Ti Presento I Croccantini chiude il cerchio intorno al servizio della trasmissione televisiva Report “Troppa Trippa” avendo il piacere di intervistare il dr David Bettio, altro medico veterinario protagonista dell’inchiesta condotta da Sabrina Giannini.
Dottor Bettio, dopo aver avuto il piacere di intervistare il suo collega Dr Chisari, siamo lieti di darle il benvenuto nella nostra piccola comunità di attenti lettori e la ringraziamo infinitamente per averci concesso questa intervista, nonostante questo momento di sovraesposizione mediatica e le relative conseguenze.
Sono io che vi ringrazio per questa opportunità. Ho letto l’intervista che avete fatto al collega Chisari ed è stato molto chiaro ed esaustivo. Il cibo è una parte fondamentale per la prevenzione e la cura delle malattie dei nostri animali. È un elemento che ci lega tutti, uomini, animali e ambiente, ci lega nella salute ma anche nella relazione, tocca ambiti economici, politici ed etici. Proprio in questa epoca nella quale il cibo è diventato così centrale nella nostra vita, tanto che Expo 2015 è stata dedicata al tema della nutrizione del pianeta (con tutte le criticità che sono emerse soprattutto sul piano etico), ci accorgiamo quanto sia importante l’affermazione ippocratica che dice che il cibo è la nostra salute. Ci accorgiamo sempre più che il cibo ormai sta diventando, se non lo è già diventato, il nostro primo veleno. Questo problema colpisce noi umani ma anche gli animali con i quali condividiamo questo pianeta e questo tempo.
Partiamo con l’argomento che più l’ha vista protagonista nel servizio di Report: l’alimentazione naturale. Uno dei messaggi passati dal servizio è che fornire all’animale una alimentazione casalinga non perfettamente bilanciata sia tanto rischioso quanto somministrare i croccantini di pessimo livello e oggetto di inchiesta. Secondo lei è realmente così?
E’ innegabile che dare un cibo adeguato all’etologia dell’animale sia la scelta migliore. Per me lo è ed è una condizione necessaria e sufficiente per proporre ai miei pazienti una alimentazione naturale rispettosa del loro etogramma di specie. In questo senso si inserisce anche il bilanciamento della dieta che a mio parere non è necessario seguire così pedissequamente tutti i giorni. Non si è mai visto un animale che mangia la medesima cosa tutti i giorni e nelle medesime quantità. Neppure noi umani mangiamo ogni giorno la medesima cosa. E’ ragionevole mangiare in modo vario usando cibo fresco e di ottima qualità, preferendo cibo di stagione. Perché non potrebbe essere così anche per i nostri animali? E’ indispensabile avere delle conoscenze di base sui tipi di alimenti idonei e in generale delle proporzioni da utilizzare, a meno che non ci siano delle necessità nutrizionali particolari in caso di malattia oppure in particolari momenti della vita, come ad esempio la gravidanza. L’idea della dieta bilanciata è stata mutuata dall’industria mangimistica per le necessità degli allevamenti intensivi, dove è fondamentale razionare il cibo per ottenere le migliori performance produttive per un grande numero di animali limitando il più possibile i costi . Questo tipo di approccio tecnico oggi sembra aver investito anche i cani e gatti, annullandone le caratteristiche individuali e le esigenze etologiche. Inoltre sembra aver creato una certa dipendenza dal cibo preconfezionato da parte dei proprietari. Questo modello alimentare ha il vantaggio di essere comodo e di fare sentire sicuro l’utilizzatore, tanto che ha indotto a pensare che il cibo standardizzato sia vitale per il nostro animale e anche l’unico modo possibile per nutrirlo. Penso anche che questo modello alimentare possa farci riflettere sulle responsabilità e il ruolo di chi decide di convivere con gli animali domestici. La comodità, la facilità di reperimento e i prezzi vantaggiosi ci inducono a credere che la detenzione di un animale sia una cosa di facile gestione senza pensare alle reali necessità di questi esseri senzienti che vanno aldilà della alimentazione, le cui conseguenze ricadono sulla collettività e sul benessere animale.
Partendo dall’ovvio presupposto che un alimento fresco sia più integro e ricco di nutrienti rispetto ad una ricetta industrialmente processata, ci sono delicati equilibri ai quali prestare particolare attenzione nel somministrare diete naturali onde evitare sintomatologie o patologie da carenze o eccessi?
Come ho detto precedentemente, la prima cosa che nella mia esperienza è da rispettare è l’etologia della specie. Esistono diversi modelli nutrizionali ai quali fare riferimento, tutti molto validi e con caratteristiche diverse. Il mio approccio ideale alla alimentazione dei carnivori è quello di fornire loro prevalentemente carne cruda, ossa polpose crude e interiora. Il consiglio è quello di contattare un veterinario con esperienza in questo campo per iniziare un percorso assieme. Dapprima certi cani e gatti non sono abituati alla masticazione di carne e ossa polpose crude, come se avessero dimenticato le loro doti cognitive, quindi bisognerà aiutarli. Nella mia esperienza molti cani e gatti diventano competenti in breve tempo. Se la dieta è bilanciata ed elaborata nei vari elementi nell’arco di un medio periodo di tempo, variando le diverse componenti della dieta, generalmente non ci sono problemi carenziali o di eccesso. Se di base scegli gli alimenti adeguati e li alterni periodicamente, dalla mia esperienza e di molti altri colleghi, non emerge alcun rischio. Il supporto e l’assistenza del veterinario serve proprio ad affrontare questo processo di cambiamento e adattamento.
Negli ultimi anni, ma soprattutto mesi, l’opinione pubblica si sta dimostrando più aperta e disponibile nei confronti delle diete naturali a crudo, le famose diete BARF (Biologically Appropriate Raw Food – Cibo Crudo Biologicamente Appropriato), avendo ormai superato alcuni preconcetti assolutamente insensati quali aumento di aggressività, fattore impegno e via discorrendo. Attualmente, l’obiezione più ricorrente sembra essere “le diete BARF sono ottime, ma non sono adatte a tutti”. Qualora concordasse, potrebbe illustrarci in quali casi una alimentazione naturale a crudo non sia indicata e le relative motivazioni?
In linea di massima l’alimentazione BARF è adatta a tutti i carnivori perché ce lo dice la loro specificità fisiologica. Ma anche all’interno di comportamenti specie-specifici esistono delle caratteristiche individuali. Alcuni animali, per esempio, hanno una conformazione della bocca che, per motivi di selezione di razza, non sembra essere adatta alla masticazione della carne cruda e delle ossa polpose, quindi la materia prima che si sceglie per loro dovrà essere adattata a questa esigenza. Inoltre alcuni animali non gradiscono la carne cruda, quindi per facilitarli si potrà cuocere prima di servirla. Alcune accortezze, poi, bisogna averle verso animali che presentano particolari patologie per i quali servirà una dieta naturale scegliendo particolari alimenti e scartandone altri.
Ragionando al contrario, uno dei motivi più comuni per il quale molte persone preferiscono le diete a crudo rispetto ai croccantini, è l’impoverimento del cibo e la generazione di tossine derivanti dalla cottura ad alte temperature e pressioni molto comune nell’industria mangimistica. Secondo lei, questi aspetti possono essere in parte mitigati in quella nicchia del settore pet food che produce favorendo la pressione a freddo all’estrusione classica, o anche solo sottoponendo le materie prime a cicli di cottura soft?
A volte bisogna scegliere il meno peggio, il danno minore, mi vien da dire. Ci sono metodiche di trattamento del cibo che deteriorano meno i nutrienti rispetto ad altre tecniche di lavorazione. In vendita esistono già dei cibi surgelati preparati. Vanno bene per chi vuole adottare una dieta a base di prodotti crudi e freschi surgelati prefonfezionati. Il punto è che l’ideale sarebbe essere autonomi nella gestione della spesa del cibo del cane e del gatto e non dipendere da qualcuno che le prepara.
Un’altra obiezione attualmente popolare tra i non barfisti, è l’innegabile aumento di apporto proteico nel passaggio da alimentazione industriale ad alimentazione a crudo. Potrebbe spiegare al nostro pubblico le motivazioni per le quali questo incremento, in un cane sano, non è pericoloso?
Nella mia esperienza conosco cani e gatti alimentati con dieta naturale da anni che godono di piena salute. Il Thank e la Came sono vissuti 17 anni senza cibo industriale che hanno mangiato raramente. Esistono delle ricerche che mettono in relazione alcuni valori ematici di diete a basso contenuto proteico rispetto a diete ad alto contenuto proteico. In entrambe le diete i valori ematici anche dopo mesi non mettevano in evidenza particolari problemi. Ma ancora non è questo il punto. I carnivori hanno un metabolismo e una fisiologia che si è evoluta per aggredire, masticare, digerire e gestire il cibo fresco di un certo tipo. La dieta BARF non prevede solamente l’apporto di polpa muscolare ad alto contenuto proteico, ma anche quote di ossa polpose in varia percentuale e di altri componenti della ricetta. Utilizzando una alimentazione cruda bisogna porre attenzione ad alcune norme igieniche. Infatti è opportuno fornire agli animali pesce previo surgelamento per evitare l’infestazione da anisakis, oppure di cuocere la carne di maiale per evitare la malattia di Aujeski.
Recentemente si sta ponendo in ragionevole dubbio l’ipotesi storica secondo la quale un cane che soffra di problematiche renali possa trarre giovamento dalla diminuzione dell’apporto proteico; lo studio che dimostrerebbe questa ipotesi fu, però, svolto alimentando i cani oggetto di ricerca con i croccantini. La sua opinione è più vicina a quanto enucleato da quello studio o alla sua recente messa in discussione?
Conosco lo studio di Polzin DJ et al., se è quello a cui fate riferimento. Ci sono delle ricerche che poi hanno fornito risultati diversi. Un po’ come succede in certi procedimenti giudiziari nei quali viene richiesta una perizia, smentita poi dalla contro perizia, smentita a sua volta da una contro contro perizia. A parte le considerazioni sull’apporto proteico nella dieta che emergono dallo studio, ciò che penso è relativo al metodo investigativo che solleva degli interrogativi etici nel testare dei prodotti dietetici per animali sacrificando altri animali. Il metodo di ricerca è limitativo perché pone come unico componente sensibile nei confronti di una patologia nella ricetta predisposta alla sperimentazione, senza tenere conto delle complessità dinamiche di un individuo e nel manifestare sintomi o stati patologici la cui ontogenesi non può più essere individuata in una sola causa. Il modello con cui si indaga una patologia indotta che non è quella che naturalmente viene espressa dall’individualità del soggetto, può avere un ruolo indicativo ma non di certo può dare indicazioni di valore assoluto.
Nella mia esperienza clinica ho trattato cani e gatti nefropatici in vari stadi di gravità con diete naturali, sempre in abbinamento ad una terapia omeopatica e ad una analisi dell’ambiente nel quale vivono. Questo approccio sistemico è imprescindibile. Molte patologie non sono frutto diretto di una nutrizione inadeguata, infatti ci sono molti fattori che intervengono nell’emersione di sintomi che poi noi classifichiamo come patologia. Ci sono molti fattori epigenetici che agiscono sull’individuo come stressors e ai quali l’individuo reagisce in senso adattivo o dis-adattattivo in modo del tutto individuale. Come ho detto in trasmissione sarebbe opportuno che si analizzassero in modo sistemico questi elementi.
Durante la sua carriera di medico veterinario, ha riscontrato più benefici per un cane nefropatico attraverso la somministrazione di croccantini appositamente studiati o attraverso la somministrazione di diete naturali?
Come ho cercato di descrivere prima, dare un nome ad una patologia ha un senso relativo perché la patologia deve essere inserita dentro la storia biopatografica del paziente che comprende anche e soprattutto lo stile di vita e la sua conduzione. In linea generale, quindi anche per pazienti nefropatici, la dieta che propongo è sempre quella naturale perché è consona alla fisiologia di questa specie, in associazione alla terapia omeopatica. In questo modo i risultati sono confortanti. Ormai da anni non consiglio diete preconfezionate per i miei pazienti nefropatici.
In uno dei suoi interventi per la puntata di Report, noi praticanti di alimentazioni naturali abbiamo particolarmente apprezzato la sua affermazione per la quale sia aberrante che un predatore non riconosca più la carne come suo alimento naturale. Sia per gatti che cani, però, molte diete casalinghe stilate da nutrizionisti continuano a prevedere la somministrazione di carboidrati – il classico riso, le patate, la polenta o addirittura la grandiosa idea di marketing della pasta canina. Posto che cani e gatti non abbiano alcun bisogno di zuccheri e amidi nella dieta per vivere, quali motivazioni ci sono alla base di questa scelta? E’ una scelta che condivide?
Se siamo d’accordo nel dare importanza all’etologia di specie allora i carboidrati possono non fare parte della dieta di un carnivoro, o farne parte in misura ridotta.
Tornando agli obiettori delle diete a crudo, altro fatidico punto di scontro sono le ossa. Noi barfisti sappiamo che le ossa da somministrare debbano essere solo una parte della dieta, che debbano essere crude, che debbano essere polpose (o forse sarebbe più indicato chiamarle carnose per rendere l’idea che è preferibile siano ricoperte di carne) e che si debbano evitare ossa portanti di grandi animali, ma rimane opinione diffusa che generino blocchi e perforazioni intestinali. Le è mai capitato di dover affrontare emergenze di questo tipo con i suoi pazienti barfisti? Per coloro che dovessero comunque rimanerne spaventati, ci sono alternative alle ossa per mantenere il bilanciamento della dieta?
Fortunatamente i miei clienti sono istruiti a dovere e sono attenti alle ossa polpose crude che somministrano. I problemi nascono se vengono somministrate delle ossa cosiddette “ricreative”, tipo ginocchia di bovino o equino che vengono sgranocchiate pian piano fino a formare una poltiglia d’osso che potrebbe causare blocchi intestinali. Non ho mai avuto problemi di questo tipo con nessuno dei miei pazienti. Finora tutte le chirurgie da corpo estraneo gastrointestinale riguardavano giochi, indumenti etc. Se un proprietario ha particolari timori, può utilizzare degli integratori per sostituire la ossa polpose.
Pur avendo il nostro sito un nome generico, per ora ci occupiamo solo di croccantini per cani. Riceviamo però spesso richieste di recensioni di etichette da parte di chi condivide la vita con i gatti. Nell’attesa che il nostro staff integri anche una persona che si occupi di questo ramo, potrebbe indicarci di cosa si compone una dieta felina ideale?
Il gatto è un carnivoro, mangia prede fresche come uccellini, piccioni, topini e altri piccoli roditori, uova di uccellini che trova nei nidi durante il periodo delle nidiate. Lo sa bene il mio gatto Rock. Dopo aver catturato la sua preda, inizia mangiandone la testa per poi passare agli organi interni. Se invece le dimensioni della preda sono piccole la può mangiare tutta masticando per bene, per poi vomitarne il pelo o le piume. Quindi la dieta per il gatto dovrebbe prevedere ossa polpose crude e carne fresca, magari intiepidita e non da frigo. Qualche piccola integrazione di frattaglie è necessaria. Ci sono dei proprietari che hanno dei gatti che mangiano addirittura dei pulcini scongelati. Ritengo che la dieta cruda sia molto indicata per i nostri felini.
Anche tra gli amanti dei gatti, i croccantini sono l’alimentazione più seguita. Potrebbe indicarci cosa prediligere e cosa invece evitare, in termini di ingredienti e additivi, nella scelta dei croccantini per gatto?
Se il proprietario vuole seguire una dieta industriale indico come prima scelta un cibo umido monoproteico contenente carne fresca e non farine di carne, meglio se di origine biologica senza conservanti. Invece per le crocchette faccio scegliere tra quelle con la dicitura “grain free”, cioè prive di cereali e anche prive di patata. Sempre meglio se contengono materia prima di carne fresca e non da farine di carne, meno conversanti e additivi chimici possibili.
Che si tratti di cani o gatti, proliferano i cosiddetti mangimi a prescrizione, veterinari o dietetici. Secondo lei e secondo la sua esperienza professionale, questi croccantini specifici sono efficaci? Nell’aiutare (eventualmente) per alcune patologie, possono alla lunga generarne altre?
Come ho cercato di spiegare, l’insorgere della patologia non è strettamente legato ad una singola componente, sia essa genetica o microbica o alimentare, ma la patologia è un insieme di sintomi le cui cause possono essere molteplici e speso legate allo stile di vita. Quindi pensare che ci sia un cibo specifico che curi uno stato patologico che si esprime secondo dinamiche complesse è limitativo e va relativizzato . Ma il cibo può concorrere a stimolare processi di guarigione o di malattia, sempre che sia un cibo adeguato all’etogramma oppure no. I cibi che vengono studiati dalle aziende mangimistiche poggiano su una base scientifica legata ad un certo tipo di paradigma che tende ad inquadrare il problema causa in senso riduzionista. Nella mia esperienza noto che spesso un certo tipo di cibo industriale è un ostacolo alla guarigione perché non adeguato all’etologia della specie. Quindi opto per una dieta naturale. Posso farvi qualche esempio. Alcuni pazienti nefropatici o con problemi gastroenterici riferibili a patologie linfoplasmacellulari oppure paziente con dermatite su base allergica, mi raccontano durante l’anamnesi che hanno trattato patologie pregresse ricorrenti infiammatorie con terapie chimiche e alimenti industriali dietetici specifici. Ora, secondo il paradigma omeopatico questo tipo andamento della salute viene classificato come ‘soppressione dei sintomi’ in quanto i sintomi stessi si spostano da organi più superficiali, spesso ad organi emultori, passando ad organi più profondi con conseguente stato patologico più grave. L’omeopatia identifica l’approccio convenzionale come soppressivo dei sintomi, ma non curativo. Questo si evidenzia spesso anche clinicamente studiano l’anamnesi remota e applicando il paradigma epistemico della scienza omeopatica.
E’ innegabile che, in questa epoca economica, il costo per l’alimentazione dell’animale domestico sia una voce a cui dare importanza nei bilanci familiari. Più in generale, anche Report ce l’ha dimostrato, condividere la propria vita con uno o più animali, comporta delle spese, anche veterinarie. I sostenitori delle diete a crudo asseriscono di aver drasticamente visto crollare le spese veterinarie con il cambio di dieta. Le risulta?
Questa domanda bisognerebbe farla ai proprietari di animali che seguono modelli sanitari legati a scelte come l’alimentazione naturale, la cura con medicine non convenzionali, che non fanno uso di medicalizzazioni per banali affezioni, che seguono protocolli vaccinali ragionati mediante la valutazione della persistenza anticorpale e che cercano di attuare uno stile di vita il più rispettoso dell’etologia di specie . Tutto questo concorre alla determinazione delle spese veterinarie, non solo un modello nutrizionale rispetto ad un altro. E’ intuitivo pensare che chiudere un gatto in una stanza lasciandolo con la sola lettiera, una ciotola di acqua fresca e del buon cibo crudo, possa generare qualche forma di patologia organica oppure comportamentale. Un gatto deprivato dal punto di vista etologico elaborerà sintomi di patologia. Molti esempi del genere ne abbiamo visti negli zoo. In generale con una dieta naturale, ma dipende dalla taglia dell’animale e da come un proprietario gestisce l’approvvigionamento delle materie prime, si può spendere meno rispetto ad una dieta industriale premium. Recentemente ho visto una analisi di una azienda mangimistica che evidenziava come il costo del proprio cibo industriale fosse competitivo nei confronti di una alimentazione casalinga per il medesimo ipotetico animale. A mio parere l’analisi della azienda è parziale e non fa emergere nel costo finale della crocchetta tutte le esternalizzazioni del processo industriale, della filiera produttiva che concorre alla fabbricazione della crocchetta quanto tale, dei costi di produzione, dei costi di marketing, dei costi di ricerca, dei costi di trasporto e distribuzione e del costo di smaltimento delle confezioni più o meno riciclabili. Se alcuni proprietari si organizzano autonomamente oppure in piccoli gruppi di acquisto presso i produttori, accorciando così la filiera e limitando il packaging e gli sprechi, il costo della BARF diventa davvero concorrenziale anche per un cane di grossa taglia rispetto al cibo industriale. Succede anche che il paramento del costo lievemente maggiore nell’acquisto di cibo fresco non viene considerato tra le priorità, perché molti proprietari preferiscono spendere qualcosa di più conoscendo ciò che danno al proprio animale, piuttosto che spendere poco seguendo gli accattivanti sconti merce che la grande distribuzione del pet food può in qualche modo permettersi, per fidelizzare il consumatore. Pochi mesi fa una associazione di professionisti ha affermato che le diete preconfezionate hanno dato la possibilità ai milioni di italiani di possedere un cane o un gatto. Questa affermazione è parziale che se fosse vero questo sillogismo allora bisognerebbe considerare nel computo anche tutti i cani e gatti che riempiono i canili ed i gattili dopo avere passato poco tempo nelle famiglie. I costi per queste strutture sono a carico della società civile e quindi potrebbero essere parte del costo della crocchetta. Per non parlare di questioni bioetiche legate al benessere animale. Ma il fenomeno della diffusione del pet ha anche più ampie considerazioni e non solo strumentalmente come frutto del benessere e sviluppo dell’industria. Infatti il paradosso è il diritto incondizionato al possedere un cane e un gatto come status symbol, come regalo, come sfizio, come riempitivo emozionale etc. Anche in questo senso andrebbero analizzato questo fenomeno.
Le sono mai capitati casi di torsioni gastriche in cani alimentati a crudo?
No. Ma potrebbe anche capitare poiché le cause di una torsione o dilatazione gastrica possono risiede anche nella modalità con cui viene fornita la dieta o altri fattori non necessariamente legati alla dieta.
E’ troppo cattivo e malizioso chi sostiene che un veterinario che consigli un’alimentazione industriale scadente lo faccia per tornaconto economico, ben sapendo che, purtroppo, rivedrà spesso quel paziente a quattro zampe? O semplicemente molti medici veterinari non hanno competenze specifiche in nutrizione e non hanno tempo per acquisirle?
Non conosco che cosa muova i colleghi a prescrive diete preconfezionate, ma le posso parlare della mia esperienza professionale. Per anni anch’io ho consigliato diete industriali perché questo era stato l’insegnamento ricevuto all’Università. Le mie conoscenze derivavano anche dai vari informatori scientifici che venivano periodicamente in ambulatorio e mi informavano sui progressi delle diete industriali e delle loro applicazioni specifiche e da alcune pubblicazioni di settore. Non c’è mai stato nessun tornaconto personale e nessun vantaggio economico e credo che questo succeda in senso generale. Prescrivevo secondo la consapevolezza e la conoscenza di quel momento. Poi sono venuto a conoscenza di modelli nutrizionali diversi, sia nel senso stretto della ricetta sia nel senso del paradigma scientifico applicativo dove il cibo assumeva un significato: non solo di un mero insieme di nutrienti per far funzionare la macchina, ma il cibo aveva un senso etologico importante e come tale doveva essere dato. All’interno di queste nuove prospettive ho iniziato a studiare le etichette del cibo industriale e mi sono reso conto che spesso questo tipo di cibo non si accordava con le mie nuove conoscenze. La dieta bilanciata che mi proponevano non trovava riscontro nelle esigenze etologiche dei miei pazienti. Molte aziende hanno giocato sulla dieta bilanciata influenzando i veterinari tanto quanto i proprietari, magari anche per una sola questione di comodità che, non dimentichiamoci è la prima forma di dipendenza. Penso che il marketing sia una scienza che affianca le aziende e ha studiato bene a fondo come si fa a creare necessità e dipendenze anche su falsi problemi. Anche per questi motivi sono passato a studiare e approfondire la nutrizione naturale. Il consumismo ha investito anche il mondo del pet. Basta andare in un supermercato dedicato per capire che ciò è una realtà. In questi punti di vendita c’è una enorme possibilità di scelta. A mio parere è una scelta illusoria poiché la verità è che si può scegliere solamente rispetto a un solo modello nutrizionale, cioè quello del cibo preconfezionato. Ora non so se ci saranno ricerche che metteranno in relazione un modello nutrizionale con l’emersione di patologie come è già avvenuto per l’alimentazione umana. Ma abbiamo già visto i disastri che l’uomo ha provocato non rispettando l’etologia dell’animale come è successo ai tempi della BSE. Ancora oggi l’opinione pubblica è divisa sulle merendine e sulla fetta di pane con la marmellata. Le stesse dirigenze scolastiche si pongono il problema di cosa mettere dentro ai distributori automatici perché certi cibi sono oggi considerati diseducativi. Ognuno è libero di scegliere in coscienza per i propri figli di cui è responsabile fino a che non andranno al bar a scegliere come avvelenarsi in autonomia. Magari una buona educazione aiuta a fare delle scelte consapevoli. Se gli animali sono un tirocinio al comportamento umano allora l’alimentazione animale dovrebbe dirci qualche cosa in questo senso.
Nel nostro piccolo cerchiamo di diffondere cultura e conoscenza nel settore dell’alimentazione industriale, cercando di utilizzare sempre un linguaggio poco tecnico e molto comprensibile a tutti. Veniamo dunque alla domanda ricorrente delle nostre interviste: vorrebbe consigliarci delle letture (libri, siti internet, etc) di facile comprensione in merito all’alimentazione o ad altri aspetti della vita con i nostri animali domestici?
Il vostro sito ha delle buone informazioni a riguardo. Spesso trovo interessanti anche alcuni forum nei quali si discute tra barfisti e nei quali si possono ottene consigli da chi ha già maturato dell’esperienza con la dieta naturale. Alcuni libri invece sono davvero illuminanti per iniziare ad informarsi sul tipo di alimentazione che si può proporre al proprio animale. La collana Qua la Zampa di Macro Edizioni contiene due libri sulla barf. Uno dedicato al cane, scritto da Swanie Simon e l’altro dedicato al gatto , scritto da Doreen Fiedler. Per questi libri ho curato personalmente la prefazione. Esistono anche molti altri libri, direi storici per l’importanza che danno informazioni sulla nutrizione barf, come il libro Tom Lonsdale ora disponibile anche in italiano e altri in lingua inglese quelli del Dr. Ian Billinhurst, di Steve Brown e di Lew Olson.
Per Ti Presento I Croccantini è stato un onore poter intervistare il Dottor Bettio, che ringraziamo infinitamente per la chiarezza e la disponibilità. Grazie Dottor Bettio, è stato veramente un piacere, lasciamo a lei i saluti finali.
Vi ringrazio per lo spazio che mi avete offerto perché ancora pochi proprietari conoscono diversi tipi di alimentazione per i propri animali. Molti di loro sono intenzionati a cambiare il modello nutrizionale al loro beniamino a 4 zampe e hanno bisogno di avere accesso a questo tipo di conoscenza per farne poi uso in modo consapevole ed autonomo. Vi lascio anch’io, seguendo il collega Chisari, con una citazione di un caro amico e collega che ha scritto l’interessante libro ‘Anima Animale’:
“In questo momento storico l’animale può aiutare l’uomo a riscoprire il suo lato autentico, quello legato all’emotività che viene soppressa da una vita fatta di angosce quotidiane. L’animale invece con la sua gioia primordiale, la sua voglia di vivere è veramente terapeutico, ma dobbiamo permettere all’animale di vivere in un suo ambiente più autentico in maniera da preservarlo in queste sue espressioni” (David Satanassi).