Leonardo Pasquali presta voce e chitarra agli Ordinary People, band di Torino esplosa l’anno scorso: primi al festival nazionale di Emergenza, terzi in assoluto tra oltre 17mila band nella finale mondiale del Taubertal Festival in Germania, vincitori di Torino Sotterranea. Non male per il primo anno di attività. Loro si definiscono adoratori di tutta la Black Music, in particolare del funk, del soul e dello smooth-jazz, ma arricchiscono la loro visione musicale con commistioni di diversa estrazione, come la musica elettronica, il g-funk, il pop e reminiscenze stride-piano. Davanti a un caffè fumante, Leo mi racconta gli Ordinary People a 360°.
Leonardo Pasquali, cantante degli Ordinary People. (ordinarypeopleofficial.com)
Partiamo dall’inizio. Come è nata la band?
Tutto comincia nei primi mesi del 2011. Stavo lavorando su un progetto tutto mio con un altro gruppo, che però poi si è sfaldato. Subito dopo incontro Paolo Celoria, il sassofonista e Davide Bissacco, il batterista: si crea un’insolita collaborazione, ma anche una forte amicizia. Grazie all’entusiasmo di un progetto condiviso il nostro rapporto cresce, come la nostra musica. Così ci mettiamo alla ricerca di altri componenti: ci serve gente che ci sappia fare con il basso e con la tastiera. Dopo un paio di audizioni, rimaniamo folgorati da Enrico Basso, il nostro attuale tastierista: è il collante perfetto a livello di armonia e arrangiamenti, proprio quello che ci mancava. Verso la fine del 2011 si unisce alla band anche Michael “Mike” Pusceddu, che nasce e cresce come bassista blues, ma poi si avvicina al genere della Black Music. La formazione è al completo, finalmente si può iniziare a comporre e a provare nel garage di Davide, adattato a studio. Nascono i primi 5 pezzi, a luglio del 2012 esce il primo EP.
Come nasce una vostra canzone? A cosa vi ispirate per musica e testi?
Guarda, tutto nasce da una scintilla d’ispirazione in sala prove. Poi si improvvisa. Si parte da un tema di sax, da un giro di tastiera o da una semplice melodia in acustico, a volte anche dall’obiettivo di comporre un brano con un determinato impatto. È come il lavoro di uno scultore: inizi dal blocco e pian piano modelli, tutti insieme. Il 90% del nostro lavoro è nato così, improvvisando. Dopo però applichi metodo e struttura (intro, ritornello..), questo è ovvio. Adesso cerchiamo anche di partire dalla mia voce, sto studiando canto jazz e chitarra: è fondamentale migliorarsi sempre.
C’è una canzone a cui sei particolarmente legato?
Io personalmente sono affezionato “Body Lines” perché è la prima che abbiamo composto ed è quella che è cambiata di meno nel corso del tempo, è la nostra pietra miliare da cui è partito tutto. Tutta la band invece è molto legata a “Groovin’ Cookies” per la presa che ha sul pubblico, è il nostro pezzo più coinvolgente.
Come definiresti la musica che suonate? A quale genere sentite di appartenere?
Ci piace inserirci nel filone della Black Music, uno dei più floridi all’interno della musica internazionale. La musica degli Ordinary People è funk, soul, smooth jazz ed è ricca di groove. Vogliamo che i nostri pezzi siano ritmati e spronino a ballare. Il soul lentamente sta venendo fuori, lo stiamo coltivando. E poi, l’esigenza di raggiungere l’ascoltatore moderno ci sprona ad arricchire il tutto con influenze dance-pop. Un musicista, in quanto creatore di musica, non dovrebbe porsi limiti imposti dalla definizione dei generi. La musica è una in senso assoluto.
Avete vinto molto premi importanti nell’ultimo anno. Ve lo aspettavate?
È stato un anno surreale, non ce lo aspettavamo ma lo sognavamo. È stato decisamente un anno all’insegna dell’impegno e dei sacrifici ma ne è valsa la pena. Ogni vittoria è stata un’emozione, un colpo dritto al cuore. Il riscontro favorevole del pubblico ha aumentato la sintonia fra di noi, abbiamo cominciato a sognare. Ci tengo a sottolineare il sostegno degli amici: è stato fondamentale. I nostri amici sono venuti a tutti i concerti pagando i biglietti. Sono sempre bollenti sotto il palco, ci nutriamo del loro calore.
All’Hiroshima, alla finale regionale di Emergenza, erano in 300, un numero pazzesco. Ci regalano sempre una carica straordinaria, hanno reso il nostro sogno raggiungibile.
E poi è arrivata anche la finale nazionale di Emergenza all’Alcatraz di Milano. Non chiedevamo di più. Bellissima serata, grandissimi musicisti. Al momento della proclamazione del vincitore eravamo tesissimi: fieri di dove eravamo arrivati, ma non volevamo fermarci. Quando hanno detto che in Germania, alla finale mondiale, andavano gli Ordinary People… ho avuto un infarto. Ho sentito Paolo urlare a squarciagola, e ci siamo guardati increduli: non può aver pronunciato il nostro nome! Non ci sono parole per descrivere cosa ho provato: adrenalina pura, felicità assoluta.
Germania, Taubertal Open Air Festival. Gli Ordinary People arrivano terzi in assoluto. Come è stato cantare per un pubblico internazionale?
Emozionante. Sul palco eravamo un po’ tesi, ma la tensione non fa altro che caricarci. È stata un’esperienza formativa, abbiamo imparato molto. E poi siamo arrivati terzi, siamo felicissimi. Le 19 band in gara hanno suonato davvero molto bene, la concorrenza era agguerrita. La soddisfazione di gruppo più grande è stato il premio a Mike come miglior bassista: se vuoi sfondare nel mondo della musica, devi avere una conoscenza pazzesca dello strumento che suoni. Bisogna essere dei professionisti, stiamo tutti studiando per migliorare ancora, non si smette mai di imparare.
Quali sono i vostri prossimi impegni?
Sabato 28 settembre suoneremo per un’ora e mezza al Jazz Club di Torino, per noi è un onore. Il 2 novembre, invece, siamo stati invitati al Moncalieri Jazz Festival, un evento molto importante.
E i vostri progetti futuri, invece?
Stiamo ampliando il nostro repertorio con delle cover di Bruno Mars, Alicia Keys, Steve Wonder e Michael Jackson. Ma stiamo anche lavorando su alcuni pezzi nuovi: abbiamo tutta l’intenzione di lanciarci in nuove sperimentazioni, non vogliamo fossilizzarci. Presto registreremo il videoclip di Groovin’ Cookies. Sarà un anno importantissimo, tutto è possibile: siamo carichi e abbiamo tanta voglia di crescere ancora.
Ultima domanda: come descriveresti in poche parole gli altri membri della band?
Mike lo definirei “soldatino”, lo chiamiamo così: è molto preciso, si impegna parecchio. Ha avuto una crescita pazzesca in quest’ultimo anno. Enrico è eclettico, è una persona geniale e sensibile. Davide è “la mamma”: è quello più apprensivo, si occupa dell’organizzazione e della gestione di tutto. Paolo, con il suo sax, è bohémiene, un artista un po’ maledetto, in senso buono ovviamente. Io invece non saprei come definirmi: provo a raccontare con la mia voce la nostra idea di musica. Sì, questo sono io.