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Intervista a Luca Bianchini su “Io che amo solo te”

Creato il 09 agosto 2013 da Sulromanzo
Autore: Stefano VerziaggiVen, 09/08/2013 - 11:30

Luca Bianchini, Io che amo solo teL’occasione è un matrimonio in uno dei luoghi più incantevoli della Puglia, Polignano a mare (sede, tra l’altro, del festival Il libro possibile); e come sempre accade, gli sposi portano con sé, nella costruzione del nuovo futuro nucleo famigliare, genitori, parenti, amici con i lori mondi interiori e le loro storie. Su questa base prende forza e caratteristica peculiare la narrazione di Luca Bianchini, nell’ultimo romanzo Io che amo solo te (Mondadori, 2013): il narratore esplora quei mondi, a volte dominati da logiche semplici e persino primordiali, altre discrepanti nel difficile rapporto tra realtà e apparenza, tra ciò che sta bene dire e ciò che, invece, è meglio tenere nascosto.

Chi conosce l’autore, ritroverà il tono leggero e spensierato dell’esordio con Istant Love (2003), ma al contempo la volontà di indagare i propri personaggi sulla base delle loro azioni e dei loro vissuti, che tornano, nei tre giorni della vicenda, a riaffacciarsi, a intrecciarsi, a chiedere di essere ascoltati da qualcuno, talvolta anche da chi ha provato a dimenticarli. Emerge un mosaico composito, in cui il bene non è sempre solo bene, come pure il male non è radicato in un’unica persona; sembra quasi che nessuno sia immune alla bassezza, e si tratta, in fondo, di un messaggio abbastanza chiaro per tutti noi: il giudizio, a Polignano, si intreccia al pregiudizio, ma anche alla speranza di non essere scoperti. Ne consegue che nessuno, a rigore, è autorizzato davvero a giudicare gli altri, come pure il narratore non dà giudizi su quanto racconta, ma si occupa solo di far emergere gli scarti tra azioni e parole, o meglio tra parole e azioni. Tutti hanno dei segreti e, a volte, sono disposti a condividerli con le persone care, altre volte, però, costruiscono un velo di protezione, talvolta una corazza, per non esserli scoperti; il narratore, che passa con disinvoltura da un punto di vista a un altro, mette in luce la falsità della comunicazione di chi non ha saputo o non ha voluto essere sincero. Sarà vero, come ci ricordava Sergio Endrigo, che «io amo solo te»?
La forza del libro sta nel linguaggio, attento agli ultimi esiti della varianza contemporanea ma intriso delle movenze e del respiro del dialetto barese, che modella la lingua a ogni livello, dagli intercalari dialettali alla costruzione sintattica del periodo.

Alcune domande all’autore.

Perchè Polignano?
Perché mi sono trovato lì la sera in cui ho trovato quella storia. C'era il mare, c'erano gli scogli a strapiombo e un'aria leggera. Lì mi sono innamorato di quel posto incantevole che mi ha aperto le braccia e mi ha accolto come un amico di vecchia data.

Qual è il tuo personaggio preferito, e perché?
Mi piacciono molto Nancy, la 17enne che deve perdere mezzo chilo e la verginità, e Orlando, che pensa solo al grande e proibito amore. Sono i miei preferiti perché hanno lo slancio dell'incoscienza e si buttano nella vita senza paracadute. Vorrei essere come loro!

Se ti fosse chiesto di realizzare uno spin-off del libro, quale personaggio o coppia o situazione decideresti di ampliare?
Beh, sicuramente Ninella e Don Mimì. Il loro è un amore proibito e passato, che probabilmente non finirà mai...

Con questo libro quali aspetti della società ti interessava mettere in luce?
Non mi pongo mai questo tipo di domande. Io inseguo le storie e racconto cosa mi piace. Non do lezioni né ne voglio quando leggo. Se però c'è un messaggio inconscio in questa storia, è che avevo desiderio di andare a una festa. E ho scelto una festa del Sud perché al Sud c'è ancora gusto nel divertirsi, nello stare insieme, nel prendere la vita con leggerezza.

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