"Non si combatte la mafia con il carcere, si sconfigge cambiando la societa" (di F. Vendemmiati)
Leonardo Sciascia nel 1970 in un‘intervista sulla mafia, rilasciata a Giampaolo Pansa per 'La Stampa' di Alberto Ronchey, spiegò la teoria della palma. "Secondo una teoria geologica, per il riscaldamento del pianeta la linea di crescita delle palme sale verso il nord di un centinaio di metri all'anno. Per questo motivo, fra un certo numero di anni, vedremo nascere le palme anche dove oggi non esistono". "Che cosa c'entrano le palme con la mafia?". Sciascia sorrise: "Anche la linea della mafia sale ogni anno. E si dirige verso l'Italia del nord. Tra un po' di anni la vedremo trionfare in posti che oggi sembrano al riparo da qualsiasi rischio. E anche al nord la mafia avrà gli stessi connotati che oggi ha in Sicilia. Un sistema dentro il sistema. Ha vinto il sistema di Cosa Nostra: più rozzo, più spregiudicato, più violento. E vincerà anche al nord".
E’ Pietro Grasso, procuratore nazionale antimafia a ricordare la profetica teoria della palma, oggi diventata realtà in Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Piemonte. "Al posto delle palme oggi c’è il denaro e la linea di salita è molto più veloce, in pochi secondi i soldi sporchi fanno il giro del mondo" esordisce il procuratore antimafia, fresco autore di "Soldi Sporchi", come la mafia ricicla miliardi e inquina l’economia mondiale, libro scritto con il giornalista di repubblica Enrico Bellavia.
Procuratore facciamo un po’ di conti: in questi mesi sono molto alla moda le cifre e gli indici economici.
Insomma sono cresciute intere foreste di palme per dirla con Sciascia, senza contare la globalizzazione che ha colpito e ha trasformato la mafia.
Terrorismo internazionale e droga allacciano alleanze inaspettate. Ad esempio l’Eta basca, prima di decidere nell’ottobre dell’anno scorso di cessare l’attività armata, cedeva cocaina colombiana alla camorra in cambio di armi, che questa acquistava nei paesi dell’est. Una volta c’erano gli spalloni, quelli che portavano denaro sporco in luoghi sicuri, oggi è tutto più facile. Il denaro può essere spedito in tutto il mondo, nelle banche della Svizzera o dell’Austria e a quel punto se ne perdono le tracce
Eppure i paradisi fiscali sono noti, è così difficile neutralizzarli?
Tra i paradisi fiscali c’è un isolotto, un atollo sperduto al centro dell’ Oceano Pacifico. Non c’è nemmeno l’aeroporto, ma ci sono banche, grattacieli, la sede di una grande compagnia aerea e molti operatori russi. Si può fare di tutto, l’atollo è sovrano ovvero totalmente privo di regole e senza controlli. In uno dei recenti vertici del G8 si mise all’ordine del giorno un’azione efficace contro i paradisi fiscali. La Cina chiese l’esclusione di Macao e Hong Kong e non se ne fece niente. Con queste regole è quasi impossibile ottenere informazioni dai conti depositati all’estero, spesso passano mesi dalla richiesta e quasi sempre senza risultati.
La copertina del libro ritrae un mappamondo avvolto da una banconota da 500 euro. L’euro è diventato improvvisamente una moneta forte?
La banconota da 500 euro è la più usata e quotata al mondo nel sistema del riciclaggio. In una valigetta ventiquattrore ci stanno 6 milioni di euro per un peso di un chilogrammo e sei etti. Un pacchetto di sigarette può contenere 200 mila euro ben compressi in carta da 500. Una società inglese ha scambiato 5 milioni di euro ad una valore molto più elevato, perché servivano per il riciclaggio. In questo sistema la banconota da 500 ha un valore maggiore di quello nominale.
Segui i soldi e trovi la mafia, si dice. Ma mi pare piuttosto difficile seguire una pista che non lascia tracce.
Occorre tener conto anche che la criminalità organizzata si serve di colletti bianchi, di prestanome incensurati. Smascherarli è la principale difficoltà. Per scoprire le relazioni indecenti di sconosciuti senza arte né parte, ma che gestiscono patrimoni miliardari, occorrono tecnologia, controlli incrociati, un ruolo attivo della Banca d’Italia. I flussi finanziari, i bonifici non costituiscono solo indici economici, sono a volte rivelatori di rapporti anomali tra paesi e tra attività commerciali. Mi hanno detto che in Italia non c’è una legge per questo e che di questi tempi non è facile
In Italia è sempre la droga la principale risorsa economica della mafia?
La cocaina in particolare. Grazie ad alcune intercettazioni telefoniche abbiamo bloccato un traffico di cocaina per diversi milioni di euro. La prima telefonata con la richiesta di denaro è stata fatta di sabato mattina, a banche chiuse. I soldi servivano entro la sera. Il gruppo non ha fatto altro che svuotare la sera di sabato le casse dei centri commerciali e ipermercati di sua proprietà e versare il denaro necessario.
Gli esempi che lei fa descrivono un paese che convive con la mafia, anzi ci fa affari ma al prezzo di un costo sociale molto alto.
La mafia determina i prezzi di ciò che mangiamo. Non voglio esagerare ma è come se alla nostra tavola ogni sera offrissimo la cena ad un mafioso. C’è una ditta di pomodori del ragusano che manda i prodotti per il confezionamento a Fondi, sotto Roma, e poi i pomodori inscatolati tornano in Sicilia per essere venduti. La regola la detta la società di trasporto che si arricchisce girando per mezza Italia con carichi di ortaggi. Questo non è un mercato basato sulla concorrenza, ma drogato dalla criminalità organizzata, che si arricchisce sulla pelle dei consumatori e nemmeno nei periodi di forte crisi economica inverte la tendenza. Sono rimasto molto colpito da un episodio successo a Palermo. Da un sacchetto della spesa hanno rubato un litro di latte e una confezione di pasta, tutto il resto è rimasto. Non è stato il furto di un ladruncolo, ma di una persona che soffre la fame. La situazione è disperata. I magistrati possono solo fare indagini, al massimo prevengono i reati se hanno gli strumenti idonei, ma la fame non compete al sistema giudiziario.
Oggi qual è lo strumento più efficace per combattere la malavita organizzata?
Lo strumento prioritario è l’aggressione al patrimonio mafioso. Meglio ricco in carcere, che libero senza soldi, è la filosofia del mafioso oggi. Ma il problema è trovare i patrimoni. Dal 1982, quando è entrata in vigore la legge Rognoni-La Torre, i mafiosi hanno smesso di intestare i patrimoni a loro stessi e ai loro familiari. Anche per questo è più difficile trovare traccia del denaro. Ricordo un collaboratore di giustizia che, temendo di non essere troppo creduto, ci propose di recuperare del denaro nascosto in Svizzera. Andammo insieme pensando di entrare in una banca e accedere ad un conto cifrato. Invece ci portò su una collina e vicino ad uno chalet, davanti agli sguardi esterrefatti delle guardie svizzere, scavò una buca ed estrasse un bidone nero contenente migliaia di dollari. Era uno dei tesori della pizza connection tra la Sicilia e gli Stati Uniti. “Mi avevano detto, ci disse, di portare i soldi in Svizzera e qui li ho portati”. Non si era fidato nemmeno delle banche svizzere.-
Procuratore Grasso, strumenti pochi per sconfiggere la mafia, ci sono segnali di speranza?
La società civile è la speranza, i giovani che vanno a lavorare nelle terre confiscate in Sicilia, che coltivano i campi in Calabria nel terreni della ‘ndrangheta. La speranza viene da questo sistema di valori che noi, classe dirigente, non siamo riusciti a costruire. Non si combatte la mafia con il carcere, si sconfigge cambiando la società.