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Intervista a Gaetano Di Vaio, alias Baroncino di Gomorra – La Serie

Creato il 19 aprile 2015 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

Lunedì 13 aprile.
Napoli, piazza Dante.
Sono passate da poco le undici e un quarto. Fa caldo, si sta bene. Sono fermo davanti alla statua di Dante, aspetto e controllo il cellulare. Poi vedo arrivare Gaetano Di Vaio da un vicoletto. Mi riconosce, ci salutiamo, passiamo al tu. Torniamo nel vicoletto, c’è un bar. Ci sediamo là fuori, tra i passanti. Ordiniamo da bere, io un succo, lui un caffè. Quindi prendo le domande, inizio a registrare e via…

Gaetano Di Vaio & Aniello Troiano

1) Quando è iniziata la collaborazione con Guido Lombardi?

GDV: Nel 2007, durante la realizzazione del film “Napoli, Napoli” di Abel Ferrara. Lui era il secondo operatore. In realtà, già nel 2004 aveva fatto un altro film con noi, “Sotto la stessa luna”.

2) Quando avete iniziato a lavorare a questo romanzo?

GDV: Fine 2007, inizi 2008.

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3) In un’intervista avete detto che in origine questo libro doveva essere un film, ma che c’era troppo materiale e due ore non sarebbero bastate, no?

GDV: Sì, avevamo cominciato con l’idea di scrivere una sceneggiatura tratta dalla mia vita. Poi man mano siamo arrivati al romanzo. Diciamo che sono due i punti fondamentali: uno è legato al materiale, ma questa era più un’idea di Guido, era lui a sostenere che ci fosse troppo materiale per un film. E poi perché Guido scrive come un romanziere. Rileggendo la sceneggiatura in seconda battuta gli ho detto “Guarda, Guido, secondo me tu devi scrivere un romanzo, hai tutti gli strumenti necessari.”

4) Potrebbe diventare una mini serie, però. No? C’è qualche possibilità che lo vedremo su uno schermo?

GDV: Per ora stiamo lavorando a un film, tratto da questo romanzo. Credo che entrerà in preparazione nel 2016. Poi stiamo tentando delle strade per una serie televisiva… Il problema, lì, nasce dal fatto che la RAI fa fatica a seguirci, perché siamo noi a proporre sia in termini narrativi che di produzione.

5) Come vi siete divisi il lavoro? È stato difficile scrivere a quattro mani?

GDV: No, mai, perché con lui c’è stato feeling dal primo momento. È una persona molto attenta, predisposta ad ascoltare. E per una persona come me, che aveva urgenza di raccontare, ha funzionato. Lui si metteva lì ed accoglieva il racconto. Mentre invece altre persone, con cui avevo provato prima di Lombardi, si contrapponevano. Quello che io dicevo poi diventava altro.
Guido invece è stato molto fedele al racconto. E poi con lui c’è stata una condivisione di base, umana. Lui in alcune cose si rispecchiava, su un piano esistenziale, ed è lì che abbiamo trovato il punto d’incontro.

6) Scrivendo i dialoghi in napoletano, vi siete posti il problema dei lettori delle altre regioni, magari del Nord?

GDV: Il racconto è così pieno che quei dialoghi vengono superati anche dai lettori del nord, secondo me. Non è un libro iper dialogato, ha dei suoi momenti di dialogo, che però erano più belli se lasciati in lingua originale. Siamo stati fedeli alla storia. Devi assolutamente usare quel gergo, se non vuoi snaturare quel mondo.

carcere

7) All’inizio credevo che in questo libro avreste parlato anche del percorso che ti ha portato a diventare artista. Ci sarà un altro romanzo su questa fase della tua vita?

GDV: Sì, sì, ci sarà sicuramente un altro romanzo. Il motivo per cui, in questa prima parte, non ci siamo preoccupati di questo aspetto è semplicemente perché c’era un’urgenza di raccontare quella parte della mia vita… più dolente, chiamiamola così. Anche se poi dolente lo è stata anche la seconda parte, perché per uno che c’aveva la quinta elementare, precedenti penali, figlio di un sottoproletariato di per se emarginato, non è stato facile, anche relazionarsi a certi livelli. Anche per la scelta artistica che io ho intrapreso, fatta di contenuti. Mi sono scontrato con un mondo intellettuale difficile. E lì ho maturato la convinzione che non ero io a essere un ragazzo difficile, ma che era proprio il mondo a esserlo. Al di là delle classi sociali. Pian piano, con la fame atavica che mi spingeva, questo problema è stato risolto.

Considera che dal romanzo molti capitoli li abbiamo lasciati fuori. Molti sono divertentissimi, parlano dei primi passi verso il cambiamento e hanno qualcosa di surreale, di comico. Saranno nel secondo romanzo. Non volevamo nemmeno bruciarci tutto in un solo libro, in tutta onestà.
Il secondo romanzo sarà più difficile da scrivere. Dovendo parlare anche del mio rapporto con il mondo borghese, con la politica, la città… lì ci sono altri rischi. Bisogna trovare la lucidità per dire quel che va e quello che non va, senza cadere nella trappola del “fa tutto schifo”.

8) Nel romanzo dici una cosa che ho trovato molto interessante. E cioè che Salvatore Capone, il tuo alter ego, ha tanti fratelli però nessuno di loro è un delinquente. Quindi dai comunque un certo peso al libero arbitrio.

GDV: Negli anni ho maturato l’idea che esiste una responsabilità individuale, un libero arbitrio, perché altrimenti tutti i poveri dovrebbero delinquere. Nel libro abbiamo cercato in tutti i modi di uscire dalla retorica, dal piangersi addosso. Abbiamo cercato di raccontare la storia così com’è, lasciando al lettore la possibilità di valutare. Certo, io mi esprimo nel libro, ma poi lascio al lettore la possibilità di farsi un’idea.

9) In percentuale, quanto c’è di Gaetano Di Vaio in Salvatore Capone?

GDV: Di fondo 100%. Come umanità e approccio 100%. In termini di verità e narrazione siamo all’80%. Abbiamo voluto anche romanzare un po’, fantasticare.

Anteprima 2 non mi avrete mai

10) Una curiosità: ma Poppo cosa vuol dire?

GDV: Quando uno è pop. In realtà il soprannome era di un altro detenuto.

11) Tu hai ancora rapporti con alcune di queste persone?

GDV: Il Poppo, così come viene citato, è morto pochi mesi fa. L’ho sentito fino a sette, otto mesi fa. Un altro l’ho incontrato davanti alla stazione, era diventato un barbone. Questa cosa mi ha fatto male. Era rimasto completamente solo, dopo una condanna a 25 anni. Non aveva più una casa…
Gli chiesi anche il numero di telefono, ma poi è risultato inesistente.
Io ho conosciuto diverse persone con la tendenza a colpevolizzare il prossimo rispetto alla loro condizione. Questa persona invece aveva una sua dignità.

Alla fine, l’umanità è trasversale. Mi riferisco anche a un’onestà d’animo, che a volte entra in contrasto con la necessità di rubare. Ad esempio a Napoli, nei quartieri poveri, c’è chi fa le buste paga false. Compra la roba e la rivende al 50%. Se non avessero necessità di farlo per sopravvivere non lo farebbero. Se ci fossero più opportunità lavorative la criminalità calerebbe di botto.

12) Io non ho avuto esperienze di questo tipo, quindi ti parlo in base a quel che ho visto tramite interviste eccetera. Noto che a volte anche persone arrestate per omicidio – che è un tipo di reato abbastanza diverso dalla piccola truffa – poi hanno qualcosa, quando ti parlano, che ti lascia intravedere un candore, una purezza residua.

GDV: In carcere ho conosciuto gente che aveva fatto degli omicidi, ma riuscivi comunque a vedere un’umanità in loro. Questa è una cosa che mi ha fatto sempre interrogare. Io penso che la responsabilità di un atto criminale sia una cosa e la profondità dell’animo un’altra.
Solo se riesci a far incontrare questi due aspetti puoi cambiare vita veramente. Puoi capire come non fare certi errori. Non che non si devono fare, quello lo sanno tutti.

Gomorra Logo ruggine

13) La tua esperienza come Baroncino in Gomorra – La Serie come è stata?

Ci vuoi raccontare qualche particolare, qualche curiosità?

GDV: Guarda, al ruolo di per sé non avevo dato molto peso, mentre lo interpretavo, perché ero preso da altre cose, collaboravo con Stefano Sollima e gli altri registi per i dialoghi e altri aspetti. Ero molto più preso da quel lavoro lì che dal ruolo di attore. È stato più bello dopo, quando è andato in onda. Era la prima volta che venivo fermato frequentemente per strada, riconosciuto. Mi ha fatto piacere, mi ha gratificato. Nel complesso resta una delle esperienze più importanti che ho fatto da un punto di vista artistico. Mi sono confrontato per la prima volta con la grande macchina, l’industria cinematografica, Cattleya, Sky, per me è stata una grande scuola. Sollima è bravissimo, nella cura del ritmo, della velocità, e poi la capacità che ha di percepire se un personaggio va bene o no. Per un tipo adrenalinico come me Sollima è perfetto.

14) La gente dei quartieri che hanno fatto da scenografia per Gomorra – La serie come ha reagito a questo progetto?

GDV: Siamo stati accolti bene. Questi sono quartieri dove non succede mai niente… la presenza di persone estranee a quel mondo, anche la possibilità economica, perché no, la possibilità di confronto con realtà diverse sono ben accette. Quella è gente che vive in una situazione pessima. Lavorare un mese per Gomorra vuol dire guadagnare in modo sicuro.
E poi la gente si sente rappresentata in quella serie. Poi tutta la retorica che c’è stata a Napoli… Il punto centrale è un altro. Se non vuoi Gomorra, devi eliminare le cause che sono alla base di Gomorra. A quel punto, poi, se uno fa una fiction di questo tipo diventa una cosa come “Romanzo criminale”, una serie “storica”. È lo stato italiano che deve risolvere questa cosa, non può essere il solo comune di Napoli a farlo.

15) Progetti in cantiere?

GDV: Il film tratto dal romanzo, un altro film con Toni D’Angelo (figlio di Nino), “Falchi”.
Poi sto facendo la seconda stagione di Gomorra, non da attore. Sia come collaboratore per i dialoghi, sia come partner produttivo.

Gaetano Di Vaio e Aniello Troiano



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