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Intervista a Luca Trevisan, ricercatore e docente dell'Università Ca’ Foscari di Venezia

Creato il 23 settembre 2013 da Sulromanzo
Autore: Lavinia PalmasLun, 23/09/2013 - 09:30

Luca TrevisanI suoi studi dimostrano un interesse costante sia all’arte sia alla letteratura, fino a concretizzarsi nella partecipazione a un progetto di ricerca dedicato alla Storia del libro. Ci può spiegare in quale misura la produzione dell’oggetto libro era considerata una forma d’arte? E può essere considerata tale ancora oggi?
Ho avuto la fortuna di essere coinvolto in un ambizioso progetto di ricerca relativo alla produzione del libro sotto diversi punti di vista, anche se, nel caso specifico, mi sono occupato della decorazione dei libri attraverso il corredo iconografico di tavole incise: antiporte, frontespizi calcografici, ritratti ecc. Lavoro che si è concretizzato nella pubblicazione di un dizionario bio-bibliografico di incisori itineranti in area veneta nel Seicento, scritto in collaborazione col dott. Giulio Zavatta dell’Università di Verona, in corso di stampa proprio in questi giorni.
Un libro nasconde molteplici artefici, molteplici artigiani: dal più ovvio e più scontato – l’autore del testo (letterario, scientifico, politico ecc.) – all’editore, il tipografo, l’incisore ecc. Tutto questo è stato indagato da un’équipe di ricerca delle Università di Verona e di Roma La Sapienza alla quale si è collegata la nostra indagine specifica.
Dunque il libro, per tutti questi aspetti e per tutte le ragioni che si son dette, può indubbiamente costituire una forma d’arte. Può essere così ancor oggi? I processi di produzione del libro sono senza dubbio notevolmente cambiati con il progresso tecnologico di lavorazione e produzione editoriale, che si è fatta – dal punto di vista del prodotto-libro – più seriale e qualitativamente meno raffinata. Se il giudizio va centrato sugli aspetti letterari allora indubbiamente esistono ancora i grandi capolavori, così come esistono ancora meravigliosi testi illustrati. Si tratta chiaramente di un panorama completamente mutato e non così facilmente rapportabile e paragonabile alle situazioni del passato.

Come curatore di mostre, si è occupato sia di Tiziano che di Palladio. Esistono dei punti di contatto tra queste personalità così diverse?
Boschini, nei suoi Gioielli pittoreschi, volumetto nel quale l’autore descrive i dipinti che decoravano a quella data le chiese e i palazzi della città, composto sulla scia del successo delle Minere della pittura (1664) e delle Ricche minere della pittura veneziana (1674) e pubblicato nel 1676, diceva che «sì come è Tiziano il plenipotenziario della Pittura, così Andrea Palladio è il Tiziano dell’Architettura». Si tratta di personalità artistiche ben diverse, lo ha constatato lei, per giunta l’uno attivo in pittura l’altro in architettura. Ebbero la ventura entrambi di attraversare quasi interamente il XVI secolo che fu un secolo d’oro per le arti in Italia: Tiziano nascendo allo scadere del Quattrocento e morendo nel 1576, Palladio venendo al mondo nel 1508 e passando a miglior vita nel 1580. Nonostante le differenze imprescindibili e i punti di contatto dovuti alla condivisione di un medesimo periodo cronologico e di una cultura territoriale legata alle esperienze maturate in seno alla Repubblica Veneta, resta un significativo elemento che accomuna i due maestri. Sia il primo che il secondo rappresentarono due tra i migliori protagonisti della scena artistica (l’uno pittore, l’altro architetto) di quel periodo e dunque due imprescindibili punti di riferimento, in grado di chiamare attorno a sé allievi o artisti e di proiettare la propria lezione su vastissima scala. Le influenze internazionali esercitate da Tiziano non sono seconde alle ben note esperienze del palladianesimo sparse per il mondo e di lunga durata.

Proprio grazie alla riapertura della Basilica Palladiana, Vicenza sta vivendo un periodo di forte crescita dal punto di vista turistico. Qual è il futuro della struttura, secondo lei?
Il recupero della Basilica Palladiana è stato un evento di grande rilevanza e di cui Vicenza, grazie al munifico aiuto di sponsor importantissimi, deve andar fiera. Credo che il miglior utilizzo che si possa fare della Basilica nel futuro sia legato al mondo della cultura e dell’arte, posto che si tratta di un gioiello architettonico del più famoso architetto al mondo. In particolare trovo che la Basilica, grazie alla duttilità del grande salone che fu del Consiglio cittadino, si presti ad accogliere eventi espositivi di grande richiamo. Lo abbiamo visto di recente con la mostra di Goldin e a breve sperimenteremo nuovamente l’efficacia di questo edificio come spazio destinato ad accogliere mostre. Resta il fatto che Vicenza si merita non solo discutibili e dispendiosissimi eventi mediatici, non solo avvenimenti eclatanti con pochi spunti didattici e nessuna ricaduta scientifica, ma anche e soprattutto iniziative che siano in grado di coniugare aspetti sensazionali e divulgativi alle finalità di trasmissione del sapere. Questione che par d’obbligo nel momento in cui, promuovendo simili eventi, si fa uso di denaro pubblico. Un mio desiderio? Veder non solo mostre di questo tenore in Basilica Palladiana, ma veder altresì valorizzata, indagata e raccontata la città stessa di Vicenza.

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Basilica Palladiana
Si parla molto in questi ultimi mesi di crisi della cultura. Come giudica la situazione dei beni culturali in Italia?
La risposta rischierebbe di diventare o un lungo saggio o un inevitabile sfogo. Mi attesto sulla terza via di una risposta tanto breve quanto sconsolata. La situazione dei Beni Culturali in Italia (così come, più in generale, del Bene Pubblico, dalla sanità, all’istruzione ecc.) versa in condizioni seriamente preoccupanti. Non è la sede per proporne qui un’analisi dettagliata, ma credo siano sotto agli occhi di tutti le difficoltà incontrate dalle Soprintendenze al mantenimento dei monumenti che si deteriorano, non possono essere restaurati e cadono in pezzi, impoverendo giorno dopo giorno lo stato del patrimonio storico-artistico italiano; dalle Università che non riescono più a finanziare la ricerca; dalle istituzioni museali che sono in crisi e vivono grazie a sovvenzioni private; e così via. Tutto si riflette nell’incapacità generale di avere una visione programmatica: non solo si vive alla giornata e si naviga a vista, ma tutto è condotto in emergenza. Tutto il mondo della Cultura è assediato da questo male e fintantoché non si riuscirà ad uscire dalle secche nelle quali l’Italia si è cacciata, il futuro non potrà apparire foriero di buone notizie.

È recente la decisione del Governo di affittare le opere d'arte italiane non esposte al pubblico. Crede che il provvedimento possa essere vantaggioso per i beni artistici?
Credo sia un terreno di prova che offre apprezzabili possibilità di aiuto economico così come aspetti delicati che appaiono meritevoli di più attente considerazioni. Credo che se il provvedimento può indubbiamente recare un certo vantaggio alle casse dello Stato, non necessariamente e non direttamente, quantomeno, esso possa essere anche vantaggioso per i beni artistici in genere. Non resta che affidarci alle valutazioni degli esperti.

In Italia, sono molti i giovani laureati in Storia dell'arte in attesa di un lavoro attinente al percorso formativo seguito. Quali consigli potrebbe offrire a quanti vorrebbero intraprendere la carriera accademica?
Qui non posso che ricollegarmi a quanto detto poco fa sulla crisi dei Beni Culturali in risposta a una delle precedenti domande. La crisi della scuola e dell’Università italiana, segnatamente in un settore come quello degli studi umanistici, non riesce certo ad agevolare quei giovani laureati in Storia dell’arte che vogliano intraprendere una carriera che sia attinente con il percorso formativo seguito. Per chi si laurea in discipline storico-artistiche e volesse approfondire la propria formazione in questo settore imparando a fare ricerca esistono anzitutto degli ottimi master che danno competenze specifiche sempre più approfondite; vi è la possibilità di iscriversi alla Scuola di specializzazione in storia dell’arte, che fornisce un’ottima preparazione sia teorica che pratica; vi è infine la possibilità di iscriversi al concorso per accedere al dottorato di ricerca, che prevede tuttavia l’esistenza di una certa esperienza nel settore comprovata da pubblicazioni scientifiche, collaborazioni accademiche, eventuale competenza didattica ecc. Si tratta di un percorso più impegnativo e al quale è più difficile accedere per la sempre maggiore concorrenza, ma che, ad oggi, risulta una sorta di condicio sine qua non per quanti auspichino di proseguire la propria attività professionale di studio e di ricerca in ambito universitario, nelle Soprintendenze o nei musei.

Ci può raccontare qualche progetto a cui sta lavorando in questo periodo?
Come sempre i progetti non mancano, gli impegni si accavallano e non ci si annoia. Da poco ho vinto un concorso all’Università Ca’ Foscari di Venezia dove sono professore a contratto di Storia dell’architettura contemporanea. Lezioni, conferenze a parte, per quanto riguarda le pubblicazioni sta ora uscendo quel dizionario di incisori itineranti del Seicento veneto di cui parlavo prima, al quale si affiancano: un paio di saggi su episodi di scultura vicentina di fine Ottocento; alcune schede di catalogo per mostre e cataloghi veronesi; una collaborazione con la Soprintendenza per lo studio e la realizzazione di testi per il nuovo percorso didattico di palazzo Leoni Montanari a Vicenza. Inoltre stiamo allestendo in questi giorni una mostra (14 settembre - 13 ottobre 2013) a Montecchio Maggiore su Angelo Zanovello, che fu un cartografo, agrimensore, perito, notaio, trattatista montecchiano del XVII secolo: mostra che mi vede curatore e per la quale abbiamo lavorato affannosamente alla redazione di un volume che illustri le vicende biografiche e professionali del protagonista dell’esposizione. Infine sto studiando il carteggio e un inedito taccuino di disegni di un sinora trascurato architetto pugliese che ho scoperto nel corso di recenti ricerche archivistiche: scoperte che esporrò a fine ottobre a Bitondo (Bari) in occasione di un convegno che analizza i rapporti nei secoli tra la Repubblica di Venezia e la Puglia.

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