Posted 18 giugno 2013 in Croazia, Slider, Unione Europea with 1 Comment
di Vittorio Filippi
Tra pochi giorni l’Unione Europea si allarga verso sud-est, verso i Balcani, accogliendo come suo ventottesimo stato la Croazia, il secondo – dopo la Slovenia – della ex Repubblica socialista jugoslava. Abbiamo chiesto un commento su questa new entry a Giacomo Scotti: nato a Saviano, Napoli, nel 1928, Scotti ha vissuto per circa mezzo secolo nella ex Jugoslavia. Dal 1985 risiede a Trieste, ma non ha mai smesso di vagabondare – come giornalista, scrittore, saggista e traduttore – tra le due sponde dell’Adriatico. Ha pubblicato oltre cento opere letterarie e storiche, l’ultima delle quali è uscita alla fine di maggio di quest’anno: è il romanzo autobiografico Per caso e per passione (Lint Editoriale, Trieste).
La Croazia è ormai un nuovo Stato dell’Unione. Ma è un ingresso “freddo” sia da parte croata (solo il 43% degli aventi diritto partecipò al referendum) sia da parte europea, con riserve e scetticismi perfino dalla Germania. Bild scrive che la Croazia, indebitata e corrotta, sarà la prossima Grecia. Addirittura l’euroscettico movimento Referendumski Ustanak voleva riproporre il voto referendario.
“Certo, ci sono timori, ma anche tante speranze. Da una parte si teme che l’euro possa aggravare il grave stato dell’economia nazionale, si teme l’invasione dei prodotti stranieri, la concorrenza, la colonizzazione economica. Ma dall’altra si ha una gran voglia di Europa, specie negli spazi culturali, artistici, umani. Inoltre per la minoranza italiana della regione istro-quarnerina l’abbattimento delle frontiere sarà una uscita definitiva dal ghetto e porterà finalmente alla riunione culturale con l’Italia”.
Il presidente (leghista) della Regione Veneto Luca Zaia ha lanciato l’allarme sulla “invasione” di lavoratori croati che arriverebbero in Italia a prezzi stracciati, come – dice – già successe a suo tempo con i romeni, e propone un contingentamento dei flussi.
“I timori di Zaia sono infondati. I croati, volendo, potevano già da tempo invadere il Veneto e l’Italia. Perché da più di dieci anni passano il confine con la sola carta d’identità. In realtà da decenni migliaia di badanti croate, ricercatissime perché brave e serie lavoratrici, arrivano in Veneto, in Friuli, in Lombardia. Lo stesso dicasi per gli eccezionali operai e tecnici dei cantieri navali di Genova e Monfalcone venuti da Fiume e dalla Dalmazia durante la guerra civile dei primi anni novanta. No, oggi la Croazia esporta medici, ingegneri, operai specializzati. E sappiamo che questi guardano in realtà più alla Scandinavia, agli Stati Uniti, alla Germania, al Canada, e molto meno all’Italia”.
L’ingresso croato nella UE avviene in un momento storico “bifronte”: da un lato un deciso miglioramento dei rapporti con la Repubblica di Serbia (una “riconciliazione” secondo Le Courrier des Balkans), dall’altro una crisi economica profonda che crea disoccupazione (è al 40% quella giovanile), povertà e scetticismo politico.
“Il miglioramento dei rapporti fra Croazia e Serbia è inevitabile. In Croazia non c’ è più Tudjman ma il pacifista ed umanista Josipovic, un giurista, un compositore. La Croazia potrà ampliare le sue esportazioni in Serbia, come al tempo della Jugoslavia, e dare fiato alla sua economia riducendo la disoccupazione giovanile. L’intera regione trarrà vantaggio da un auspicabile asse Zagabria-Belgrado. E ne trarrà vantaggio anche l’Europa”.
Riuscirà la UE ad includere quell’“Europa fuori d’Europa” che sono i Balcani, che per Aleksa Djilas (figlio del noto Milovan) avevano già sperimentato nello jugoslavismo “le migliori espressioni del liberalismo e del federalismo europei” (Raspad i nada, 1995)?
“Si, penso che includere nella UE l’Europa balcanica (Serbia, Montenegro, Macedonia, Bosnia) sia necessario ed inevitabile: gioverà a ricostruire l’amicizia e la collaborazione fra i popoli della ex Jugoslavia, gioverà alla stessa Europa e contribuirà a portare ai popoli balcanici una buona boccata d’aria democratica. Faciliterebbe anche la soluzione del problema dei rapporti fra Serbia e Kosovo. A questo proposito l’Europa farebbe bene a dedicare maggiore attenzione alle persecuzioni che oggi subiscono i serbi rimasti nel Kosovo e farebbe pure bene a fermare la corruzione, la delinquenza ed il malaffare che infettano il Kosovo albanese, frenando altresì l’ultranazionalismo degli schipetari kosovari. Un ultranazionalismo che minaccia anche la stabilità della confinante Macedonia”.
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