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Intervista a Giovanni Agnoloni

Creato il 10 settembre 2012 da Temperamente

Intervista a Giovanni AgnoloniOggi intervistiamo Giovanni Agnoloni, di cui abbiamo recensito il saggio sulle connessioni tra Tolkien e Bach precedentemente.
Grazie per aver accettato di essere ospite del nostro salotto letterario virtuale. Per rompere il ghiaccio, raccontaci qualcosa di te: chi è Giovanni Agnoloni?

Sono uno che secondo molti ha sbagliato Facoltà. Perché ho studiato e mi sono laureato in Legge. Io dico sempre che, se avessi fatto Lettere, non sarei mai diventato uno scrittore e sarei rimasto ingabbiato in accademismi di pensiero. Invece Legge ha fatto del tutto sfogare il mio lato Vergine (sono nato il 9 settembre), così che poi l’ascendente Acquario si è preso la sua rivincita. Scherzi a parte, sono uno che vive di scrittura. Non solo perché è la passione della mia vita, ma perché è il mio lavoro. Lavoro in cui rientra appieno la mia attività di traduttore letterario (ma anche tecnico). Qualunque esperienza con la parola arricchisce un  bagaglio personale, convergendo in un’unica direzione, che è quella di avvicinarsi sempre più a un livello di qualità letteraria tale da emozionare facendo pensare. O almeno questo è il mio sforzo quotidiano.
Sul sito abbiamo recensito il tuo Tolkien e Bach – Dalla Terra di Mezzo all’Energia dei Fiori. Leggendo questo saggio, in cui ci parli del potere della letteratura fantastica e dell’energia vibrazionale della natura e di come psiche e corpo siano in stretta connessione, l’impressione è che si intreccino continuamente una passione personale e una curiosità intellettuale. Come è nato questo insolito accostamento?
L’idea mi venne durante il convegno per il cinquantenario del Signore degli Anelli, a Birmingham, nel 2005. O già mi ronzava in testa, in sordina, se è vero che allora, alla fine di un incontro con i fan tolkieniani della figlia di Tolkien, Priscilla, le chiesi se suo padre avesse mai per caso incontrato il Dottor Bach, visto che entrambi avevano trascorso una parte della loro infanzia a Moseley, vicino Birmingham. La signora Tolkien rispose che non lo sapeva con certezza, ma aggiunse che probabilmente il padre avrebbe apprezzato l’amore per la natura dello scopritore dei Fiori di Bach. Secondo qualcuno è stato un modo educato per liquidarmi. Per me è stato lo stimolo per scrivere il mio saggio.
Quali sono gli elementi che ti colpiscono di più nella mitopoietica di Tolkien e quelli che invece ti affascinano nella floriterapia?
Quello che più mi colpisce della mitopoietica di Tolkien è la sua capacità di far sentire intensamente lì il lettore, innescando quell’effetto di credenza secondaria, come lui la chiama nel saggio “Sulle fiabe”, che ci trasporta in un mondo parallelo talmente intriso dell’energia intima dello stesso mondo da cui veniamo – dove però abbiamo disimparato a coglierla – che alla fine ci aiuta a vivere meglio proprio qui e ora. E un’altra cosa: la tensione verso la “parola creatrice”, sulle linee del pensiero di un altro Inkling, il filosofo Owen Barfield, ovvero verso quel punto d’origine in cui ogni parola fa tutt’uno con l’oggetto che rappresenta, creandolo immediatamente sotto i nostri occhi. Per questo Tolkien è il mio più grande maestro. Riguardo alla floriterapia, mi affascina il modo in cui non cura sintomaticamente (ecco perché i vari test applicatile per derubricarla come placebo non sono assolutamente indicativi), ma accompagna un processo di consapevolezza che ognuno può condurre solo individualmente. La medicina vibrazionale accorda le vibrazioni intime di ognuno, riportandole a un grado di armonia che somiglia molto all’effetto Recupero (e Consolazione) indotto dalla letteratura feerica, ovvero dalla Fiaba, secondo Tolkien. Entrambi, come del resto anche la letteratura classica (v. il mio primo libro Letteratura del fantastico – I giardini di Lorien, ed. Spazio Tre) e quella contemporanea ambientata nel mondo reale (v. il mio secondo saggio, Nuova letteratura fantasy, ed. Eumeswil), quando permeate dall’autentico spirito subcreativo, ci portano verso il centro di noi stessi, dove il Divino si manifesta senza il bisogno di chiamarsi “Dio”. Ma ciò nondimeno lo è, e allora non resta che aprirsi a – come dice Igor Sibaldi – “ciò che non sappiamo di sapere”, ovvero alla coscienza cosmica del Sé, là dove “trasumanar significar per verba non si poria”, per citare padre Dante.
Sei uno dei maggiori studiosi di Tolkien. Quale, tra gli autori che dopo di lui hanno scritto fantasy, pensi che si sia avvicinato di più alla sua profondità tematica o alla sua capacità di inventare mondi?
Premesso che sei stata molto generosa nell’inserirmi tra i massimi esperti (ho solo curato, tradotto e partecipato a una raccolta di saggi, Tolkien. La Luce e l’Ombra, ed. Senzapatria, dove sì c’erano alcuni tra i massimi studiosi mondiali), devo dire che non sono un esperto di fantasy. Sono, appunto, uno studioso di Tolkien, che ha sempre affrontato questa dimensione con lo sguardo rivolto al mondo reale, proprio perché affascinato dalla sua capacità di trasportarci lontano per poi riportarci qui, rinnovati (tanto che per lui la Terra di Mezzo era l’oikoumene, ovvero “il mondo abitato dagli uomini”: né più né meno il nostro, solo colto in un’epoca lontanissima – così lontana da assumere le sfumature di un sogno archetipico, direi). Dunque, in effetti il fantasy in quanto tale (e soprattutto il fantasy “escapistico”, quello che genera soltanto una Fuga e non contribuisce a far comprendere meglio la realtà) non m’interessa in modo particolare. Molto meglio la fantascienza, da Asimov a Dick a Gibson, per citare tre grandi maestri alla radice anche della mia adesione al movimento connettivista, la cui poetica ha ispirato quello che è il mio primo romanzo, Sentieri di notte, in uscita a ottobre per Galaad Edizioni (nella collana “Larix”, curata da Davide Sapienza). Con questo libro mi converto alla narrativa. Come saggista, credo di aver già detto quello che avevo da dire, e tutto il resto passerà meglio attraverso delle storie. Del resto, anche per Tolkien il compito di uno scrittore era fondamentalmente quello di scrivere storie.
Ci puoi anticipare qualcosa di questo tuo prossimo romanzo?
Sentieri di notte è una storia con quattro fili narrativi convergenti, che si sviluppano quasi interamente nell’arco di una notte, sospesi tra due grandi capitali storiche europee, Berlino e Cracovia. Siamo nel 2025, e il continente è messo sotto scacco da una multinazionale con sede a Berlino, che gestisce tutti i servizi informatici e sta cercando di conquistare il potere totale mediante un “ricatto energetico”. Intanto l’antica città polacca è invasa da una nebbia dall’origine misteriosa, che soltanto uno studioso irlandese dotato di un raffinatissimo strumento è in grado di attraversare, purché sia disposto ad affrontare il buio del suo passato, segnato da un’inspiegabile amnesia. Tra gli altri protagonisti, uno scienziato svizzero scacciato dagli ambienti accademici e un funzionario polacco che non accetta il golpe del potere tecnologico. È un patchwork di luoghi, paesi e culture, in cui la tecnologia funge da chiave d’accesso a una dimensione intima, viscerale: la Fonte, la radice dell’identità di ogni essere umano.
Ci piacerebbe conoscere i tuoi gusti letterari: escludendo Tolkien (che immagino sarebbe la tua prima risposta), c’è qualche autore in particolare che con le sue opere ha “cambiato” il tuo modo di vedere il mondo?
Non ho dubbi. Roberto Bolaño, genio cileno della letteratura universale, il cui capolavoro 2666 è indubbiamente il mio secondo caposaldo, tra i romanzi, insieme a Il Signore degli Anelli. La sua lezione, che ho appresa lavorando alla traduzione della seconda metà di Bolaño selvaggio (edito sempre da Senzapatria  http://www.nazioneindiana.com/2012/06/20/correre-lungo-il-bordo-del-precipizio-bolano-selvaggio/) è quella della visceralità, cioè del contatto profondo con le emozioni, a cui come narratore mi sforzo costantemente di approssimarmi. Perché la letteratura non deve solo “far sentire lì”, ma deve anche toccarci nella pancia, scaldarci il cuore e le interiora, e al tempo stesso far ridere e far piangere. Se si unisce la profondità abissale della visione del mondo di Tolkien alla carica uterina e lacerante della scrittura di Bolaño, si può arrivare a fare letteratura della più alta. E secondo me scrivere per meno non ha senso.
So che sei tra gli esponenti di una corrente culturale detta “connettivismo”, il cui incredibile e potentissimo Manifesto è pubblicato sulla rivista on-line NeXT. Puoi spiegare ai lettori di Temperamente di cosa si tratta?
Il Connettivismo (o i Connettivisti: così amiamo chiamarci, per sottolineare la libertà e l’originalità dell’approccio di ognuno di noi suoi esponenti), come l’ho recentemente illustrato in un’intervista per Critica Impura, è un movimento letterario (l’unico di fatto esistente oggi in Italia) che, partendo dalle suggestioni del Cyberpunk americano e unendole a spunti tematici e di atmosfera del Crepuscolarismo e del Futurismo (ma, in senso lato, anche del Romanticismo – uno su tutti: il tema dell’Oltre), è arrivato, grazie ai contributi dei suoi fondatori Sandro Battisti, Giovanni De Matteo e Marco Milani e di tutti noi altri sue espressioni, alle soglie del mainstream, volendo “infettare” positivamente la letteratura “non di genere” di suggestioni di profondità cosmica e interiore. Siamo infatti convinti, ciascuno a modo suo, che l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo sostanzialmente coincidano, e che la radice dell’Essere sia tale da risuonare e imbevere di sé ogni aspetto della realtà. Per me si tratta di un discorso profondamente spirituale, perché (e lo dico da cristiano convinto dell’esistenza di un’unica vera spiritualità, che abbraccia tutte le religioni), alla base di ogni singola vibrazione e di ogni singola parola c’è quella scintilla divina che – e può dirlo ognuno di noi – sono Io e io Sono. Si tratta di sottolineature che ho messe in luce nel mio primo contributo per la rubrica HOLYSTOLK del bollettino connettivista NeXT, appena uscito nella sua iterazione 17, da poco presentato a Roma da Sandro Battisti (v i consiglio questa intervista al proposito). E sono anche temi al centro del mio già ricordato romanzo Sentieri di notte (che, tra parentesi, verrà presentato a Roma nell’ambito della NeXT-Fest, il grande festival connettivista in programma dal 26 al 28 ottobre al Centro Culturale Elsa Morante, insieme al nuovo libro di Sandro Battisti Olonomico, in uscita con CIESSE Edizioni).
Io scrivo romanzi di genere fantasy e spesso mi sono scontrata con grandi preconcetti. Cosa pensi del fatto che in Italia i generi letterari (in senso ampio, fantasy, giallo, horror, fantascienza) sono considerati letteratura di seconda mano?
Beh, nel caso del giallo-noir non direi, tanto che è l’unico genere che vende bene nel nostro paese, mi pare. Per il resto, sono vizi o stereotipi di certi lettori, che giudicano un’opera per la casella in cui si inserisce e non per il suo valore intrinseco. Con un’aggiunta: purtroppo a volte sono pregiudizi ben fondati, perché tanta produzione letteraria, di genere come anche mainstream, è letterariamente scarsa.
Due parole per salutare i nostri lettori con qualche anticipazione sui tuoi prossimi progetti.
In attesa dell’uscita di Sentieri di notte con Galaad, continuo la mia attività di traduttore, nell’ambito della quale sono da poco stato ospite del festival letterario “Spiagge d’Autore” (in Puglia) insieme allo scrittore cubano Amir Valle, per presentare il suo bellissimo romanzo, da me tradotto, Non lasciar mai che ti vedano piangere (Edizioni Anordest). Ho poi da poco ultimato un noir dalle tinte (anche) spirituali, ambientato in Italia, e sto iniziando a scrivere quello che sarà il seguito di Sentieri di notte. Nel frattempo, pubblico su articoli di viaggio e recensioni sul quotidiano “Corriere Nazionale” e in rete, sul blog delle Edizioni Anordest e sui blog di cultura e società www.postpopuli.it e http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/.

Monica Serra

  • nnanzitutto grazie per aver accettato di essere ospite del nostro salotto letterario virtuale.
    Per rompere il ghiaccio, raccontaci qualcosa di te: chi è Giovanni Agnoloni?

  • Sono uno che secondo molti ha sbagliato Facoltà. Perché ho studiato e mi sono laureato in Legge. Io dico sempre che, se avessi fatto Lettere, non sarei mai diventato uno scrittore e sarei rimasto ingabbiato in accademismi di pensiero. Invece Legge ha fatto del tutto sfogare il mio lato Vergine (sono nato il 9 settembre), così che poi l’ascendente Acquario si è preso la sua rivincita. Scherzi a parte, sono uno che vive di scrittura. Non solo perché è la passione della mia vita, ma perché è il mio lavoro. Lavoro in cui rientra appieno la mia attività di traduttore letterario (ma anche tecnico). Qualunque esperienza con la parola arricchisce un bagaglio personale, convergendo in un’unica direzione, che è quella di avvicinarsi sempre più a un livello di qualità letteraria tale da emozionare facendo pensare. O almeno questo è il mio sforzo quotidiano.

  • Sul sito abbiamo recensito il tuo Tolkien e Bach – Dalla Terra di Mezzo all’Energia dei Fiori (Galaad Edizioni). Leggendo questo saggio, in cui ci parli del potere della letteratura fantastica e dell’energia vibrazionale della natura e di come psiche e corpo siano in stretta connessione, l’impressione è che si intreccino continuamente una passione personale e una curiosità intellettuale. Come è nato questo insolito accostamento?

L’idea mi venne durante il convegno per il cinquantenario del Signore degli Anelli, a Birmingham, nel 2005. O già mi ronzava in testa, in sordina, se è vero che allora, alla fine di un incontro con i fan tolkieniani della figlia di Tolkien, Priscilla, le chiesi se suo padre avesse mai per caso incontrato il Dottor Bach, visto che entrambi avevano trascorso una parte della loro infanzia a Moseley, vicino Birmingham. La signora Tolkien rispose che non lo sapeva con certezza, ma aggiunse che probabilmente il padre avrebbe apprezzato l’amore per la natura dello scopritore dei Fiori di Bach. Secondo qualcuno è stato un modo educato per liquidarmi. Per me è stato lo stimolo per scrivere il mio saggio (http://www.galaadedizioni.com/schede/tolkienebach.htm).

  • Quali sono gli elementi che ti colpiscono di più nella mitopoietica di Tolkien e quelli che invece ti affascinano nella floriterapia?

Quello che più mi colpisce della mitopoietica di Tolkien è la sua capacità di far sentire intensamente il lettore, innescando quell’effetto di credenza secondaria, come lui la chiama nel saggio Sulle fiabe, che ci trasporta in un mondo parallelo talmente intriso dell’energia intima dello stesso mondo da cui veniamo – dove però abbiamo disimparato a coglierla – che alla fine ci aiuta a vivere meglio proprio qui e ora. E un’altra cosa: la tensione verso la “parola creatrice”, sulle linee del pensiero di un altro Inkling, il filosofo Owen Barfield, ovvero verso quel punto d’origine in cui ogni parola fa tutt’uno con l’oggetto che rappresenta, creandolo immediatamente sotto i nostri occhi. Per questo Tolkien è il mio più grande maestro. Riguardo alla floriterapia, mi affascina il modo in cui non cura sintomaticamente (ecco perché i vari test applicatile per derubricarla come placebo non sono assolutamente indicativi), ma accompagna un processo di consapevolezza che ognuno può condurre solo individualmente. La medicina vibrazionale accorda – appunto – le vibrazioni intime di ognuno, riportandole a un grado di armonia che somiglia molto all’effetto Recupero (e Consolazione) indotto dalla letteratura feerica, ovvero dalla Fiaba, secondo Tolkien. Entrambi, come del resto anche la letteratura classica (v. il mio primo libro Letteratura del fantastico – I giardini di Lorien, ed. Spazio Tre – http://www.girsacrew.it/tolkien/recensioni/lorien.html) e quella contemporanea ambientata nel mondo reale (v. il mio secondo saggio, Nuova letteratura fantasy, ed. Eumeswil – http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2010/09/22/il-terzo-sguardo-n-12-attraverso-lo-specchio-del-fantastico-giovanni-agnoloni-nuova-letteratura-fantasy/), quando permeate dall’autentico spirito subcreativo, ci portano verso il centro di noi stessi, dove il Divino si manifesta senza il bisogno di chiamarsi “Dio”. Ma ciò nondimeno lo è, e allora non resta che aprirsi a – come dice Igor Sibaldi – “ciò che non sappiamo di sapere”, ovvero alla coscienza cosmica del Sé, là dove “trasumanar significar per verba non si poria”, per citare padre Dante.

  • Sei uno dei maggiori studiosi al mondo di Tolkien. Quale, tra gli autori che dopo di lui hanno scritto fantasy, pensi che si sia avvicinato di più alla sua profondità tematica o alla sua capacità di inventare mondi?

Premesso che sei stata molto generosa nel qualificarmi come uno dei massimi esperti al mondo (ho solo curato, tradotto e partecipato a una raccolta di saggi, Tolkien. La Luce e l’Ombra, edita da Senzapatria, dove sì c’erano alcuni tra i massimi studiosi mondiali – http://www.ibs.it/code/9788897006176/tolkien-luce-ombra.html), devo dire che non sono un esperto di fantasy. Sono, appunto, uno studioso di Tolkien, che ha sempre affrontato questa dimensione con lo sguardo rivolto al mondo reale, proprio perché affascinato dalla sua capacità di trasportarci lontano per poi riportarci qui, rinnovati (tanto che per lui la Terra di Mezzo era l’oikoumene, ovvero “il mondo abitato dagli uomini”: né più né meno il nostro, solo colto in un’epoca lontanissima – così lontana da assumere le sfumature di un sogno archetipico, direi). Dunque, in effetti il fantasy in quanto tale (e soprattutto il fantasy “escapistico”, quello che genera soltanto una Fuga e non contribuisce a far comprendere meglio la realtà) non m’interessa in modo particolare. Molto meglio la fantascienza, da Asimov a Dick a Gibson, per citare tre grandi maestri alla radice anche della mia adesione al movimento connettivista, la cui poetica ha ispirato quello che è il mio primo romanzo, Sentieri di notte, in uscita a ottobre per Galaad Edizioni (nella collana “Larix”, curata da Davide Sapienza). Con questo libro mi converto alla narrativa. Come saggista, credo di aver già detto quello che avevo da dire, e tutto il resto passerà meglio attraverso delle storie. Del resto, anche per Tolkien il compito di uno scrittore era fondamentalmente quello di scrivere storie.

- Ci puoi anticipare qualcosa di questo romanzo?

Sentieri di notte è una storia con quattro fili narrativi convergenti, che si sviluppano quasi interamente nell’arco di una notte, sospesi tra due grandi capitali storiche europee, Berlino e Cracovia. Siamo nel 2025, e il continente è messo sotto scacco da una multinazionale con sede a Berlino, che gestisce tutti i servizi informatici e sta cercando di conquistare il potere totale mediante un “ricatto energetico”. Intanto l’antica città polacca è invasa da una nebbia dall’origine misteriosa, che soltanto uno studioso irlandese dotato di un raffinatissimo strumento è in grado di attraversare, purché sia disposto ad affrontare il buio del suo passato, segnato da un’inspiegabile amnesia. Tra gli altri protagonisti, uno scienziato svizzero scacciato dagli ambienti accademici e un funzionario polacco che non accetta il golpe del potere tecnologico. È un patchwork di luoghi, paesi e culture, in cui la tecnologia funge da chiave d’accesso a una dimensione intima, viscerale: la Fonte, la radice dell’identità di ogni essere umano.

  • Ci piacerebbe conoscere i tuoi gusti letterari: escludendo Tolkien (che immagino sarebbe la tua prima risposta), c’è qualche autore in particolare che con le sue opere ha “cambiato” il tuo modo di vedere il mondo?

Non ho dubbi. Roberto Bolaño, genio cileno della letteratura universale, il cui capolavoro 2666 è indubbiamente il mio secondo caposaldo, tra i romanzi, insieme a Il Signore degli Anelli. La sua lezione, che ho appresa lavorando alla traduzione della seconda metà di Bolaño selvaggio (edito sempre da Senzapatria – http://www.nazioneindiana.com/2012/06/20/correre-lungo-il-bordo-del-precipizio-bolano-selvaggio/) è quella della visceralità, cioè del contatto profondo con le emozioni, a cui come narratore mi sforzo costantemente di approssimarmi. Perché la letteratura non deve solo “far sentire lì”, ma deve anche toccarci nella pancia, scaldarci il cuore e le interiora, e al tempo stesso far ridere e far piangere. Se si unisce la profondità abissale della visione del mondo di Tolkien alla carica uterina e lacerante della scrittura di Bolaño, si può arrivare a fare letteratura della più alta. E secondo me scrivere per meno non ha senso.

  • So che sei tra gli esponenti di una corrente culturale detta “connettivismo”, il cui incredibile e potentissimo “Manifesto” è pubblicato sulla rivista on-line NeXT. Puoi spiegare ai lettori di Temperamente di cosa si tratta?

Il Connettivismo (o i Connettivisti: così amiamo chiamarci, per sottolineare la libertà e l’originalità dell’approccio di ognuno di noi suoi esponenti), come l’ho recentemente illustrato in un’intervista per Critica Impura, http://criticaimpura.wordpress.com/2012/05/12/il-connettivismo-come-sensibilita-sottile-e-archetipica-del-se-unintervista-impura-con-giovanni-agnoloni/ , è un movimento letterario (l’unico di fatto esistente oggi in Italia) che, partendo dalle suggestioni del Cyberpunk americano e unendole a spunti tematici e di atmosfera del Crepuscolarismo e del Futurismo (ma, in senso lato, anche del Romanticismo – uno su tutti: il tema dell’Oltre), è arrivato, grazie ai contributi dei suoi fondatori Sandro Battisti, Giovanni De Matteo e Marco Milani e di tutti noi altri sue espressioni, alle soglie del mainstream, volendo “infettare” positivamente la letteratura “non di genere” di suggestioni di profondità cosmica e interiore. Siamo infatti convinti, ciascuno a modo suo, che l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo sostanzialmente coincidano, e che la radice dell’Essere sia tale da risuonare e imbevere di sé ogni aspetto della realtà. Per me si tratta di un discorso profondamente spirituale, perché (e lo dico da cristiano convinto dell’esistenza di un’unica vera spiritualità, che abbraccia tutte le religioni), alla base di ogni singola vibrazione e di ogni singola parola c’è quella scintilla divina che – e può dirlo ognuno di noi – sono Io e io Sono. Si tratta di sottolineature che ho messe in luce nel mio primo contributo per la rubrica HOLYSTOLK del bollettino connettivista NeXT, appena uscito nella sua iterazione 17, da poco presentato a Roma da Sandro Battisti (v. anche http://www.postpopuli.it/10963-next-17-il-connettivismo-si-evolve-intervista-a-sandro-battisti/). E sono anche temi al centro del mio già ricordato romanzo Sentieri di notte (che, tra parentesi, verrà presentato a Roma nell’ambito della NeXT-Fest, il grande festival connettivista in programma dal 26 al 28 ottobre al Centro Culturale Elsa Morante, insieme al nuovo libro di Sandro Battisti Olonomico, in uscita con CIESSE Edizioni).

  • Io scrivo romanzi di genere fantasy e spesso mi sono scontrata con grandi preconcetti. Cosa pensi del fatto che in Italia i generi letterari (in senso ampio, fantasy, giallo, horror, fantascienza) sono considerati letteratura di seconda mano?

Beh, nel caso del giallo-noir non direi, tanto che è l’unico genere che vende bene nel nostro paese, mi pare. Per il resto, sono vizi o stereotipi di certi lettori, che giudicano un’opera per la casella in cui si inserisce e non per il suo valore intrinseco. Con un’aggiunta: purtroppo a volte sono pregiudizi ben fondati, perché tanta produzione letteraria, di genere come anche mainstream, è letterariamente scarsa.

  • Due parole per salutare i nostri lettori con qualche anticipazione sui tuoi prossimi progetti.

In attesa dell’uscita di Sentieri di notte con Galaad, continuo la mia attività di traduttore, nell’ambito della quale sono da poco stato ospite del festival letterario “Spiagge d’Autore” (in Puglia) insieme allo scrittore cubano Amir Valle, per presentare il suo bellissimo romanzo, da me tradotto, Non lasciar mai che ti vedano piangere (Edizioni Anordest) (http://www.edizionianordest.com/catalogo/celebres-ineditos/145-NON-LASCIAR-MAI-CHE-TI-VEDANO-PIANGERE). Ho poi da poco ultimato un noir dalle tinte (anche) spirituali, ambientato in Italia, e sto iniziando a scrivere quello che sarà il seguito di Sentieri di notte. Nel frattempo, pubblico su articoli di viaggio e recensioni sul quotidiano “Corriere Nazionale” e in rete, sul blog delle Edizioni Anordest (http://blog.edizionianordest.com) e sui blog di cultura e società www.postpopuli.it e http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/.

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