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Intervista a Leonardo Caffo

Creato il 20 giugno 2011 da Temperamente

Intervista a Leonardo CaffoAmici di Temperamente, oggi conosciamo meglio Leonardo Caffo, giovane filosofo catanese trapiantato a Milano. Leonardo è l’autore di Soltanto per loro, il saggio recensito qui.

Leonardo, grazie innanzitutto di aver accettato il mio invito e di essere qui, ospite del salotto virtuale di Temperamente. Il tuo saggio è un manifesto sull’animalità intitolato Soltanto per loro, ma, a giudicare dalle conclusioni del libro, l’auspicio sembra essere quello di una liberazione totale, e non solo animale, da ogni relazione di dominio. Ho capito bene?

Grazie a te per avermi invitato, e per aver recensito il mio libro. La tua domanda è parecchio pertinente agli scopi del testo che, infatti, si propone di raccogliere un lavoro di ricerca che definendo i fragili bordi della questione animale permette una migliore comprensione di ciò che è umano. L’antispecismo, come teoria filosofica e politica, si propone sicuramente come progetto autentico di liberazione globale comprendendo molte delle idee che sole hanno dato moto alle vicende umane, animate dallo spirito di cooperazione, dall’amicizia autentica, dalla fratellanza tra non fratelli, dall’armonia possibile fra tutti gli esseri viventi innanzitutto – ma non basta – tra umani. Se, come credono i filosofi della questione animale, il capitalismo come meccanismo oppressivo si basa essenzialmente sullo sfruttamento dell’altro da sé, tipicamente dell’animale non umano (da cui ‘capitalismo’ ovvero sfruttamento del ‘capo’ di bestiame), liberare gli animali non umani significa liberare tutte le creature viventi, in grado di soffrire, fiorire e morire. E dunque anche l’uomo, che del capitalismo si è fatto artefice e vittima, è parte integrante di quella liberazione che è messianesimo laico: l’antispecismo come opposizione totale alla violenza. Basti infatti pensare al ‘grattacielo’ sociale sapientemente narrato da Max Horkheimer, descritto anche nel mio libro, che vede al fondamento della miseria non soltanto gli umani relegati alla sofferenza – gli schiavi, gli ‘stranieri’ ecc. – che pure esistono, ma gli animali non umani che ‘crepano’ in un immondo meccanismo di violenza istituzionalizzata che, da sola, permette il surplus necessario per garantire un benessere economico che oggi comincia a vacillare. In quest’oscillazione del capitalismo, tra il baratro e la sopravvivenza, si inserisce la postura antispecista attraverso cui guardare la realtà modificandola. La volontà di riformare gli stati di cose, le proprietà contingenti di questo mondo, ma di non adattarsi mai a  questi scendendo ad inutili compromessi.

Molti animalisti si soffermano sul fatto che sia sbagliato mangiare carne perché, nei mattatoi, gli animali subiscono una serie di ‘procedure’ come l’amputazione di becco e genitali senza anestesia. Altri ancora affermano che sia sbagliato mangiare bovini e suini perché anche gli animali da fattoria, al pari degli animali domestici, sarebbero dotati di caratteristiche tali da potersi relazionare con le persone. Ma ridurre il problema a queste cose non significa forse sorvolare già sul fatto che scannare un animale sia qualcosa da condannare in ogni caso, e non solo in caso di mancata anestesia o nel caso di specie dotate di una cognizione e di una comunicazione, per così dire, più umane?

Anche questa volta cogli un punto fondamentale, su cui l’antispecismo contemporaneo concentra parte importante del suo mordente. Senza dubbio le pratiche che circondano la morte animale sono riprovevoli, ma niente è terribile come la privazione della vita. Ogni animale, ogni individuo animale la cui vita viene costantemente offesa, è in grado di soffrire esattamente come noi essendo dotato, infatti, di sistema nervoso e ricettori del dolore che rendono insopportabile la barbarie a cui lo sottoponiamo. Uccidere un individuo, animale umano o non umano, senza nessun motivo necessario è sempre scorretto anche se, per qualche perverso meccanismo, riuscissimo ad uccidere senza far provare dolore a colui che viene condannato a fine certa. Gli animalisti di cui parli tu sono chiamati ‘protezionisti’. Questo vuol dire che parte delle loro battaglie ha come obiettivo gabbie più larghe, o sofferenza minore per l’animale. Ma come sempre tu stesso hai capito, l’antispecismo è un movimento filosofico radicalmente abolizionista: nessuna morte è concessa. Questo meccanismo di ‘umanizzazione’ degli allevamenti, in cui si cerca di rendere più civile la vita dell’animale che poi verrà comunque macellato, è ben racchiuso in quell’ossimoro concettuale che alcuni filosofi, come Matthew Cole, hanno definito essere ‘carne felice’. Un passaggio di paradigma dall’animale macchina cartesiano, a quello dell’animale da controllare attraverso la bio-politica: pratica che alla luce del pensiero, ad esempio, di filosofi come Focault possiamo cercare di contrastare, ed è quello che gli italiani stanno facendo in modo pionieristico con il progetto ‘Bio-violenza’.

Spesso si legge che se le pareti dei mattatoi fossero di vetro anziché di cemento saremmo tutti vegetariani. Tu però ribatti che «la consapevolezza del massacro è molto più costante di ciò che si pensa, di ciò che un certo animalismo ingenuo ha reso vessillo di battaglia». Ti chiedo allora: quali sono gli altri fattori da prendere in considerazione per la liberazione animale? Quali condizioni culturali, istituzionali e sociali sono necessarie per debellare lo specismo?

Questa è la domanda più complessa, ma proverò ad abbozzare una risposta. Sicuramente avere ‘pareti di vetro’ iuterebbe ad acquisire una consapevolezza di ciò che abbiamo nel piatto. Riprendendo una prospettiva alla Peter Singer possiamo dire che, conoscere il percorso a ritroso della nostra bistecca, certamente aiuterebbe a conoscere molte delle pratiche industriali che ci sono oscure. Seppur legali i macelli, infatti, sono stati relegati ai confini delle società – tra le periferie e le campagne – in modo tale che tutti potessero sapere ma nessuno vedere ed è suggestivo, ma inquietante, il paragone con i lager durante il regime nazista in cui tutti sapevano cosa accadeva, ma pochi avevano coscienza di sapere. Purtroppo molti meccanismi empatici, che pure resistono, sono stati minati dalle fondamenta ed è raro che uno specista abbia un’attivazione neurale dei circuiti empatici di fronte a scene di crudeltà intraspecifica; cosa che invece avviene, a meno di patologie, in modo interspecifico. Senza una riflessione culturale, sociale, e personale la stessa capacità di immedesimazione nell’altro da sé, inteso come altro animale, sembra davvero complessa. Se la società in cui viviamo trasmette una valutazione autorevole secondo cui gli animali possono essere mangiati, torturati, ecc. la maggior parte degli individui umani non troverà motivi per dubitarne. Tuttavia, e la filosofia morale bene lo insegna, non tutto ciò che è giustificato è giusto e, dunque, non tutto ciò che è legale è corretto. Nel passato, per fortuna lontano, erano legali pratiche come la schiavitù dei neri, la privazione dei diritti delle donne, ecc. Ma non è bastato osservare – in parallelo coi macelli – la condizione dei neri o delle donne per cambiare qualcosa in società; sono stati gli stessi concetti di ‘donna’ e di ‘uomo di colore’ che hanno subito una trasformazione che è passata dalla fine di un’ossessione identitaria all’inizio di un principio, seppur labile, di comunità della con-vivenza tra diversi. Perché cos’è il diverso? E l’uguale? La logica e l’ontologia si scontrano con un continuo fallimento di un principio di identità che sia coerente. Per debellare lo specismo bisogna innanzitutto rinunciare all’identità, che è il principio di ogni forma di sfruttamento, e di morte.

A un certo punto, nel tuo libro, accenni ad un intervento tenuto al festival antispecista Veganch’io. Vuoi parlarci di questa e di altre manifestazioni simili?

Il Veganch’io è un festival antispecista organizzato da Oltre la Specie (www.oltrelaspecie.org), forse l’unica vera associazione antispecista italiana che coniughi l’attività culturale – filosofica, con quella dell’attivismo. Quest’anno il festival si terrà a Vimercate (Milano) dal 2 al 4 Settembre e prevede, come sempre, una concentrazione molto interessante di eventi culturali, culinari (vegane) e di aggregazione delle più importanti realtà dell’animalismo locale, ma non solo. Infatti ospiteremo alcuni esponenti di Igualdad Animal movimento antispecista spagnolo che non ha bisogno di presentazioni. Più che di altre manifestazioni, vorrei segnalare la rivista di critica antispecista «Liberazioni» (www.liberazioni.org), su cui spesso e volentieri scrivo ma, cosa più importante, su cui scrivono le più autorevoli firme della filosofia antispecista italiana. Se vi è piaciuto il mio libro, su Liberazioni non potrete di certo annoiarvi!

Curiosando sul tuo sito (http://caffoleonardo.wordpress.com/) ho scoperto che sei giovanissimo ma che hai già pubblicato un saggio l’anno scorso (Il mistero della nascita del linguaggio. Il caso Pidgin & Creolo), che sei attualmente impegnato nella stesura di un romanzo e che parallelamente stai anche redigendo un capitolo per un’antologia sull’etica dell’ambiente. Leggo inoltre che dirigi, insieme ad Ettore Brocca, la Rivista Italiana di Filosofia Analitica Junior (http://www.rifanalitica.it). E non è tutto: sei autore di una miriade di altri testi, articoli e racconti apparsi su L’Ateo, Agora Vox, Liberazione, La Sicilia, Caosmo, ecc… Leonardo, ma qual è il tuo segreto? Come riesci ad essere così prolifico?

Mah… mi imbarazza un po’ rispondere a questa domanda, questa storia del curriculum è un’arma a doppio taglio – e ti frega sempre. Mi impegno molto e cerco di concretizzare questo impegno attraverso alcuni dei lavori che hai citato. La  «Rivista Italiana di Filosofia Analitica Junior» è stata una delle esperienze editoriali più complete che abbia mai avuto, avendola anche diretta e fondata, e mi ha fatto crescere molto. Adesso ho lasciato la direzione perché quando credo di aver completato un progetto lascio sempre spazio a qualcuno che ha voglia di impegnarsi in tal senso, e così è stato. Ho in ballo un po’ di cose, ed ogni volta che lavoro a qualche progetto mi concentro subito sul traguardo successivo ed è così, infatti, che sto lavorando ad un romanzo (uno è concluso ed è in valutazione), ad un saggio e ad alcuni articoli. Il tutto dovrebbe cominciare ad apparire da settembre in poi, frattanto come hai detto bene, mi occupo di pubblicare qualche articolo sul mio sito, e sui giornali con cui collaboro stabilmente. Ogni tanto, in questo marasma, si riesce pure a tirare su qualcosa.

C’è qualcos’altro di cui vorresti parlarci e che non ti ho chiesto?

Direi che ho rubato già abbastanza tempo ai lettori di Temperamente, spero che possano leggere il libro ed apprezzarlo come è capitato a te. La mia speranza è che da questa lettura nasca un sentimento sincero di riflessione e cambiamento ma, soprattutto, una nuova stagione di convivenza tra diversi, in cui gli animali umani e non umani possano vivere pacificamente tra loro. Senza guerre, senza macelli… senza colpe.

Bene, non mi resta che ringraziare e salutare Leonardo Caffo, con la speranza di ‘temperare’ in futuro qualche altro suo saggio.

Quanto a voi, cari amici dei libri, se condividete la proposta di Leonardo di «una riflessione sugli animali che provi a mettersi nei loro panni», sarete certamente d’accordo nel considerare l’aragosta («Si prenda l’aragosta: gli organizzatori del festival in cui milioni di crostacei vengono consumati dai turisti del Maine hanno interesse a minimizzare la crudeltà del bollire un animale ancora vivo, ma le migliori argomentazioni fisiologiche non possono negare che l’aragosta preferirebbe non essere gettata nell’acqua bollente»). David Foster Wallace, ancora una volta, insegna.


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