Che cosa rappresenta per lei essere direttore artistico del festival letterario “Libriamo” in termini di creatività?
Non rappresenta niente di particolare, a meno di non intendere per “creatività” la capacità di sopportare il mal di fegato causato dai mille e uno bastoni che finiscono tra le ruote della macchina organizzativa di un festival. Da un po’ di tempo a questa parte si fa un gran parlare di “creatività” a livello imprenditorial-patafisico, cioè di religione della cosiddetta “iniziativa privata” anche forsennata. Purché l’iniziativa (un attivismo inconcludente e rassegnato al peggio) non venga mai meno, le si rilasciano credenziali di cultura, la si asperge a priori di incenso - ma sempre di fumo negli occhi si tratta. L’unica “creatività” di cui ho esperienza io consiste nel mettere una pezza dove un attimo prima si è aperto un buco. E i buchi – parliamo di una manifestazione che dura quattro giorni - sono tanto numerosi quanto diversificati: c’è l’autore che acconsente a presenziare solo se ti vendi l’auto per pagarlo, l’autore che prima dà la sua adesione e poi tira il pacco, quello che è disponibile solo nei giorni sbagliati, quell’altro che pone condizioni da primadonna. Ci sono gli uffici stampa delle case editrici che non fanno il loro mestiere, i librai che si lagnano. Per tacere dei conti economici, che devono tornare, ci mancherebbe altro. E noi di “Libriamo”, che non disponiamo certo del budget faraonico di un Festival Biblico (giusto per rimanere nel vicentino, e detto senza alcuna animosità), siamo in questo senso una squadra tra le più “creative” perché da sei anni, con pochi soldi, facciamo miracoli che definire biblici è un eufemismo. Ricordo che tutti gli appuntamenti di “Libriamo”, tranne i workshop, sono a ingresso gratuito. Questo lo si deve all’olio di gomito di un gruppo di persone che lavorano non dico gratis ma poco ci manca. Vorrei nominare qui almeno Alessandro Zaltron, Giulia Basso, Roberta Lunardon, Chiara Dal Lago, Stefania Carlesso. Oltre, ovviamente, all’ideatore e responsabile generale Paolo Vangelista.
Come ritiene che un evento letterario possa sfidare la sdraio e il relax estivo dei vicentini, in altre parole, pensa che la letteratura sia un mezzo per schiodare il torpore agostano dei più?
Vogliamo uscire da sotto l’ombrellone della demagogia a rischio di scottarci? E allora diciamo una buona volta che manifestazioni come “Libriamo” non si dovrebbero associare alla letteratura. A rigor di logica, non sarebbero associabili nemmeno alla lettura. Un festival letterario ha a che vedere con l’editoria, con la promozione e lo smercio del libro. Naturalmente chi lo organizza si augura che l’acquisto di libri preluda alla lettura; ma di qui a fare di ogni acquirente un lettore, ce ne vuole. Meglio non sputare troppo in alto. Prendiamo i festival letterari per quello che sono, una via di mezzo tra l’intrattenimento e il business. È una definizione tutt’altro che disonorevole. Si può fare dell’intrattenimento di qualità anche con i libri. Quando faccio pubblicità a “Libriamo” dico sempre: ‘venite, vi divertirete’. E scusate se è poco. Leggere è tutta un’altra faccenda. Il fatto che la letteratura si identifichi con il libro non comporta che ogni libro sia letteratura. Giornalisti, uomini politici, personaggi del mondo dello spettacolo pubblicano a tutto spiano, ma questo non significa che abbiano scritto dei libri, ammesso e non concesso che ne siano gli autori. È ora di smetterla di chiamare “libro” qualunque oggetto tipografico a forma di volume. Di questo passo anche l’orario ferroviario sarà considerato un bestseller dal momento che vende milioni di copie… La maggior parte dei libri che si pubblicano oggi in Italia sono prodotti che non si distinguono in niente da un format televisivo o da un’offerta speciale di quelle alimentari. È merce che si vende e fa audience come qualunque altra e alla quale in fin dei conti bisogna essere grati, perché l’esistenza di un mercato del libro, per quanto caotico e affollato come quello italiano, garantisce una circolazione anche alle opere di letteratura, passate e presenti.
Vicenza non brilla nelle statistiche italiane in quanto a fruizione culturale da parte dei cittadini, forse una mentalità legata alla piccola e media impresa ha condizionato il tessuto sociale sfavorendo la cultura umanistica?
La cultura umanistica è in dismissione dappertutto, non ne farei un caso vicentino. Vicenza è come tutte le altre città d’Italia, schiava di una concezione assistenzialistica della cultura, una concezione da welfare straccione. Il caso dell’occupazione del teatro Valle è desolante da quanto è emblematico. Tutti questi attori e registi e lavoratori dello spettacolo che chiedono allo Stato di fare la respirazione artificiale a uno dei teatri più importanti d’Italia, sanno o no che a decretarne la fine è il pubblico, quel pubblico che dell’importanza storica del Valle se ne frega altamente? Chissà quanti di questi lavoratori sono al Valle per difendere il teatro e quanti per difendere il loro posto di lavoro. Io spero che dall’occupazione non cerchino di trarre alcun guadagno; che abbiano occupato il teatro proprio perché investirci sopra è ormai impossibile, perché è una causa persa. Altrimenti, se per salvarlo bisogna prima inventargli un utile, come con le mostre d’arte, tanto vale che ne facciano subito un drugstore. Se domani a Vicenza inaugurassero una sala Bingo dentro il teatro Olimpico, credi tu che i cittadini la diserterebbero per protesta? Che saprebbero mandarla in rovina astenendosi dal mettervi piede? Macché, farebbe il pienone ogni sera. Sarebbe un successo. Anche di contestazioni, beninteso. L’uno è ormai conseguenza delle altre. In Francia per una cosa così scoppierebbe un’altra rivoluzione con tanto di teste che cadono. Da noi scoppia la solita bufera nel bicchierino mediatico e morta lì. È lo stesso meccanismo che spiega la longevità di manifestazioni dozzinali come Sanremo e di istituzioni marcescenti come il campionato di calcio. Quanto più sono brutte e inqualificabili, tanto più riscuotono suffragi. È proprio vero che gli unici a essere volgari, in una puntata de La pupa e il secchione, sono le persone che a migliaia la guardano, non quelle poche che la realizzano.
Rispetto all’edizione del 2010, un aspetto che vorrebbe riproporre nel medesimo modo e un altro che vorrebbe invece migliorare?
Da un paio di edizioni “Libriamo” ha trovato un bilanciamento tra le sue due sezioni, quella generalista e quella monografica. La sezione “generalista” include gli incontri con gli autori, che non sono tenuti insieme da alcun filo conduttore. L’altra sezione consiste in una serie di eventi solo apparentemente laterali il cui fine è richiamare l’attenzione sull’opera di uno scrittore veneto (dopo le edizioni monografiche intitolate a Parise e a Comisso, quest’anno tocca ad Antonio Fogazzaro). Direi che da confermare sono le “passeggiate letterarie”, escursioni guidate nei luoghi della vita e dell’opera degli scrittori veneti. Tutto il resto si può migliorare a prescindere dai consensi fin qui ricevuti.
Chi in questa edizione di Libriamo la stupirà fra gli ospiti, può farci un nome e per quale ragione?
Io punterei i miei gettoni su Alessandro Mari. Mari è autore di un’alluvionale epopea eroicomica del Risorgimento italiano intitolataTroppo umana speranza. Trovo strabiliante che nel 2011 un trentenne di Busto Arsizio abbia scritto un romanzo storico di settecento pagine che ha il ritmo di un Dumas e una precisione evocativa di luoghi, cibi, costumi, fraseologie, degna di un naturalista. Mi sembra una di quelle imprese tra il cavalleresco e il pazzesco di cui è ricca la storia del nostro Risorgimento. Capisco d’istinto che la cosa deve essere seria proprio perché nel libro tutto – dalla tematica alla mole, allo studio che c’è sotto – appare spropositato, fuori da ogni calcolo di opportunità. Mari che presenta in pubblico il suo romanzo, poi, è uno spettacolo da non perdere. A vederlo lo diresti un ragazzone schivo e sulle sue; ma come gli dai la stura e lo lasci libero di effondersi sull’argomento che gli sta a cuore, si trasfigura, diventa un raccontatore rapinoso e irrefrenabile. Invito tutti a conoscerlo sabato 27 agosto ai chiostri della chiesa di Santa Corona.
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