Intervista a Danilo Arona, a cura di "Il Mondo dello "Scrittore"
Se c'è un esperto in Italia del genere horror, fantasy e mistery questo è Danilo Arona che da anni si occupa di esporre al pubblico, tramite conferenze e saggi, i generi citati, offrendo un vasto panorama mondiale anche attraverso le sue pubblicazioni con Mondadori, Marco Tropea, Gargoyle Books, Corbaccio, Dario Flaccovio e Mezzotints.
- Perché proprio questi argomenti? Hai sempre avuto una passione per l'horror?
Forse stava scritta nel DNA ma devo ancora citare, con grande piacere, la mia immensa zia Piera che mi portava al cinema negli anni '50 e '60 al pomeriggio, facendomi vedere opere spaventose, tipo Il mostro della laguna o Psyco (che vidi a 11 anni nonostante fosse vietato - la zia era ben introdotta...). Ricordo ancora un pomeriggio di full immersion in Frankenstein, con un Hammer alle 16 ( La rivolta di Frankenstein) e un recupero storico alle 18 ( Il figlio di Frankenstein). Avevo 10 anni e tornai a casa dondolando come la creatura. Poi ci fu il Trauma primario - che racconto spesso in pubblico - quando a 9 anni fui inseguito da una forma di gorgonzola gigante che si trascinava per la casa su un frammento di carta oleata grazie alle centinaia di vermi che la popolavano. Da qui la mia sviscerata passione per i blob e le masse gorgoglianti alla Lovecraft. Con questi antefatti non puoi che occuparti di horror per il resto della vita. Lo racconta anche King: se non uccidi l'Uomo Nero da piccolo, diventi tu stesso l'Uomo Nero da adulto.
- Quali sono le differenze principali fra lo scrivere romanzi e saggi? Quali dei due preferisci scrivere?
Con una possente sintesi, la narrativa - perlomeno la mia - è di pancia, istintiva e ragionata soltanto al secondo editing. L'approccio è ovviamente diverso per la saggistica per la quale devi armonizzare la ricerca d'archivio, l'idea pilota e un uso intelligente delle fonti. Oggi di sicuro preferisco la narrativa. La sento più gratificante sul piano personale e forse esiste ancora il pericolo di venire pagati.
- La tua è una lunga carriera nel mondo editoriale. Quali cambiamenti hai visto avvenire durante questi anni? Ce ne sono stati alcuni che, secondo te, hanno influito più di altri?
Sai, io vengo dalla bassa e bieca provincia piemontese. Non si tratta soltanto di un dato tecnico. Chi vive a Milano o a Roma può costruire rapporti dall'interno, con frequentazioni, discussioni e strategie elaborate di comune accordo con gli editori e/o con gli agenti.. Io, sin dagli anni '70 (la mia prima pubblicazione è del '78, santi numi...), ho dovuto presentarmi con modalità prevedibili e scoraggianti sotto il profilo statistico, vedi bustone, plichi, manoscritti e così facendo, almeno sino all'avvento della Rete. Mi ricordo che la prima volta che entrai nell'immane parallelepipedo di Segrate per raggiungere l'antro di Marco Tropea, lui mi disse con un indimenticabile ghigno: "Ah, vuoi pubblicare? Vieni con me, ti faccio vedere una cosa", e mi condusse in una sorta di sgabuzzino dalle dimensioni di un attico in cui svettavano torri - ho scritto TORRI - di manoscritti. Centinaia, una sorta di vertigine alla Stendhal, con Marco che diceva: "Sai, dovremmo leggerli tutti perché dal punto di vista etico così bisogna fare, ma come si fa? Io e Laura (Grimaldi) possiamo solo usare la tecnica a macchia di leopardo, ovvero si leggono le prime due cartelle più altre due scelte a caso nel testo. Se l'incipit funziona, siamo a buon punto per una prima selezione. Ma, accidenti, in Italia TUTTI intendono scrivere e pubblicare!". Laura Grimaldi e Marco Tropea lasciarono da lì a poco la Mondadori per fondare con Leonardo Mondadori la propria casa editrice, Interno Giallo, e io li seguii perché nel frattempo eravamo divenuti amici, al di là dei ruoli, ma questa è una storia che qui non può essere raccontata, perché lunga e complessa, con momenti di trionfi e scoramenti (Cattolica, il Fondo Tedeschi, ChiaroScuro ad Asti), ma si avvicina il tempo in cui lo farò... Tutto questo per affermare che la professione di scrittore - che io non pratico - si costruisce con rapporti de visu, guardandosi negli occhi e con una marlowiana sbronza di coppia se non si è astemi. Non a caso, guardandomi indietro, le mie opere più riuscite e con un minimo di peso sotto il profilo commerciale sono state siglate da editori "amici" con i quali è esistita una condivisione di vita, che so, Edoardo Rosati e Andrea Plazzi (Punto Zero), Marco che mi è stato talmente amico - lo è tuttora - da avermi permesso di pubblicare libri veramente particolari come
Satana ti vuole e L'ombra del dio alato, il sommo e mai troppo compianto Paolo De Crescenzo cui devo l'esistenza de L'estate di Montebuio, i signori Flaccovio di Palermo che hanno pubblicato con estremo coraggio Cronache di Bassavilla e Palo Mayombe, Sergio Altieri che mi ha introdotto al mondo dell'edicola con Urania e Segretissimo. Ma, nel gioco delle citazioni, non voglio far torto a nessuno: esistono dei piccoli che sono professionalmente grandi come Laura Platamone e Daniele Picciuti di Nero Press, Stefano Fantelli su più fronti impegnato (Cut Up e Inkiostro), le edizioni Anordest che mi hanno fatto l'onore di gestire una collana inaugurata da Peter Straub, Stefano Giovinazzo di Edizioni della Sera. Insomma, bisogna conoscersi per lavorare assieme. Cosa è cambiato? Nulla, purtroppo. Perché oggi quello che per pigrizia e comodità chiamiamo horror - la discussione sarebbe lunga, neppure la inizio... - , se firmato da un italiano fa sempre più fatica a trovare mercato. Era esattamente così a metà degli anni '70 quando ho cominciato a proporre le mie cose. Sai in quanti - gente illustre - mi hanno proposto di cambiare dati anagrafici, tipo Dan Aaron - per constatare come il numero delle copie andrebbe magicamente a raddoppiarsi? Fuck it, come risponderebbe Sergione. In ogni cosa, oggi, il cambiamento più pesante è che tutti, per concludere, grandi e/o piccoli stanno in piedi - quelli che stanno in piedi - con salti mortali e giochi di prestigio. Alcuni di questi rinnegando ingenerosamente l'horror (sempre per capirci sull'uso del termine...) e gli autori italiani.- Editoria tradizionale ed editoria digitale. Qual è il tuo punto di vista? Quale supporto preferisci e perché.
Sono un vecchio e preferisco la carta. Adoro l'oggetto libro con le ali, la copertina, la sovracopertina, l'odore della carta, etc. Non sono affatto contrario al digitale (parecchie mie opere sono soltanto reperibili in e-book, ad esempio Cronache di Bassavilla), ma io continuo a preferire la carta. Peraltro è il punto di vista di uno che ha 65 anni che, per quanto possa vivere a lungo, si ritrova con un fulgido avvenire dietro le spalle,
- Tu che sei un amante dell'horror da cosa sei spaventato? Cosa fa paura al giorno d'oggi e cosa fa solo "tendenza" nel mondo del brivido?
- Come vedi lo scrittore come figura professionale? È possibile?
Bisognerebbe chiederlo all'amico Marcello Simoni. Con i suoi numeri (e la sua bravura) è possibile. Io mi diverto a giocare, come ho sempre fatto. Giocare, come amare e suonare, ti tiene in vita.
- Cosa ne pensi del panorama editoriale italiano?
In parte forse ho risposto tra le righe alla domanda 2. Però si può aggiungere che chi fa l'editore oggi, se lo fa con onestà, etica e rispetto sommo dell'autore (che è il suo patrimonio), può considerarsi un vero eroe. Le dinamiche dei grandi gruppi non le conosco, ma temo che lì la buona letteratura magari non c'entra.
- Cosa ne pensi della notizia della fusione fra Mondadori e RCS?
In verità nulla. Come tanti siamo a constatare che tutto va a concentrarsi in gruppi sempre più smisurati, multinazionali e via declinando. L'editoria non c'entra più niente. Guarda, proprio in queste ore si va blaterando di rinascita economica, la gente che torna a spendere e i centri commerciali che si affollano sempre più. Già, peccato che non ti dicono che tutto questo sta avvenendo, ed è già avvenuto, sulla pelle di decine di migliaia di piccoli esercizi commerciali che erano l'ossatura vitale delle nostre città oltre che indotto per tantissimi posti di lavoro. Trasferiamo il parametro nella macro-editoria... ma non si tratta più di quel che penso io. Le cose stanno purtroppo così.
Lavora per mantenersi come fa da 40 anni, suona con vigore - finché ce la fa - su Fender Strato, ama la sua stupenda moglie e tenta di restare in salute.
Avere un futuro.
Danilo Arona ci ha sorpresi per la sua vena ironica, tipica delle persone dotate di sana intelligenza. E la sua capacità comunicativa si legge chiaramente da ogni risposta che ha dato, sia essa breve che più specifica. Lo ringraziamo per averci dedicato una piccola parte del suo prezioso tempo.