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Intervista a Franco Belsole

Da Myskin

Intervista a Franco Belsole

© Franco Belsole


La serie PARIS 2010 di Franco Belsole sposta l’attenzione dalla fissità dei luoghi urbani del filone documentaristico,  alla folla in movimento. Helsinki, Berlino, New York, Philadelfia, Parigi le città si susseguono annullandone le differenze, ripetendone il concetto di comune situazione individuale. Belsole contribuisce a destrutturare lo spazio documentandolo in maniera anonima. L’uomo diventa il protagonista assoluto nello scenario urbano, in un contesto globalizzato nel quale le coordinate geografiche diventano irrisorie e facilmente ripetibili.  Le città diventano uno sfondo indifferenziato nelle quali emerge una dirompente fauna umana globalizzata, dalle blande radici di appartenenza.
Vi propongo l'esclusiva intervista a cura della curatrice d'arte contemporanea Camilla Boemio al fotografo Franco Belsole.
Vi ricordo che la serie fotografica 'Paris 2010' di Belsole sarà il perno della mostra 'Urban Attitude' di scena a Macerata dal 17 dicembre (per maggiori info leggi l'articolo dedicato).

Intervista a Franco Belsole

© Franco Belsole

C.B. - Quale è il tuo background?  Ci sono fotografi o movimenti, che ti hanno influenzato o ispirato?
F.B. -  Ho iniziato ad avvicinarmi alla fotografia nei primi anni novanta grazie a molti amici artisti  cercando di interpretare i loro lavori dandogli un' interpretazione diversa da quella originale di partenza, dopodichè il mio  interesse si è spostato verso correnti e stili di fotografia diversi tra loro in particolare verso tematiche sociali dove gli spazi e i luoghi  avevano e hanno la loro importanza  individuale.  La scuola di Dusseldorf dei coniugi Becher, con i loro paesaggi architettonici inusuali, e l’approfondimento linguistico della loro corrente con i suoi vari artisti, credo sia stata per me la spinta iniziale per cui ho intrapreso il mio viaggio di ricerca.

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C.B. - Il tuo immaginario estetico si nutre anche di cinema, un Expanded Unreal nel quale la realtà è la proiezione di un elaborata dimensione metafisica. Me ne vuoi parlare.
F.B. - Il presupposto è quello di lavorare con un'ottica che non si concentri su singole fotografie selezionate in base al contenuto, ma che si orienti piuttosto sulle possibilità di un linguaggio cinematografico. Nel mio lavoro cerco di rappresentare un momento non decisivo della realtà creando nello stesso tempo un palcoscenico dove l’anonimato e lo sfondo architettonico diventano i protagonisti assoluti dell’evento, cercando di creare uno spazio artistico, un contesto d’arte, utilizzando come mezzo la realtà stessa, senza finzioni o messa in scena. Quindi penso che la fotografia sia il mezzo piu consono per cercare di catturare "l'accadimento nel suo stato  più puro". 

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C.B. - Dalla città protagonista assoluta del filone documentaristico, nella quale la figura umana diventa un irrisorio particolare, sposti l’attenzione nei confronti della folla in movimento. Persone protagoniste dai tratti globalizzati, vivono in città non facilmente riconoscibili. Parlamene.
F.B. - Credo che nella domanda ci sia già la risposta, sicuramente ti sarà capitato di vedere progetti architettonici animati o documenti specifici sulle città, e la figura umana appare come "irrisorio particolare" nonostante i progetti e gli sforzi siano nel dare dignità di spazi e contesti vivibili all'individuo, forse anche questa riflessione mi ha portato verso una ricerca capace di focalizzare l’attenzione sulla folla e sull’anonimato ripreso con una "lente ravvicinante", mettendo in risalto stati d’animo e situazioni individuali comuni in qualsiasi metropoli e nonostante cambi luogo e città, l’evento rimane invariato. Io sono interessato da questo senso di situazione individuale globalizzata,  al di là dei luoghi convenzionali di appartenenza.

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C.B. - Nella mostra PARIS 2010 – URBAN ATTITUDE tratteremo, durante l’incontro con  l’Ordine degli Architetti, delle periferie partendo da Inglewood (sono da poco ritornata da Los Angeles) analizzeremo l’Italia e lo sfacelo di 'aree voragini' nelle quali capannoni e degrado diventano normale vivere per intere comunità.
F.B. - Ricordo che quando sono stato a Philadephia, abitavo in un posto poco fuori la città che si chiama Chestnut Hill, è un posto molto rinomato ed elegante, ma anche famoso per uno sterminio del popolo indiano  avvenuto proprio su quella collina oggi zona residenziale. Ma questa non era la sola cosa spiacevole di quel luogo, anche la graziosa stazione ferroviaria in  pieno stile Pensilvania aveva la caratteristica quando si raggiungeva la  prossimità della città di passare sopra i  "ghetti dei neri" e poiché la velocità era ridotta visto che si trattava di un treno locale, si aveva una prospettiva di quei luoghi, dall'alto verso il basso, triste, in puro stile  dantesco, da lì si poteva scrutare come le nozioni di vivibilità risultassero assenti e le persone portavano a compimento il proprio ciclo giornaliero con non poca fatica. Mi sono domandato che cosa potevo fare come fotografo se non quello di documentare e interpretare  quelle o altre situazioni, come si stanno presentando anche oggi in Italia, cioè aree e spazi  dismessi  che diventano sempre più luoghi aggregativi, cioè per me "non luoghi". Cercare di sensibilizzare l’opinione pubblica con immagini e interpretazione della realtà, che del resto è una delle svariate prerogative e compito non solo della fotografia ma dell’arte in genere.

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C.B. - Tra architetti e fotografi emerge sempre un rapporto di dipendenza. Cosa ne pensi?
F.B. - Credo sia un fattore normale che tra  le due discipline risulti uno stato di complicità, infatti  basta pensare che l’architettura comunica se stessa attraverso la fotografia mentre quest’ultima usa spesso le strutture architettonica come sfondo per un contesto concettuale, come nel mio caso, creando quindi un rapporto costruttivo.

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C.B. - Quale è la tua città preferita? Quale è il tuo gusto ed opinione per ciò che riguarda  l’architettura? Quale sono i tuoi architetti preferiti?
F.B. - La mia città preferita, senza alcun dubbio è New York, non solo per il paesaggio architettonico e l’umanità che incontri, ma anche per le contraddizioni che si trovano e per quella luce particolarissima e unica  che non ho trovato in nessuna altra città. Come ho già accennato, nella domanda precedente, l’architettura nel mio lavoro è fondamentale, trovo nell’architettura moderna un grande stimolo. Credo che oggi il compito dell’architettura sia costruire spazi in cui  abitare, lavorare e stare insieme in modo armonioso, la città con i suoi spazi da vivere come luoghi di aggregazione. In fondo l’architettura è anche una visione del mondo. Dal mio punto di vista trovo interessante architetti come Santiago Calatrava ed ovviamente Renzo Piano.

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C.B. - Le gallerie stanno diventando non più centro esclusivo della fruizione dell’arte. Si può apprezzare l’arte in un inatteso scenario. Vuoi parlarci dei tuoi nuovi progetti? 
F.B. - Finalmente l’arte, in questi ultimi anni, esce dai soliti canoni e questo permette a tutti di poterla apprezzare più facilmente, da questo punto di vista sono convinto che in uno scenario inatteso l’arte ne esce fortemente rafforzata e motivata, avendo la possibilità di trovare un ambiente piu variegato e certamente più personalizzato  nella sua realizzazione. Non a caso i miei ultimi progetti si rivolgono ad ambienti e spazi fuori dai canoni tradizionali collocando le mie immagini di grande formato, in contesti architettonici moderni i quali restituiscono l'opera nella sua molteplicità e completezza, determinando un forte senso di aggregazione tra fotografia e architettura.

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