Nel suo ultimo saggio, Internet, controllo e libertà. Trasparenza, sorveglianza e segreto, appena uscito per Raffaello Cortina, il giurista Giovanni Ziccardi analizza come i nuovi media sociali abbiano trasformato il nostro concetto di libertà e privacy, modificando il modo stesso di stare sul web. L’abbiamo intervistato per un’anteprima sull’argomento.
Professor Ziccardi, il suo nome è certamente legato a doppio filo all’informatica giuridica, disciplina che insegna all’Università Statale di Milano e che il pubblico di lettori sta imparando a conoscere grazie a testi come Il computer e il giurista (Giuffré 2015) e Internet, controllo e libertà. Trasparenza, sorveglianza e segreto nell’era tecnologica (Raffaello Cortina 2015). C’è ancora posto, secondo lei, per l’etica e la libertà al tempo di internet?
Secondo me sì. Sono tempi molto difficili, in quanto la privacy sembra essere diventato un valore di poca importanza, gli Stati puntano sempre di più sul controllo delle informazioni private e pubbliche e le stesse aziende tendono a controllare il flusso di dati che circola nei loro servizi. Un quadro che vede soggetti molto forti “gestire” in un certo senso tutto il traffico, richiede una costante attenzione all’etica, ossia ai valori sui quali basare il funzionamento della tecnologia, e ai comportamenti soprattutto dei controllori. Anche un ritorno ai valori della libertà è fondamentale, sia essa la libertà di manifestazione del pensiero o la libertà di impresa.
In un volumetto del 2011 su Foucault e le nuove forme del potere, Stefano Rodotà, Presidente dell’Autorità garante per la Privacy dal 1997 al 2005, scrive che «Non parliamo più soltanto di una società dell’informazione o di una società della conoscenza, ma di una società della comunicazione, caratterizzata da ininterrotti flussi informativi nei quali tutti siamo continuamente immersi. Siamo, insieme, destinatari e produttori di comunicazioni. E sono proprio le informazioni direttamente prodotte da ciascuno di noi a renderci più controllabili e più governabili». Qual è la sua opinione a riguardo?
Sono d’accordo, la società dell’informazione ha avuto una trasformazione incredibile grazie anche ai nuovi modi di comunicare degli individui. Siamo allo stesso tempo bombardati da informazioni e ne generiamo tantissime, e gran parte delle informazioni che generiamo sono strettamente connesse al nostro carattere, ai nostri gusti, al nostro modo di essere, al nostro “profilo”. Ciò ci rende estremamente vulnerabili e identificabili. Ogni giorno mettiamo in circolazione informazioni su di noi, sulla nostra persona, spesso senza che ce ne rendiamo conto. Si aggiunga che la correlazione di tali dati porta a generare nuova informazione che ci identifica e ci definisce ancora meglio e più a fondo.
L’ultima frontiera della galassia socio-informatica non è stata raggiunta dalla condivisione di file (“file sharing”, “video sharing”, ecc), bensì dalla condivisione della propria stessa privacy. Come ha scritto il filosofo e psicanalista Slavoj Žižek: «Se nei bei tempi andati del Grande Fratello si temeva lo sguardo, oggi temiamo che egli non voglia guardarci». Vale a dire che amiamo a tal punto il Grande Fratello e temiamo a tal punto di non essere guardati che ci spiamo a vicenda gli uni con gli altri, dando luogo a quella paradossale “shared-privacy”, la cosiddetta “privacy condivisa”. Vuole spiegare ai lettori di Temperamente quali sono i segreti dell’era tecnologica di cui parla nel suo volume?
Questo è uno degli aspetti che tratto nel mio volume, anche se non è più un segreto ma oggi è sotto gli occhi di tutti. L’ho definito come la morte o la svendita della privacy, ossia l’azione del soggetto stesso che, in molti casi, è lui il primo a far circolare dati sensibili che lo riguardano. Si profilano così due rischi. Il primo è quello del controllo o della sorveglianza segreta, o di Stato, ma il secondo, ben più grave, è che molto spesso non c’è neppure bisogno di spiare o controllare o sorvegliare perché è l’individuo stesso che rivela le sue informazioni, che svende la sua privacy. La sua persona.
Una domanda su Facebook. A me pare che, col passaggio della denominazione della vetrina offerta dalla pagina web, mutata da “bacheca” a “diario”, molti utenti abbiano davvero finito con lo scambiare la pagina web con l’oggetto cartaceo “diario”, riversandovi all’interno – meglio, all’esterno – contenuti privati senza rendersi spesso conto di renderli pubblici. Lo chiedo tra il serio e il faceto, ma la questione è preoccupante: questo cosa vuol dire? Che se un giorno la pagina web del social network dovesse cambiar nome in “valigia”, gli utenti inizieranno a postare foto di passaporti e spazzolini?
Mi sembra un’osservazione corretta. Facebook era nato come contenitore di fotografie, sin dalle origini, e già questo consentiva un’ampia circolazione di dati personali. Con l’idea del diario, sono cadute tutte le barriere, soprattutto se l’utente non ha una conoscenza approfondita delle impostazioni privacy e se rende ogni sua informazione “pubblica”. Vi è poi questa attitudine a condividere anche i dati più intimi, cosa che a volte può dar fastidio a chi legge, dal momento che la privacy non è solo protezione dei propri dati ma anche protezione dalla invasione non voluta di dati altrui.
Restando ancora sul binomio controllo e libertà, mi viene da osservare che al tempo di Internet l’idea di controllo è paradossalmente molto più prossima a quella di libertà – ma si tratta di una libertà naturalmente illusoria – che a quella di coercizione. Si ha cioè l’illusione di dominare il macro-cosmo informatico e di vivere una vita sociale da protagonisti, se non addirittura da divi, quando invece, come osservano in tanti, da Žižek a Sartori a Lianos, viviamo in tempi di “solipsismo collettivo”, rinchiusi all’interno delle nostre “web-gabbie”. Come si colloca il suo volume all’interno di questo dibattito?
Nel mio libro cerco di comprendere il rapporto tra il diritto, la società e la politica in quadro così complesso. Cerco di capire se queste palesi violazioni alla privacy porteranno una consapevolezza maggiore (ad esempio quando vedremo i droni volteggiare sulle nostre case con telecamere e sensori) o se, al contrario, si continuerà ad evitare il problema.
Molto bene. Non mi resta che ringraziare il Professor Ziccardi per la vivacità del suo pensiero e per aver approfondito con molta passione le tematiche dei suoi libri. Prima di salutarci, c’è qualche consiglio che vuole dare ai lettori – e agli internauti?
Il consiglio è quello di rispettare sempre le tecnologie e di valorizzare in ogni momento gli aspetti di libertà che trovano, in un mondo come quello di Internet, un terreno davvero fertile. Al contempo la tecnologia può offrire protezione alla nostra riservatezza, ad esempio tramite la crittografia, e consentirci di vivere il mondo digitale in maggiore tranquillità.