei bambini è lecito, mentre usare armi chimiche è un’intollerabile vergogna. Naturalmente con questo non si auspica che tutti possano usare ogni tipo di arma, ma solamente denunciare la pochezza ipocrita che sta dietro alla definizione del concetto di “arma convenzionale”.

Ma l’evanescente gas sarin delle armi chimiche sembra essere l’unico chiodo fisso di americani e comunità internazionale. L’interventismo occidentale non sembra nemmeno voler aspettare “le prove” che quel criminale di guerra di Assad (fino a due anni fa prezioso e fedele alleato) stia giocando sporco per avere la meglio sui ribelli che da più di due anni cercano di destituirlo con la forza. Che gli ispettori Onu le trovino o meno, (sebbene molte ong, tra cui la Croce Rossa, confermino l’utilizzo di esse) la forza va usata. Le modalità e i tempi sono ancora da prevedere, ma è ritenuto abbastanza improbabile un attacco via terra . All’inizio, come “messaggio”, un bombardamento con missili cruise diretto contro obiettivi militari del regime dovrebbe dare una raddrizzata a quel lestofante baffuto di Assad.

Intervenire, come detto, rischia però di innescare una reazione a catena di difficile previsione. Cina e Russia – che con Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna rappresentano i 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu – hanno già fatto sapere a più riprese di essere assolutamente contrarie all’intervento e di far valere in caso il loro diritto di veto in seno al Consiglio, che precluderebbe ogni sorta di intervento sotto l’egida Onu. L’uso della forza da parte di Stati Uniti e alleati significherebbe – ancora una volta – scavalcare o peggio ignorare bellamente quello che dovrebbe rappresentare l’organismo supremo nella regolamentazione della politica internazionale. Ridestando le tesi di quanti sostengano l’assoluta inutilità dell’Onu, paragontao alla Società delle Nazioni, “l’antenato” sorto a Ginevra tra le due guerre mondiali che all’atto pratico non riuscì a frenare minimamente la deriva bellica dell’Europa e del mondo.

E l’Italia? Quella che in questi casi viene un po’ sprezzantemente definita come una “portaerei americana nel Mediterraneo” sembrerebbe indirizzata su una posizione non-interventista. «L’Italia non prenderà parte a soluzioni militari al di fuori di un mandato del Consiglio di sicurezza dell’Onu» ha detto Emma Bonino, Ministra degli Esteri, alle Commissioni Esteri congiunte. Ribadendo come la difficile soluzione del caso siriano sia da ricercare sul terreno della politica e non su quello delle armi. Nel concreto ciò significherebbe non dare il via libera ai mezzi americani a passare/sorvolare il territorio italiano, fatto che costituirebbe un’importante novità nella storia delle relazioni tra i due paesi. Per cautelarsi, nel frattempo gli Stati Uniti avrebbero chiesto alla Grecia, alleato Nato, di concedere alle unità della marina Usa e agli aerei della Air Force di transitare sul territorio ellenico, oltre all’utilizzo della base militare Usa di Souda Bay, sulla costa nord-occidentale dell’isola di Creta, e di quella dell’aviazione greca a Kalamata, nel Peloponneso.

Da qualunque parte la si osservi, la situazione è dannatamente complicata e fa dibattere analisti e politologi. C’è chi definisce il medioriente come i balcani del ventunesimo secolo. Speriamo solo che il 2014 non replichi quanto accaduto esattamente cento anni prima.



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