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Intervista a Cosimo Argentina

Creato il 28 maggio 2015 da Temperamente

Dopo aver letto l’Umano sistema fognario di Cosimo Argentina c’era qualcosa che mi ronzava ancora in testa. E quando un libro ti lascia con degli interrogativi, puoi solo continuare a leggere libri dello stesso autore, oppure, se sei fortunato, chiamarlo, e farci quattro chiacchiere…

Cosa ha detto il tuo editore quando gli hai proposto il titolo non proprio easy del libro? Che del resto, mi devi spiegare…
Il titolo doveva essere Emiliano, ma poi c’erano le elezioni e non mi andava di fare un favore pubblicitario a un barese. Poi è diventato Malacarne ma era uscito un libro nel 1987. Io avevo riservato questo titolo, L’Umano sistema fognario, per un romanzo molto lungo e molto articolato che poi ho smontato pezzo per pezzo perché le case editrici non volevano cose da duemila pagine e allora l’ho regalato a Emiliano. Spiegarlo è semplice. Se andiamo sotto, all’osso delle cose e dell’umanità ci accorgiamo che tolti gli orpelli i belletti e le cazzate siamo un sistema fognario dove si sopravvive in attesa di schiattare. Certo, oltre la spina dorsale ci sono la scrittura, i pantaloni alla moda, i fidanzati, le gite in barca, le collezioni di francobolli, gli smartphone, il mare, le partite a burraco… ma in fondo in fondo c’è una colonna vertebrale grigia, un sistema da forci infetti che ci spinge a resistere anche in condizioni estreme.

Quando hai finito hai finito. Ho scritto una storia e sono felice di averlo fatto. Lo dovevo fare.

Mentre leggevo mi chiedevo «Ma chissà quanto del tono dell’Umano Sistema fognario è voluto e quanto invece la rabbia e le nevrosi che il suo protagonista riportano sono proprio di Argentina»…
Un vero autore secondo me mette se stesso e poi plasma la propria verità secondo la logica della storia che sta narrando. Io se potessi, se fossi Dio, spazzerei via questa latrina umana che secondo me è ormai proiettata verso un declino irreversibile. Le persone perbene sono fottute, ma anche i bastardi lo sono anche se in modo diverso. Tutti sono corrotti a cominciare dai miei amici. Io non sono corrotto per il semplice fatto che la mia pigrizia non mi consente di impegnarmi a fare pastette altrimenti sarei sulle barricate con gli altri. Il fatto incidentale che non faccia colpi da letame mi esaspera e mi porta a scrivere. Certo ora Argentina è cambiato, intendo dai tempi della stesura dell’UmanoS, perché due o tre schiaffoni della vita mi hanno indotto a rivedere i motivi di rabbia futile.

Sin dall’ inizio del romanzo il destino del protagonista è segnato. Non hai mai avuto voglia o intenzione di modificarlo?
Non sai mai come va a finire, ma in questo caso sapevo che non poteva finire a tarallucci e vino. Mi stanno sul cazzo quegli autori che appiccicano gli happy end per vendere una manciata di copie in più e partecipare a qualche stupido premio e portarsi a casa la targa e l’applauso di quattro scemi del villaggio. Maresca è nato morto ma da morto è più vivo di molti che mi camminano intorno dalla mattina alla sera. Preferisco mille volte Maresca alla gente in genere. La gente è noiosa alla morte. Io sono il più noioso di tutti, sotto certi aspetti.

In questa sorta di vendetta al contrario che narri non riesce neanche Anansa, la ragazza di cui Emiliano è innamorato senza speranza, si salva (anche lei tradisce, si comporta in modo poco trasparente, è gretta e meschina). Forse l’unico “puro” è Marcello, l’amico cinefilo del protagonista, perennemente isolato nel suo soliloquio cinematografico, incompreso ed emarginato dal resto. O mi sbaglio?
No, non sono d’accordo. Marcello è il più coglione di tutti e chiunque di noi potrebbe trovarsi nella cerchia magica qualche amico stonato e intellettuale e frustrato che vive con mamma e va a vedersi dei film improbabili ma che è marcio e dentro ha solo l’immobilità del codardo. Marcello è il peggio. Un falso che finge di studiare, finge di vivere e per vivere deve acchiappare le vite degli altri, vite che scorrono sul nitrato d’argento.

Un vero autore secondo me mette se stesso e poi plasma la propria verità secondo la logica della storia che sta narrando

Un’umanità collassata, allo sbando, derelitta. È così che la vedi?
È la mediocrità che uccide. È l’ipocrisia. Questo mondo sotto certi aspetti ha detto quello che aveva da dire. Forse in un’altra galassia magari ci sarà qualcosa di buono. Guardati intorno. Scandali e sciacallume e un esercito di carogne che sbava dietro il successo i soldi le donne e il potere. E poi c’è molto egoismo in giro. Oggi chi è in difficoltà non riceve aiuto. Ai tempi, quando ero bambino, se uno del quartiere andava in crisi il resto della gente aiutava la famiglia. Oggi tutti si fanno i cazzi loro e se gli togli un centesimo ti rispondono che hanno dei figli da crescere e tutelare e questo a dispetto del fatto che possiedono milioni che nella migliore delle ipotesi sono frutto di evasione fiscale.

Cosa si prova a scrivere una storia così “infognata”? Come ci si sente durante, e alla fine, quando metti il punto, riesci a chiudere con i demoni che i personaggi si portano dietro?
Niente. Mentre la scrivi se capita una pagina che viene su bene questo ti dà piacere. Quando hai finito hai finito. Di solito a questa domanda rispondo diplomaticamente che vivo un momento di estraniamento, di vedovanza e sono come svuotato. Ma con te voglio essere sincero. Niente. Metto un punto e comincio un nuovo romanzo. Niente insomma. Ho scritto una storia e sono felice di averlo fatto. Lo dovevo fare. È una specie di maledizione. Se domandi a una mambo perché sgozza galline e caproni sulle tombe alle due di notte ti dirà che non lo sa ma lo fa. Uguale.

No, non avevo davvero sperato di risolvere qualche dubbio con l’intervista. Ma almeno sentire pane al pane, vino al vino, come Argentina sa fare, sì. Ed è sempre un piacere. 


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