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Interventi comunitari sulle crisi psichiatriche

Creato il 08 dicembre 2014 da Raffaelebarone

I dispositivi gruppali community-based e recovery-oriented per gli interventi sulla crisi in salute mentale ed i loro precursori nel modello della Comunità Terapeutica Democratica

Simone Bruschetta
Il movimento del recovery sta trasformando la percezione della capacità della ricerca evidence-based di sostenere lo sviluppo di pratiche terapeutiche efficaci e la progettazione dei Servizi di Salute Mentale apprezzati dagli utenti, rilanciando il valore del sostegno tra pari all’interno di dispositivi terapeutici comunitari (Davidson, Drake, Schmutte, et al., 2009; Slade, 2009a). Oggi possiamo usufruire di alcuni esempi eccellenti di ricerca recovery-oriented capace di evidenziare quale tipologia di Servizi aiuti le persone con grave patologia mentale a vivere una vita soddisfacente nella comunità sociale. Questi sono proprio i Servizi altamente individualizzati che integrano le prassi evidence-based, con quelle community-based.
Anche se l’organizzazione di siffatti Servizi spesso richiede risorse aggiuntive, essi contemporaneamente permettono di ridurre i costi di altri servizi di salute mentale (come i ricoveri ospedalieri o in strutture residenziali), e soprattutto di promuovere la fiducia sociale e l’inclusione nella comunità locale.
La ricerca scientifica orientata al recovery sta anche dimostrando che il ruolo svolto dai farmaci nel sistema dei Servizi di Salute Mentale è diventato una fonte di crescente preoccupazione, e che ci sono diverse ragioni per ritenere che la spesa corrente per essi impiegata sia eccessiva (Latimer, Bond, Drake, 2011). Allo stesso modo, esistono prove evidenti nei report clinici e negli studi a lungo termine che i farmaci vengono utilizzati in maniera eccessiva (Whitaker, 2010). Segnaliamo che pure la spesa comunitaria per alloggi inadeguati, nei quali si rimane a lungo ed inutilmente, e la spesa per servizi di formazione professionale, inefficaci e non orientati al recovery, sono forme di cattiva allocazione delle risorse.
Al contrario, una politica di salute mentale volta a realizzare il pagamento delle prestazioni di cura attraverso budget individuali, basati sui bisogni di salute, permette agli utenti dei Servizi un maggiore controllo sulle prestazioni delle quali necessitano e promuove decisioni condivise tra tutti gli attori coinvolti (Moser, Bond, 2009; Latimer, Bond, Drake, 2011)
Anche se è difficile stimare i potenziali risparmi che potrebbero essere realizzati, è ormai osservazione comune, oltre che evidenza scientifica, che i ricoveri psichiatrici troppo costosi, perché inutili e continui, possono spesso essere facilmente evitati. Invece, staff multidisciplinari di presa in carico clinico-comunitaria intensiva sul territorio (Assertive Community Treatment -ACT- in the Community Mental Health Teams – CMHTs) (indirizzati a quelle persone che incorrono in ricoveri ripetuti) sono in grado di ridurre significativamente il numero e la durata dei ricoveri ospedalieri; e squadre di risoluzione e trattamento domiciliare delle crisi (Crisis Resolution Teams – CRTs – or Crisis Resolution and Home Treatment Teams – CRHTTs) possono essere attivate come dispositivo di prima scelta in alternativa al ricovero ospedaliero.
Le risorse economiche che siffatti dispositivi richiedono all’amministrazione sanitaria risultano di gran lunga inferiori perché attingono alle risorse di collaborazione e sostegno forniti naturalmente degli ambienti di vita degli utenti e perché si appoggiano organizzativamente sulle reti sociali su cui basiamo i progetti terapeutici personalizzati, con tassi molto più elevati di soddisfazione dei trattamenti erogati. Purtroppo, la maggior parte delle persone che potrebbero beneficiare di questo tipo di servizi non vi ha ancora facile accesso (Latimer, 2005a; 2005b).
È inoltre patrimonio comune che i precedenti della presa in carico comunitaria intensiva e della risoluzione domiciliare delle crisi si trovano nel peculiare sviluppo che ha avuto negli Stati Uniti l’approccio della Comunità Terapeutica (Polak 1967; 1970; 1972; Polak, Jones, 1973). La ricerca sulla pratica terapeutica comunitaria territoriale ha infatti dimostrato come il lavoro quotidiano con le relazioni sociali in contesti residenziali istituzionali può essere proficuamente trasferito nella vita reale, in territori, ambienti ed abitazioni, fuori dai contesti istituzionali (Tucker, 1998; Barone, Bellia Bruschetta, 2010).
Segnaliamo tra l’altro che anche la moderna ricerca scientifica sull’efficacia clinica della Comunità Terapeutica sta mettendo in luce le stesse problematiche emerse nel caso di tutti gli altri dispositivi terapeutici per la grave patologia mentale.
Più precisamente, il coinvolgimento degli utenti nei processi di valutazione dell’efficacia dei trattamenti ha riproposto fortemente i temi della ricerca psicopatologica e psicosociologica di base (Hinshelwood, 2010) poiché la ricerca evidence-based si è mostrata, anche in questo campo, totalmente incapace di comprendere i processi terapeutici fondanti il dispositivo della Comunità Terapeutica, basati sulla democrazia delle relazioni gruppali, dell’aiuto tra pari e della cultura comunitaria, così come quelli che definiscono il concetto di guarigione, basati sui valori della diversità, della ricerca di senso e della responsabilità personale.

I team per la risoluzione e il trattamento domiciliare delle crisi
La ricerca clinica suggerisce ormai con una certa sicurezza che le squadre CRHTT sono molto efficaci ed apprezzate per la loro capacità di migliorare i servizi di presa in carico intensiva delle fasi acute e post-acute e di ridurre il numero di ricadute (Minghella et al., 1998; McGlynn, 2006).
I principi base del dispositivo CRHTT, che si prestano ad essere oggetto di protocolli di ricerca empirica e qualitativa, sono:
– la continuità della responsabilità clinica territoriale nell’arco delle 24 ore, sette giorni su sette sino alla completa risoluzione dell’episodio critico;
– il lavoro nella comunità e presso il domicilio o gli altri ambienti sociali di appartenenza degli utenti;
– la funzione di intermediazione con tutti gli altri servizi sociali e sanitari offerti dalle agenzie locali;
– la collaborazione stretta con i familiari, gli amici ed i care-giver degli utenti ed il lavoro di cura delle reti sociali di sostegno cui questi appartengono;
– l’attenzione alla manutenzione ed alla supervisione delle dinamiche psicologiche e relazionali all’interno del gruppo di lavoro degli operatori;
– il lavoro di interconnessione tra questo servizio e tutti gli altri dispositivi community-based attivati sul territorio.
Come nel caso dei Team multidisciplinari CMH basati sul gruppo di lavoro, anche il modello CRHTT ha conosciuto diverse applicazioni. Esse risultano difficili da validare attraverso la ricerca evidence-based, ma hanno avuto la capacità di evolversi in numerosi contesti istituzionali, ambienti sociali e popolazioni cliniche nonché di rispondere, come già accennato nel precedente paragrafo, alle nuove tematiche che riguardano i pazienti che soffrono di grave patologia mentale nei contesti urbani e che necessitano di specifici dispositivi terapeutico-comunitari.
Inoltre, l’approccio fondato sulle reti sociali trova nel dispositivo CRHTT un campo di applicazione elettivo, a partire dalle evidenze di come le caratteristiche delle relazioni sociali che l’individuo intreccia nel suo ambiente non soltanto sono in grado di interferire sulle condizioni di buona o cattiva salute (Berkman, Kawachi, 2000), ma anche di scatenare, aggravare, attenuare o ricomporre una condizione di acuta sofferenza mentale o di crisi comportamentale dirompente (Bridget, Polak, 2003a; 2003b). Su questo approccio si basa anche la tecnica di valutazione diagnostica e di efficacia terapeutica denominata “Colloquio Carta di Rete” (Bruschetta, Giunta, 2010). La Carta di Rete è una tecnica di mind-imaging, che visualizza e misura i reti sociali di sostegno e partecipazione che organizzano la vita affettiva, familiare, sociale e lavorativa degli individui. Essa viene usata per l’esplorazione delle reti sociali di appartenenza tanto degli utenti, quanto dei familiari e degli operatori dei Servizi Clinico-Sociali alla persona.

Il Social Systems Meeting
Un dispositivo di intervento terapeutico gruppale e comunitario da utilizzare specificamente in condizioni di crisi è stato sviluppato da Bridget (2006) e validato in letteratura sotto il nome di social systems meeting.
Tale tipologia di CRHTT è composto da veri e propri gruppi operativi e vitali focalizzati sulla risoluzione della crisi che convocano come partecipanti i referenti dei sistemi sociali coinvolti dalla espressività sintomatologica e comportamentale dell’utente.
In genere, si considerano quattro grosse tipologie di sistemi sociali variamente in interazione reciproca all’interno di un contesto sociale più ampio identificato nella comunità locale: famiglia, vicinato, amicizie, contesto lavorativo. Ad essi si aggiunge un quinto sistema sociale costituito dal contesto istituzionale dei Servizi di Salute Mentale e dai loro dispositivi terapeutici di volta in volta attivati, ovvero il sistema terapeutico.
Le caratteristiche di sovrapposizione reciproca e di inclusione in essi dell’utente trovano una utile rappresentazione nella “Mappa della Rete Sociale” (ved. Figura 1), nella quale le dimensioni dei cerchi indicano il valore psicologico e le loro sovrapposizioni ne rappresentano le interazioni. (Bridget, 2006).
Un sistema terapeutico che funzioni deve ritrovare l’utente in una posizione centrale, e deve avere una dimensione tale da non includere al suo interno la totalità degli altri quattro sistemi sociali. In questo caso è possibile sostenere che il sistema terapeutico funzioni come una comunità terapeutica atta a sostenere lo sviluppo delle relazioni sociali dell’utente attraverso la sua partecipazione alla comunità locale (Barone, Bellia, Bruschetta, 2010).

Figura 1
La metodologia di lavoro proposta attraverso il social systems meeting parte dal presupposto che la crisi dell’individuo sia non solo un “fatto personale” del paziente, ma anche un evento disorganizzatore di uno o più sistemi sociali. Il modo in cui ciascun sistema vi farà fronte dipende dai suoi punti di forza e di debolezza e dalla dinamica socio-culturale che caratterizza la comunità locale in quel dato momento storico.
Il community meeting dei sistemi sociali coinvolti serve innanzitutto ad indagare gli effetti e le caratteristiche di queste dinamiche e ad attivare processi inclusivi anziché espulsivi, ma anche ad elaborare la particolare posizione che viene ad assumere il quinto sistema sociale rappresentato istituzionalmente dai dispositivi di cura psichica attivati in quel dato momento. Il CRHTT per essere efficace ed utile deve sapere come è posizionato all’interno di questo quinto sistema sociale e di come a sua volta quest’ultimo sia integrato nella vita dell’utente, con gli altri quattro sistemi sociali e nella comunità locale più ampia.
Nell’ambito dei social systems meeting, i professionisti della Salute Mentale collaborano alla pari con tutti i soggetti coinvolti nella vita dell’utente, dalla famiglia agli amici, dai colleghi ai vicini di casa, per individuare i motivi della crisi e per trovare il modo di giungere ad una soluzione.

La trasformazione dei Servizi recovery-oriented
La ricerca community-based è stata applicata anche allo studio di come far evolvere i sistemi di cura verso una pratica recovery-oriented ed ha permesso l’evidenza di 4 tipologie di modifiche da apportare ai loro dispositivi, alla loro organizzazione ed alla loro filosofia (Davidson, et al., 2010; Latimer, Bond, Drake, 2011).
Prima di passare in rassegna le modifiche di cui sopra, si evidenzia che nel tempo sono stati sviluppati e standardizzati alcuni strumenti self-report per la valutazione della qualità dell’assistenza e la misurazione degli atteggiamenti degli operatori, utilizzando un processo bottom-up (sono stati incrociati i dati di focus group con utenti, familiari, operatori e dirigenti con quelli della letteratura scientifica) .
La prima tipologia di modifica prevede che le relazioni tra il personale sul campo e gli utenti dei servizi diventino più egalitarie, piene di speranza, basate sull’empowerment, collaborative e stimolanti (Deegan, 1997; Davidson, Tondora, Staeheli Lawless, et al, 2009). Le decisioni cliniche, comprese quelle sull’utilizzo dei farmaci, devono essere infatti molto più condivise, ed inserite all’interno di un processo di progettazione terapeutica personalizzata (Deegan, 2010; Adams, Drake, Wolford, 2007). Questi cambiamenti presuppongono una ri-articolazione dei valori fondanti l’istituzione dei Servizi. Molti Autori hanno proposto l’inserimento sul campo di numerosi operatori del supporto tra pari, come ex-utenti o altri pazienti o familiari esperti, per fornire un supporto di base, o anche la prima assistenza ed il primo orientamento nei Servizi. L’inserimento del supporto tra pari con utenti e care-giver, rappresenta uno strumento essenziale per influenzare la trasformazione dei Servizi in questa direzione. E la ricerca suggerisce che ciò potrebbe anche migliorare la soddisfazione degli utenti, ridurne i ricoveri, e mantenere l’efficacia su esiti pratici quali l’occupazione e l’abitazione (Doughty, Tse, 2011; Simpson, House, 2002).
La seconda modifica del sistema dei servizi prevede il loro ri-orientamento verso il supporto agli utenti nel raggiungimento dei propri obiettivi di vita, piuttosto che sugli obiettivi dei professionisti o sulle rappresentazioni di questi ultimi in relazione agli interessi dei loro utenti.
In tale ottica, va visto il processo di autonomizzazione degli utenti nella gestione del loro budget di cura. Conseguenze importanti della partecipazione degli utenti dei servizi agli obiettivi da raggiungere sono la facilitazione della loro inclusione nella comunità e la riduzione della loro dipendenza dal sistema dei servizi per la salute mentale.
Fondamentale in questi casi risulta essere la trasformazione degli operatori in Guida al Recovery, un ruolo operativo che rappresenta una evoluzione community-based di quello del case manager manualizzata recentemente sotto forma di linee guida (Davidson, Tondora, Staeheli Lawless, et al., 2009).
La terza modifica prevede l’ampliamento della tipologia di sostegno che il sistema dei servizi è in grado di fornire, in modo da comprendervi anche dispositivi espressivi, ludici ed artistici volti alla ricerca esistenziale, la pratica spirituale e alle attività culturali. Sostenere l’espressione artistica come la produzione narrativa, musicale, cinematografica o teatrale, e lo sviluppo delle relazioni informali che animano il tempo libero, permette di diffondere in maniera divulgativa buone pratiche e soprattutto atteggiamenti positivi verso il disagio mentale, contribuendo all’inclusione sociale ed alla lotta allo stigma (Whitley, Drake, 2010).
La quarta tipologia di modifiche consiste infine nell’assegnazione agli utenti dei servizi di diversi ruoli di collaborazione: dalla gestione autonoma di alcuni servizi di front-line, alla programmazione, gestione e valutazione dei loro sistemi di erogazione. Un orientamento al recovery garantisce in tal senso l’accesso degli utenti a gruppi di auto-mutuo-aiuto e ad altri servizi user-led, nonché il sostegno all’associazionismo spontaneo ed organizzato che ne rappresenti le loro istanze e quelle dei loro care-giver (Slade, 2009a; 2009b).
Queste quattro regole di buon funzionamento dei Servizi si riscontrano anche nelle narrazioni di recovery di utenti che hanno sperimentato l’importanza e la validità terapeutica dell’integrazione nel proprio contesto sociale di appartenenza (impostata principalmente sugli aspetti della casa, della scuola, del lavoro e del tempo libero), a differenza dell’inserimento in contesti sanitari istituzionalizzati, differenziati e segreganti (Deegan, 1988; Fisher, 1994; Saks, 2007; Pitt, et al., 2007).
Poiché la possibilità che fattori economici, sia di mercato che istituzionali, agiscano pervasivamente su ciò che dovrebbe essere un processo di cittadini con sofferenza mentale verso il recovery, rafforzando l’identità dell’utente come paziente psichiatrico e producendo azioni stigmatizzanti ed istituzionalizzanti, è necessario che i Servizi chiamati in causa si impegnino costantemente nel promuovere inclusione sociale come elemento imprescindibile del recovery dei pazienti.
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