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Intervista a Boris, un gay di Russia

Da Pianetagay @pianetagay
Intervista a Boris, un gay di RussiaBoris è un distinto signore di poco più di 50 anni, insegna all’università di Mosca ed è abbastanza benestante nella Russia del boom economico e dell’era Putin – Medvedev. Omosessuale, due matrimoni alle spalle, pochi amici “dell’ambiente”.
Per gli omosessuali la vita in Russia è sempre stata dura, durissima. Nonostante l’abolizione nel 1993 dell’articolo 121, che prevedeva pene per chi si intratteneva in rapporti sessuali con persone dello stesso sesso, il clima di omofobia non è per nulla cambiato. Sono pochissimi i gay dichiarati nelle grandi città, come Mosca o San Pietroburgo, mentre è impensabile che un ragazzo o un uomo gay possa uscire allo scoperto in un centro piccolo: l’omosessualità continua ad essere una vergogna impronunciabile, una cosa abbietta, un’infamia.
Come vivevi in Unione sovietica in quanto omosessuale?

Per lunghi anni ho portato in me il dubbio di essere gay, una vera e propria angoscia dal momento che sentivo forte un’attrazione erotica sbagliata agli occhi di tutti, “anormale”; inoltre, come nel mio caso, quasi tutti vivevamo in appartamenti abitati da più nuclei famigliari ed avevo paura che qualcuno potesse riconoscere in me inclinazioni omofile. Nella Russia comunista bastava il semplice sospetto di essere omosessuali per perdere il posto di lavoro ed essere completamente isolati dalla società: l’omosessualità era percepita come “antisociale” e i gay erano marchiati con il titolo di “pederasta”, che è inteso in modo assai più offensivo che da voi.
Conoscevi altri gay? Come vi incontravate?
Io risiedevo in una piccola città di 300.000 abitanti e questo era un grosso problema. L’unico modo per conoscersi era incontrarsi quasi casualmente ai gabinetti pubblici o a quelli della stazione. Non ho conosciuto molti omosessuali ed ancor oggi sono in rapporto con pochissimi amici.
Non sei mai stato riconosciuto come gay? Non hai mai avito problemi?
Problemi grossi non ne ho mai avuti, anche perché sono stato sposato due volte, se pur per il periodo di un anno e di un anno e mezzo.
Nel 1986 andai a Cuba e lì mi successe un fatto che allora mi preoccupò molto: per noi sovietici era possibile acquistare viaggi di gruppo per visitare i paesi socialisti ed io sono stato in diversi luoghi, dal nord del Circolo polare al Vietnam, dal Kazakistan alle regioni orientali; unito ad ogni comitiva c’era un commissario politico o uno del KGB (il servizio di sicurezza interna, ndr.) ed una volta arrivati all’isola caraibica fu lui a notare che guardavo un ragazzo: mi venne tolto il permesso di viaggiare ed uscire dalla Russia.
Sai di altri che hanno avuto problemi con la giustizia?
Agli inizi degli anni Ottanta un mio amico era stato arrestato perché aveva avuto un rapporto sessuale con il figlio di un ufficiale della milizia ed era stato condannato a due anni di prigione. Sempre in quegli anni nella mia città c’era stata un’inchiesta che destò scalpore nell’opinione pubblica, perché il medico di una caserma aveva trovato un ragazzo della milizia con una malattia sessualmente trasmessa all’ano.
Vennero arrestati pezzi grossi del partito, della milizia ed insegnanti universitari e ci furono condanne in base all’articolo 121.
Il capo regionale della gioventù del partito ed un importante studioso si tolsero la vita per la vergogna di essere rimasti coinvolti nello scandalo.
So anche di un regista di teatro, che si è preso due anni.
Come vedeva il partito comunista l’omosessualità?
Ufficialmente per il partito non esisteva, era un argomento tabù, non se ne parlava; i processi si tenevano a porte chiuse e le notizie non dovevano trapelare.
L’articolo 121 prevedeva al massimo 5 anni di reclusione, che era comunque ben poca cosa rispetto alla condanna morale, ovvero a quell’isolamento a cui uno veniva a trovarsi.
Esisteva anche un atteggiamento contorto da parte del partito: dopo il periodo di reclusione il condannato veniva fatto abitare in un centro piccolo e quando tutto era dimenticato egli veniva trasferito nuovamente nella sua città di residenza.
E gay confinati nei gulag?
Ce ne sono stati, ma era l’epoca di Stalin, che io non ho vissuto.
Come vedi in quanto omosessuale la Russia di Putin?
L’ho già detto: l’articolo 121 è stato abolito, ma per il resto non è cambiato nulla. I gay sono visti malissimo, vengono discriminati e perdono il lavoro.
Tant’è che a Mosca Luskow proibisce il gay pride…
Il sindaco di Mosca usa con la sua gente due pesi e due misure: proibisce gli innocui gay pride, mentre quando i tifosi hanno mezzo distrutto la città in occasione degli europei di calcio non ha detto nulla. Per lui i problemi sono solo i gay.
Enrico Oliari
crediti fotografici: Rainbow at

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