Ammetto di non nascondere una certa emozione nel raccontarvi la storia del calciatore Carlo Vicedomini, leccese doc, finalmente tornato a giocare dopo quello che è stato molto più di un semplice infortunio. E’ bello e confortante venire a conoscenza di vicende come la sua, dove il calcio – se vogliamo – in questo caso fa solo da sfondo, perché in gioco è entrata prepotentemente in scena la vita, quella Vera, che non si vive solo all’interno di un rettangolo verde, inseguendo un gol.
Una lunga e piacevole chiacchierata telefonica con un giovane ben presto divenuto uomo, capace di trasmettere serenità, pace e soprattutto una grande forza interiore. Quella necessaria per affrontare il grave problema di salute che lo afflisse tempo fa, in un modo tutto suo, attorniato dal calore della famiglia, della compagna poi divenuta moglie (alla quale in un primo momento, per non spaventarla, “mentì” sull’effettivo malessere che avvertiva) e dalla Fede.
Calciatore già affermato, soprattutto a livello di terza serie, di Lega Pro, dopo i fulgidi campionati giovanili con il Lecce, Carlo a 28 anni sta giocando bene nel Castel Rigone, sorta di “scommessa” del calcio italiano, emanazione di un piccolissimo centro umbro, dove il patron sogna in grande, disponendo di notevoli mezzi economici – essendo universalmente riconosciuto come il “re del cashemire” – con idee in un certo senso “rivoluzionarie” quanto semplici. Un miracolo calcistico per una squadra giunta tra i professionisti meritatamente la stagione precedente (e quindi matricola assoluta per la seconda divisione della Lega Pro) ma che, dopo un inizio difficile, compensato da una grande risalita a metà campionato, si ritrova impelagata nella lotta per non retrocedere. Cominciamo l’intervista proprio da lì, rievocando quei tristi giorni: via il dente, via il dolore.
“A Castel Rigone, calcisticamente e anche umanamente, mi sono trovato benissimo. Quella domenica di febbraio ero squalificato e mi trovavo a Lecce, nella mia città. Stavo bene, poi d’improvviso ho cominciato ad avvertire un senso di malessere diffuso. Una specie di malore, persi conoscenza. Poi mia moglie mi spiegò che la cosa era durata 5 lunghi minuti. I medici del pronto soccorso di Lecce mi spiegarono che si trattò di una crisi epilettica, di cui io non avevo mai sofferto prima. Alessandra era molto preoccupata, in verità lo ero anch’io perché sentivo che c’era qualcosa che non andava, ero troppo stanco, spossato. Ma non lo davo a vedere per non spaventare gli altri, ho sempre pensato prima al benessere delle persone a cui voglio bene più che a me stesso.”
“In un primo momento quindi fosti curato a Lecce”
“Sì, ma a dire la verità in pratica si limitarono a farmi gli accertamenti, le analisi del sangue, adducendo la causa del malore improvviso ai troppi carichi di stress ma decisi di chiamare subito il medico della mia società, il dottor Trinchese, che mi disse di raggiungere prontamente Perugia per un consulto di un esperto.”
“Fu in pratica la tua salvezza”
“Sì, io credo che le cose non capitino mai per caso. C’è un disegno preciso a tutto. Dio ha voluto che nella mia strada incrociassi il dottor Castrioto, un vero luminare in materia. Entrammo in sintonia, nonostante la mia paura e il sangue che mi ribolliva, dissi che non volevo giri di parole ma solo la cruda verità. Venne infatti subito notato che avevo una specie di “pallina” in testa, vicino all’area del cervello. In quei momenti ti vengono brutti pensieri, è inevitabile. Ma il calcio non esiste, pensi soprattutto a tuo figlio, alla tua compagna, al senso della Vita. Furono quelli i momenti più duri in assoluto da affrontare, quegli attimi che ti dividevano dalla sentenza, dalla diagnosi. Il dottore, come gli scongiurai, non usò infatti giri di parole ma venne al dunque, dicendomi che nella zona dell’encefalo, questa pallina di quasi tre centimetri altro non era che un meningioma. Una cosa comunque rara in un ragazzo della mia età. Quando però riscontrammo che era benigno, mi affidai nelle sue mani e in quelle della Provvidenza, con l’animo in pace. L’operazione andò bene e il medico mi disse quasi subito che avrei potuto anche tornare a giocare a calcio. Fu una liberazione, anche se come detto prima in quei momenti pensi a tutt’altro che a giocare.”
“Nel frattempo la tua squadra, pur competitiva a livello di rosa e in un certo senso ben assemblata, stava letteralmente precipitando in classifica, dopo essere stata a lungo una delle rivelazioni dell’intero torneo”
“Purtroppo hai ragione, le 11 sconfitte consecutive furono in pratica una condanna per noi, non fummo più in grado di riprenderci”
“Può esserci stato anche un contraccolpo psicologico dettato dalle tue condizioni, la squadra ne ha risentito? In fondo eri uno dei giocatori più quotati, uno che in campo non si risparmia mai”
“Ti ringrazio per le parole ma penso siano state una serie di cause. C’era tutto in teoria per fare bene ma a volte non servono solo i mezzi economici – che per la categoria erano importanti – ma anche gente del settore, non improvvisata in un certo senso. Più uomini di campo magari in grado di gestire le difficoltà. E’ andata così ma resto legatissimo alla squadra e all’ambiente, sono riuscito a coltivare delle amicizie e con mia moglie ci siamo trovati a meraviglia in quei posti.”
“Una volta fuori pericolo è naturale per te che tornasse forte la voglia di rimetterti in gioco, di tornare a calcare i campi professionisti. Ero convinto di ritrovarti a Taranto, come sono andate in realtà le cose?”
“In effetti a Taranto ho effettuato una buona preparazione, sembrava tutto fatto. Avevo già passato due anni qui, ero sceso pure tra i dilettanti, dopo più di 150 gare tra i professionisti. Non erano convinti potessi riprendermi del tutto fisicamente, a quanto pare. Non mi è rimasto che accettare la loro scelta”
“Eppure l’idoneità l’avevi ottenuta…”
“Sì, quella era arrivata strada facendo, da parte del dottore che mi aveva ben operato alla testa. Mancava in effetti quel riscontro, un’ultima visita alla testa per allontanare ogni ultimo dubbio ma alla fine per fortuna anche questo responso andò bene. Avevo di nuovo tutti i requisiti giusti per giocare. Dovevo solo abituarmi a indossare il caschetto “alla Cech” ma su quello ormai ci scherzo anche con mio figlio Edoardo”
“Non mi pare ci sia stata molta riconoscenza nel mondo del calcio. Magari mi dirai che scopro l’acqua calda, ma possibile che nessuna squadra di Lega Pro fosse interessata ad averti quanto meno in organico?”
No, Gianni, non sbagli a dire della riconoscenza. Non parlo del Taranto in particolare ma più in generale. Credo di aver dimostrato qualcosa nella mia carriera. Ho sempre giocato, come detto, più di 150 partite in Lega Pro, sono quasi un veterano della categoria. Al di là del discorso tecnico, io sono uno che in campo dà tutto, dal primo all’ultimo minuto, e inoltre quest’anno ho un grande senso di rivalsa, di rivincita. Ho troppa voglia di dimostrare che posso ancora dare il mio contributo, che sono ancora il giocatore di prima. Speravo almeno che qualche squadra mi desse l’opportunità di mostrare giorno per giorno, in allenamento, quello che ero ancora in grado di fare. Alla fine ho fatto consapevolmente la scelta di scendere ulteriormente di categoria e di firmare col Nardò, società di Eccellenza”
“Cavoli Carlo, so che il Nardò è una piazza caldissima e che merita altri palcoscenici, ma pensavo che almeno una serie D la potevi tranquillamente trovare”
“Alla fine non posso vivere di rimpianti, credo che tutti abbiamo un destino, una strada e che raccogliamo quello che ci meritiamo. Ad altro non penso, perché per la carriera in sé subentrano sempre tanti altri fattori, alcuni extracalcistici. Io so che sul campo ho sempre dato il massimo e i risultati parlano per me. Posso solo ringraziare la Madonna di Loreto di Surbo, il mio paese, per avermi sempre protetto. Sono molto devoto a lei e una volta guarito ho voluto farle visita. Nel calcio occorre anche avere fortuna e incontrare le persone giuste. In questo momento della mia vita avevo bisogno di trovare gente come quella di Nardò alla quale sarò sempre riconoscente. Il presidente Fanuli, il direttore sportivo Andrea Corallo, fratello dell’ex calciatore Alessandro, mi hanno voluto fortemente, facendomi quasi una corte spietata e sono convintissimo della mia scelta, qui ci sono tutti i presupposti per fare bene.”
“Poi, realisticamente, sei ancora giovane, non hai ancora 30 anni. Credi ancora nel professionismo, magari proprio con il Nardò?”
“Sinceramente sì, perché questo club è davvero attrezzato per il salto di categoria. Siamo in eccellenza ma d’altronde basta poco per tornare su se ci sono tanti fattori positivi come qua: una società serissima e sana, una rosa competitiva, un pubblico incredibile a questi livelli, una grande voglia di calcio. Quella ce la metto sicuramente anch’io: darò il massimo per questa maglia!”
“E a me non rimane che farti un grosso “in bocca al lupo” per questa tua nuova avventura, che sa di vera rinascita dopo il grosso spavento di febbraio scorso. Ma prima vorrei riavvolgere il nastro dei ricordi molo indietro e tornare con la mente a quella squadra splendida, il Lecce Primavera, capace di vincere nei primi anni 2000 ben due scudetti Primavera. Ho intervistato tempo fa anche il tuo ex compagno Alessio Carteni e contattato anche Andrea Rodia. Da grande appassionato di calcio giovanile, mi viene un po’ il magone nel vedere come sia andato sperperato un ciclo così forte, direi unico”
“Beh, Gianni, che dirti? Qui spalanchi un portone di ricordi! Ogni volta che ripenso alla nostra squadra mi viene una forte emozione, inutile negarlo. Hai citato due amici prima di tutto, anch’essi molto sfortunati a livello calcistico. Alessio andò con il difensore Bianco in C/1 ma in rosa erano più di 30 giocatori e perse tutto l’anno. Presto si ritrovò tra i dilettanti, quasi sempre in Puglia. Andrea, che tecnicamente era fortissimo, uno dei nostri gioielli in avanti, ha proprio smesso di giocare. Ed è già da un bel po’ che ha smesso, un vero peccato. E’ che dal calcio giovanile a quello professionistico c’è spesso un abisso e a volte noi giocatori ci troviamo in balia di certe situazioni”
“Pensi che voi di quel ciclo vincente siete stati in qualche modo abbandonati? In fondo credo ci fossero i margini per puntare almeno su alcuni di voi?”
“Abbandonati forse è una parola grossa ma… gestiti male certamente sì! A parte alcuni che esordirono in prima squadra, altri che fecero delle panchine, occasioni ce ne furono ben poche, in una situazione non facile per la prima squadra. Si è puntato sull’immediato, per provare a tornare subito in alto, invece di aspettare con pazienza la nostra crescita. E poi se non fai giocare nessuno, è improbabile che qualcuno si possa imporre. Ricordo che Agnelli ebbe qualche possibilità e se la giocò anche bene, Camisa, mio grande amico, riuscì a esordire ma avrebbero potuto avere un percorso ben diverso”
“Agnelli lo ricordo bene perché venne diciottenne all’Hellas Verona e non sfigurò, però invece di continuare in categoria il Lecce lo prestò altrove e ormai da tempo è tornato nella sua Foggia, dove è leader riconosciuto. Camisa invece, recentemente ripescato in B con il Vicenza resta un mistero per me: gli riconosco tutte le doti del difensore di alto livello, tempismo, velocità, attenzione. E Mattioli che in attacco segnava fior di gol? Giorgino che in mezzo al campo poteva dire la sua in prima squadra e in pratica ha invece legato la sua carriera al Taranto in serie C?”
“Hai ragione, in tanti avremmo potuto fare di più, a volte la responsabilità è pure del giocatore, ci vuole anche la testa giusta magari ma all’epoca tecnicamente eravamo forti, un gruppo unito di amici innanzitutto, quasi tutti ancorati al territorio. Vincemmo 2 scudetti consecutivi, coppa Italia Primavera e Supercoppa, giocando oltretutto sottoetà. Vincemmo ad esempio contro la Juve di Paro e Gastaldello, due ’83, mentre la nostra rosa era composta da tutti ’85 e ’86. Un peccato veramente ma si vede che doveva andare così, anche se a volte mi viene da pensare che se fossimo stati in altri club di prima fascia, forse qualche chances maggiore l’avremmo avuta, almeno di confrontarci in B. Poi, ovvio, è sempre il campo a dare le risposte ma, ripeto, se non ti viene data nemmeno l’opportunità.”
“Anche perché a Lecce era dai tempi di Conte, Moriero, Garzya, Petrachi che non si vedeva una squadra giovanile così forte”
“Verissimo, ma loro furono quasi tutti inseriti gradualmente in prima squadra. Si dimostrarono campioni”
“Beh, un certo Pellè un po’ di strada la sta facendo! Ha però dovuto andar via dall’Italia…”
“Graziano è innanzitutto un grandissimo amico, salentino doc, ma che non ha mai nascosto la sua volontà di andar a giocare fuori dall’Italia, lo diceva sempre che avrebbe voluto andare all’estero. Sono contentissimo per lui, si merita tutto quello che sta raccogliendo, è sempre stato un grande centravanti”
Il nostro lungo colloquio telefonico finisce qui, chiacchierare con Carlo è stato davvero piacevole e le sue parole mi hanno dato tanti spunti. Fuori onda, per così dire, abbiamo condiviso più nel dettaglio le nostre disavventure di salute (visto che anch’io sono stato operato d’urgenza l’anno scorso alla testa per rimuovere un’infezione cerebrale) e pure altre constatazioni sul mondo del calcio che, a volte, per noi inguaribili romantici del pallone, lascia piuttosto delusi.
(a cura di Gianni Gardon)