Da piccolo amavo la dialettica di Mario Luzzatto Fegiz. Lo sentivo parlare, lo leggevo, e percepivo che la musica si può anche raccontare, contrariamente a quanto affermo nel sottotitolo del romanzo (le canzoni non si raccontano, si scrivono). Anche per questo un personaggio “minore” del romanzo porta proprio il nome di quello che considero il più bravo critico musicale italiano. Non tutti hanno colto questo passaggio, ma da parte mia è un omaggio. L’idea di fare il critico mi è passata per la testa insieme a molte altre idee, ma come Boavida io credo fermamente che per “parlare” di qualcosa bisogna esserne esperti. E io, come scrivo nella post-fazione, non sono un esperto di musica. Sono solo un grande appassionato.
Perché hai scelto il Mucchio Selvaggio come testata che assume il giovane Ernesto.
Nel mio romanzo Il Mucchio rappresenta una possibilità di autonomia, nonostante faccia parte di una holding molto forte. E questa indipendenza è garantita dalla presenza di Andrea Ceravolo, un direttore innamorato del suo lavoro e della musica, uno che non scende a compromessi. Il Mucchio Selvaggio è stata per la mia generazione una rivista cult, il giornale appeso in alto sinistra in edicola, quello da sfogliare per scoprire nuovi gruppi. Mi è piaciuta l’idea di collocare Ernesto in un contesto di ricerca e scoperta musicale subito dopo l’esperienza della Major. E con quel nome, il Mucchio mi sembrava la soluzione più impattante.
La musica è centrale nel libro. Tuttavia, non mi è chiarissimo quali siano i tuoi mostri sacri nel campo…
I cantautori. Quelli veri. Ad un certo punto del romanzo Ernesto apre un concerto con l’Avvelenata di Guccini. Eccolo, il mio omaggio. E poi De Gregori, De Andrè, anche loro citati a più riprese nel libro. Mio fratello Alfonso me li faceva ascoltare a 4 anni, con la cuffia, e mi faceva imparare i loro testi a memoria. Sono partito da lì, ma la mia curiosità mi ha portato ad apprezzare tanti altri generi musicali. In questo non mi sento un “radical chic” (passatemi il termine). Ho adorato gli 883, arrivando anche a scrivere sul mio blog un elogio di Mauro Repetto, il protagonista del mio romanzo prende spunto dalle storie di Caparezza, Fabri Fibra e Mannarino. In ogni concerto ho preso spunto da qualcosa, per creare un personaggio nuovo, autentico, ma che ricordasse al lettore una storia vera.
Prima di scrivere per Ernesto, avevi mai scritto delle canzoni?
Sì, diciamo che Domani No nasce più di 10 anni fa, con una canzone che si chiamava “Ho scritto una canzone”. La scrissi durante l’estate e nel romanzo l’ho portata addiruttura a Sanremo! Poi vennero Domani No, Ossessione Onirica, Bari e molte altre canzoni presenti nel libro. Scrivere canzoni mi è sempre piaciuto, nulla di serio sia ben inteso.
E, a seguire: suoni, suonavi, suonerai qualche strumento?
Suono la chitarra dai tempi del liceo. Non ho mai fatto parte di nessun gruppo, sono un cantante da falò di ferragosto, da ultima ora della festa, da gita del primo maggio. Mi piace così. Datemi un canzoniere e vi svolterò la giornata.
Domani No, è anche il titolo di un canzone di Ornella Vanoni. Casualità?
Se devo essere sincero sì. Non conoscevo questa canzone, e spero che la Vanoni non si offenderà se oggi digitando “Domani No” troverà molti più riferimenti al romanzo che alla sua canzone. Confesso di averla ascoltata molto attentamente di recente, il senso del suo brano è però molto diverso da quello ironico e scanzonato del mio.
Sempre nell’ambito dei riferimenti e collegamenti, il protagonista si chiama Ernesto. L’omaggio c’è o non c’è?
L’omaggio c’è, eccome. I genitori di Ernesto credono nella rivoluzione, vogliono dargli un nome importante, da leader. Solo che se la faccia da leader non ce l’hai finisci per essere definito “Ernesto, quello destro”, in poche parole un coglione. Ho scelto questo nome perché è difficile, pesante, per il protagonista anche difficile da accettare. Tanto da arrovellarsi su un soprannome, Boavida, e cercare la gloria altrove, fino alla decisione di accettare il proprio nome, sbattere i pugni, imporlo.
Per portare il tuo Domani No al Salone di Torino hai lanciato un gioco su Twitter. Raccontaci come ti è venuta l’idea e com’è stata la tua esperienza al Salone.
L’idea non è mia ma di Luna Margherita Cardilli (http://www.lunamargherita.com/), una mia amica, e professionista, molto creativa. Ha deciso lei che al Salone ci sarei andato solo se me lo fossi meritato, se i lettori avessero spinto per me. Mi telefona e mi fa “Tu vai a Torino solo se i lettori vogliono”. Che ne dici 5 km a tweet?”. Io ho pensato “questa è pazza”, poi le ho risposto “Ok, ci sto”. E da lì è iniziata un’avventura entusiasmante che mi ha portato fino a Torino. L’esperienza del Salone è stata nuova, bella, interessante. Ero molto emozionato e mi sono ritrovato a presentare due libri in poche ore (ho presentato anche “Ci sono notti che non accadono mai” nello stand delle Marche). Mi sono sentito uno scrittore insomma, anche se non me ne sono reso conto del tutto. Però è stata una gran belle esperienza, che spero di ripetere presto.
Quali sono i tuoi rapporti con i Martin Kleid?
Ho conosciuto i Martin Kleid tramite un amico comune e gli ho proposto di rendere “Ossessione Onirica” una canzone vera. Ho apprezzato il loro grande entusiasmo, soprattutto perché hanno sposato un genere che non è proprio nelle loro corde, quello del tormentone. Loro hanno scoperto me (facendomi i complimenti per il romanzo) e io ho scoperto loro. Ascoltate le loro canzoni, fanno davvero una gran bella musica.
Come mai hai ripreso in mano la canzone scritta anni fa per costruire un romanzo anni dopo?
Perché questo, come ho detto tante volte, è un romanzo di frustrazione. Volevo fare il cantante ma non ne avevo le capacità. Non ho una gran bella voce e mi sono sempre concentrato su altro. La scrittura ad esempio. Però almeno in un romanzo, quella cavolo di ossessione onirica doveva diventare un tormentone. E ci sono riuscito. Anche se poi nella vita di Ernesto quel pezzo gli si ritorce contro.
“Boavida”, il nome d’arte di Ernersto, che lui detesta. A me invece piace. A te? Da dove viene?
Anche a me piace, ci sono affezionato tutto sommato. Era il nome del mio vecchio blog, viene dal mio Erasmus in Galizia. Significa buona vita, è un nome pieno di ottimismo, un soprannome che mi diedero i miei coinquilini perché vestivo spesso colori accessi e sorridevo sempre. Al ritorno dall’Erasmus l’ho conservato gelosamente aprendo un blog che si chiamava proprio così, poi però ho deciso di tornare Cristiano e spesso è complicato tornare indietro. Tanto che il mio account Twitter si chiama Criboavida. Ma superati i 30 anni non è più tempo di soprannomi, almeno per me. Io voglio essere Cristiano, e voglio essere libero di non sorridere o di non essere ottimista a tutti i cosri se non mi va. E in questo Ernesto è uguale a me.
Bari si respira un sacco nel tuo romanzo. La ritrai nelle sue contraddizioni ma si legge anche l’amore che provi per il capoluogo. Guardando la tua biografia, però,vedo che non ci abiti più da un po’. Mai pensato di tornare? Come vivi la dimensione da immigrato?
Come diceva Troisi in “Ricomincio da tre” non sono immigrato. Sono solo uno che ha colto una bella opportunità professionale e si è trasferito nelle Marche. Amo questa terra, come amo Bari, ma non credo sia un problema di stato in luogo. Certo, casa è casa, Bari è la culla, le radici, il grembo, la cartolina da mostrare con orgoglio. Ovvio che un giorno vorrei tornarci, ma le pmie priorità al momento sono altre.
Nella vita fai il copy. In un certo senso, si può dire che non smetti mai di scrivere. Ma, al momento, hai qualche altro progetto letterario?
Ho un nuovo romanzo in mente, ma non so se mi butterò subito a capofitto nella scrittura. Credo che bisogna far passare un lasso di tempo fisiologico e che Domani No debba ancora raggiungere la visibilità che merita. Quindi concentrerò le mie forze su questo obiettivo, mentre la nuova storia si agita nella mia testa.
Ho letto che recentemente sei stato ospite di The Hub Bari. Quali sono i prossimi appuntamenti di Domani No?
Per l’estate mi fermo un po’, le librerie iniziano ad essere meno affollate e la gente preferisci altri intrattenimenti ai romanzi. A settembre riprendiamo con iniziative molto interessanti come la rassegna Building Apulia, per valorizzare l’identità regionale all’interno della Puglia Teca del Mediterraneo. L’appuntamento è per il 28 di settembre.