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Intervista a Daniela Alibrandi

Creato il 28 maggio 2011 da Temperamente

Intervista a Daniela Alibrandidi Simona Leo

Daniela Alibrandi è nata a Roma nel 1953. Ha vissuto esperienze professionali in contesti diversi: attualmente è funzionario nel settore pubblico. Si è occupata in passato, tra l’altro, di Relazioni Internazionali e di Scambi Culturali con l’Estero. Nessun segno sulla neve, recensito sul nostro sito, è stato il suo esordio letterario.

Daniela benvenuta. Lei ha esordito con il suo libro Nessun segno sulla neve, una vicenda che si svolge nel presente ma che ha un fortissimo legame con il passato. Come mai questo titolo? Cosa vuole rappresentare?

Al titolo ho voluto dare un significato allegorico. La nostra vita vista come una distesa immensa, bianca di neve vergine e soffice, dove noi camminiamo anche affannosamente, con passi a volte pesanti. Cosa avverrebbe se, alla fine del cammino, voltandoci indietro, ci accorgessimo di non aver lasciato alcuna traccia sulla neve della nostra vita?

Il protagonista, Francesco, a un certo punto, attraverso Facebook ritrova Milena, una compagna di classe della quale negli anni del liceo si è innamorato. Cosa rappresenta per lei questo potente social network? Possiamo consideralo il motore della storia, considerato che grazie ad esso Francesco e Milena si ritrovano?

A Facebook mi sono avvicinata con molta diffidenza, come molte persone della mia generazione, che preferiscono di gran lunga servirsi di vecchie agendine o diari per ritrovare gli amici del passato.  Mi sono dovuta ricredere quando, grazie a questo network, sono riuscita a riprendere i contatti con amici della mia vita trascorsa in Italia e, incredibilmente,  anche con quelli legati al periodo della mia adolescenza, vissuto negli Stati Uniti. Ho scoperto con gioia di essere rimasta nel cuore di tutti e che il modo di rapportarci ai sentimenti passati era comune. Pur riconoscendo quindi la validità del social network, non posso affermare che Facebook sia il motore della storia che ho scritto. Piuttosto è un mezzo che aiuta il protagonista a tornare sui suoi passi. È proprio la voglia di Francesco di riprendere i discorsi lasciati in sospeso durante la sua crescita a muovere la trama del romanzo, la casualità poi fa sì che il destino si compia.

I ricordi di Francesco riportano i lettori indietro nel tempo e, in particolar modo, nel ’68. Attraverso continui flashback quegli anni vengono ricostruiti e in qualche modo rivissuti. Io che in quel periodo non ero ancora nata ho avuto modo di poter apprendere quel clima che animava la nostra nazione e che ha determinato dei veri e propri cambiamenti. In queste pagine sicuramente emerge anche il suo ricordo. Cosa hanno rappresentato per lei quegli anni e quanto i ricordi di Francesco si avvicinano ai suoi?

Quegli anni hanno voluto dire molto per la mia generazione e per me. Anch’io ero insieme a quei ragazzi che credevano fermamente di cambiare il mondo, ero insieme ai tanti Francesco e Milena che correvano nella piazze gridando. I ricordi che evoco nel romanzo sono autentici, così come i luoghi dove la storia è ambientata ed i divertenti scherzi dei quali si ride ogni tanto. Ho voluto far conoscere anche a chi, come lei, non ha vissuto quel periodo quale fosse il reale clima sociale e politico che si viveva, descrivendo i sentimenti e le intime passioni di quei ragazzi, che con estrema facilità si trovavano coinvolti in situazioni pericolose e violente. Credo di essere riuscita a dare risposte valide a chi si è chiesto, ad esempio, cosa possa essere accaduto nella quotidianità di una famiglia italiana quando l’edizione straordinaria del telegiornale irruppe per dare la notizia della strage di Piazza Fontana a Milano e di altri tre attentati avvenuti contemporaneamente a Roma. Oppure ancora come abbia risposto la piazza  ad un avvenimento estremo come il compimento di una strage. Nel mio romanzo questi accadimenti si vivono finalmente in modo intimo e diretto.

La vicenda è narrata in prima persona e il protagonista è, appunto, un uomo. Come mai questa scelta? E come è stato immedesimarsi, da donna, nel ruolo di Francesco?

Premesso che l’ispirazione che porta a scrivere un romanzo è talmente coinvolgente da non prevedere scelte logiche, posso dire che all’inizio pensai di narrare la storia in prima persona per far entrare in modo immediato il lettore nella vita e nei pensieri  del protagonista. Sentii che il narrare un uomo mi avrebbe aiutato a non scivolare nell’autobiografia, permettendomi di raccontare liberamente anche me stessa, senza limitazioni. Man mano che andavo avanti però mi accorgevo sempre più di essere riuscita a forzare l’animo maschile in modo completo, descrivendone le debolezze, le passioni e anche le vigliaccherie e ho amato spaziare in quell’universo di sentimenti anche contraddittori, che non avrei mai creduto di poter interpretare così pienamente.

Il mondo maschile, però, ne esce sconfitto, a mio parere. È rappresentato come un mondo traditore e vigliacco. E di contro canto l’immagine della famiglia è sorretta su menzogne. Mi spiego. I personaggi maschili che incontriamo in questa vicenda tradiscono le loro mogli, ma l’importante è non farsi scoprire e non far  mai mancare niente alla donna portata all’altare. Mi sorprende che in questo meccanismo sia coinvolto anche il padre di Giulia, moglie del protagonista. Anziché augurarsi che l’uomo che sua figlia si accinge a sposare sia diverso da sé, raccomanda al genero di non far in modo che le sue ‘scappatelle’ facciano soffrire Giulia e per far sì gli consiglia di mentire ma di considerarla sempre al primo posto. Inoltre è proprio il comportamento maschile che porta al tragico epilogo, che non sveliamo. Come mai questa visione?

Anche questo è un retaggio di quella generazione e di certe convenzioni sociali. Una società che ancora non conosceva la conquista del divorzio, che emarginava come fossero marchiati una donna separata e i suoi figli,  preferiva la facciata borghese di un marito che non faceva mancare nulla alla famiglia, anche vivendo storielle extra coniugali, verso le quali si era molto indulgenti. Diverso era il discorso se ad essere adultera era la moglie, verso la quale non si usava alcuna clemenza e alla quale per legge potevano anche essere sottratti i figli. Il padre di Giulia, poi, non si illude che Francesco  sposi sua figlia  per amore, ed è per questo che lo affronta in modo così diretto ed inequivocabile. Nella storia l’importante per lui è, come per la mentalità borghese nella quale è vissuto, che la figlia sia sempre al di sopra di tutto. Anche se non sono stata mai particolarmente attratta dalle teorie femministe, l’essere cresciuta in quel periodo, in una società che sembrava ingessata e che privilegiava il ruolo maschile, mi ha fatto conoscere situazioni del genere. Credo, infine, che nessuno dei personaggi della storia, sia maschili che femminili, esca completamente vincitore o sconfitto.

Nel momento in cui ha iniziato a scrivere questo libro, aveva già in mente la sua conclusione o man mano che ‘nasceva’ si è trasformato in giallo?

Secondo la mia personale esperienza credo di poter  di dire che un autore inizia a scrivere una storia quando da vari giorni la sente “frullare” per la testa. Ne ode già le prime frasi, come venissero da una musica lontana, ne immagina le ambientazioni, i colori ed i profumi, ma non sa veramente come andrà a finire. Insomma egli immagina una situazione iniziale e poi si abbandona al fenomenale intreccio di ricordi, illusioni e creazioni che lo trasportano verso un finale che inizialmente non aveva neanche ipotizzato. È questa la magia della scrittura, un viaggio che lo stesso autore vede svolgere davanti ai suoi occhi e del quale è lui stesso parte integrante. Scrivendo questo libro ed i successivi, posso dire che l’ambientazione del thriller nel mio caso scatta ad un certo punto della storia, ma sempre all’improvviso.

Infine emerge una sorta di giustizia privata. Non troviamo, infatti,  investigatori ed effettivamente il caso si risolve ma non ci sono colpevoli ad espiare le proprie colpe. È un modo per manifestare una propria sfiducia nei confronti della giustizia?

Non particolarmente. Ho fiducia nella giustizia, ma credo che a volte la vita e gli eventi portino a far pagare i colpevoli in modo molto più sottile e crudele di come possa essere stabilito in un’aula di tribunale.

È in atto il progetto di un altro libro? Può svelarci qualcosa?

Come ho detto Nessun Segno Sulla Neve è il primo, ma non l’unico libro che ho scritto.  Credo di potermi sbilanciare dicendo che nell’anno in corso dovrebbe essere pubblicato un nuovo romanzo. È una storia appassionante e complessa che tratta di uno scottante argomento, quello cioè delle violenze fisiche e psicologiche ai danni dei bambini. Un thriller ambientato a Roma, la città eterna la cui crescita viene descritta insieme a quella dei protagonisti. Ma per ora non posso dire di più.

Augurandoci che possa lasciare tracce sulla neve, la ringraziamo per essere stata nostra ospite!

Per chi volesse continuare a seguire Daniela Alibrandi ha un sito dove i lettori possono accedere alla photogallery, alla videogallery e contattarla direttamente. Nel sito, inoltre, sono liberamente fruibili due racconti brevi, Il Compagno Amaro, vincitore del concorso letterario “Il Volo di Pegaso” e I Suoi Passi Leggeri, giunto finalista al concorso letterario “La Memoria”. Potete trovarla anche su Facebook.


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