![Intervista a Claudia Durastanti Intervista a Claudia Durastanti](http://m2.paperblog.com/i/5/58964/intervista-a-claudia-durastanti-L-1.jpeg)
Claudia Durastanti si presenta ai lettori di Sul Romanzo
Buongiorno, vorrei iniziare chiedendole a quale età si è avvicinata alla scrittura e se è stato o meno un caso fortuito.
Direi che è stata una scelta deliberata. Gli altri scoprivano la scrittura a scuola, io l'ho fatto non andandoci. Sono stata una bambina fortemente assenteista, marinavo le lezioni per chiudermi in soffitta a scrivere e leggere, prendendo tutto quello che mi capitava sotto mano: fumetti, poesia beat, letteratura femminista, libri non esattamente indicati sui manuali di pedagogia. Mi sono ritagliata uno spazio alternativo, isolato, dove tutte le storie che leggevo si confondevano tra di loro e a queste si aggiungeva la necessità di esprimere la nostalgia e la rabbia causate dal trasferimento della mia famiglia dagli Stati Uniti. Ho imparato presto a dosare lo sfogo intimista e la volontà di raccontare cose che avessero senso anche per gli altri, a giocare con questa rivelazione di sé e il progressivo occultamento, il mimetismo che sta alla base di ogni narrazione. Poi a diciassette anni è arrivato il primo romanzo compiuto, quello che fai leggere agli amici che ti dicono che è bellissimo anche se non è vero.
Se consideriamo come estremi l’istinto creativo e la razionalità consapevole, lei collocherebbe il suo modo di produrre scrittura a quale distanza dai due?
Sto facendo un viaggio da un estremo all'altro. Direi che al massimo della razionalità consapevole smetterò di scrivere, potrei arrivare a costruire delle confezioni bellissime per cose che non hanno il minimo significato. Verrebbe meno l'urgenza. Ritengo invece che tutto quello che si riesce a dire in mezzo è interessante. La mia era una scrittura veloce, movimentata, narcisisticamente infatuata del flusso di coscienza, poi c'è stato un progressivo rallentamento, la persuasione dell'importanza esercitata dalla trama. Prevedo che razionalità applicata e congetture narrative diventeranno sempre più accentratrici, a discapito della spontaneità. Ma uno scrittore dev'essere in grado di esercitare una certa incoscienza che lo salva dall'eccesso di costruzione e raziocinio. Se non riesce più a farlo, forse è arrivato il momento di lasciar perdere.
Moravia, cascasse il mondo, era solito scrivere tutte le mattine, come descriverebbe invece il suo stile? Ha un metodo rigido da rispettare o attende nel caos della vita un’ispirazione? Ce ne parli.
Tendo a distinguere tra scrittura ed editing; la prima procede per lampi necessari, anche molto distanziati tra di loro, l'editing è un'imposizione che fai a te stesso, la responsabilità nei confronti del testo, anche a discapito della propria indole. Non percepisco la scrittura come un lavoro, non riesco a relazionarmici come se fosse un'attività impiegatizia. Quando lo faccio i risultati lasciano a desiderare. Ho un stile compulsivo, mi stanco in fretta, resto a leggere la stessa frase per ore solo perché suona bene. Poi, consapevole che la letteratura è altrove, mi rassegno e inizio a ragionare su schemi, strutture, snodi credibili. C'è un lasso di tempo infinito tra queste due fasi. Vivere in un momento di disoccupazione creativa aiuta. L'unico svantaggio è che in assenza di un lavoro vero e proprio la scrittura diventa quasi una costrizione, perde tutto l'appeal che invece aveva quando non c'era mai tempo per dedicarsi solo a quello. La pagina bianca terrorizza, come si fa a sceglierla tutti i giorni, programmaticamente?
Di che cosa non può fare a meno mentre si accinge alla scrittura? Ha qualche curiosità o aneddoto da raccontarci a riguardo?
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Wilde si inchinò di fronte alla tomba di Keats a Roma, Marinetti desiderava “sputare” sull’altare dell’arte, qual è il suo rapporto con i grandi scrittori del passato? È cambiata nel tempo tale relazione?
Oscilla tra ammirazione quasi adolescenziale (recentemente ho rispolverato tutta la mia collezione di Don De Lillo, ho trovato pagine e pagine incise da fitti segni a matita in cui scrivevo cose tipo “maestro, maestro, maestro”) e frustrazione. Col tempo è diventato un approccio più calmo, riflessivo, ma sono convinta che uno scrittore debba sentire il tipo di tensione dovuto alla consapevolezza di non poter superare determinati limiti. Ciononostante, è un tentativo che dev'essere perseguito: è il conflitto con il passato che rende i contemporanei meno trascurabili. Ovviamente dipende tutto dagli autori che si assumono come riferimento. Ma credo anche che i capolavori vadano letti e dimenticati per un po', almeno in fase di scrittura. Non mi piacciono i romanzi a tesi, quelli che si propongono volontariamente di “rifarsi a” o di sfidare un determinato autore. Uno deve arrivare a trovare la sua voce, la scrittura richiede anche la capacità di glissare sugli altri.
L’avvento delle nuove tecnologie ha mutato i vecchi schemi di confronto fra centro e periferia, nonostante ciò esistono ancora luoghi italiani dove la letteratura e gli scrittori si concentrano? Un tempo c’erano Firenze o Venezia, Roma o Torino, qual è la sua idea in merito?
La letteratura si coltiva in spazi periferici. L'idea di un centro, dei caffè, anche virtuali, o di una scuola comune fa parte del bagaglio romantico con cui uno scrittore si approccia all'idea di letteratura, ma è un qualcosa che può tranquillamente restare confinato nella mitologia, per quel che mi riguarda. La solitudine è un privilegio. Ci sono autori anche contemporanei che ammiri, ne conosci qualcuno, ci scambi quattro chiacchiere, ma resta un fenomeno isolato e privato. So che esistono delle scene, ma non le frequento.
Scrivere le ha migliorato o peggiorato il percorso di vita? In altre parole, crede che la letteratura le abbia fornito strumenti migliori per portare in atto i suoi desideri?
Non credo che la scrittura abbia migliorato o peggiorato la mia vita semplicemente perché è difficile ricordare un periodo in cui non ne ha fatto parte. È stato un processo quasi automatico, spesso doloroso, a volte dotato di qualche intuizione interessante, altre volte noioso. È destinato a invecchiare, presumo che il momento in cui la scrittura non mi ripagherà emotivamente come mi aspetto sarà abbastanza traumatico. È un bilancio che si può stendere solo a posteriori, parliamone tra qualche anno. Poi c'è la questione della pubblicazione, che è un'altra cosa. Se va bene i riconoscimenti e i soldi per le bollette migliorano la vita. Il resto la rende miserabile.
La ringrazio e buona scrittura.
Grazie a voi.
Claudia Durastanti è nata a Brooklyn nel 1984. Vive e lavora a Roma. Ha esordito con Un giorno verrò a lanciare sassi alla tua finestra (Marsilio, 2010). Scrive di musica su Indieforbunnies. (www.indieforbunnies.com)