Amore da vicino: solo un cortile a separarli.
Amore da lontano: non una parola è corsa tra di loro.
Ci sono incontri che ti segnano. Incontrare Margherita Oggero per me è stata una tappa. Signora in tutta i sensi, molto gentile, profonda cultrice della parola – sia scritta che parlata. Per una volta imposto la mia intervista partendo dalla fine, condividendo quello che la Oggero mi ha scritto sul suo nuovo romanzo come dedica “A Federica, con un grazie e la simpatia caratteristica di chi ama i libri”. E quando l’ho letto ho pensato: “Ho incontrato una persona speciale”.
Margherita Oggero è di Torino, e ama la sua città. E’ stata insegnante, oltre che scrittrice. Ama scrivere nel pomeriggio, in tranquillità a casa sua. Il suo primo romanzo è uscito nel 2002 “La collega tatuata”, affermandosi come bravissima scrittrice di gialli. Da qualche anno la Oggero ha lasciato il genere poliziesco per passare invece alla narrativa. E noi abbiamo avuto la fortuna di incontrarla e farci raccontare quanto più possibile della sua vita, carriera e del suo nuovo romanzo pubblicato da Mondadori “La ragazza di fronte”.
Abbiamo la fortuna di incontrarla qui, a Torino. Quanto sente “sua” questa città?
Sono nata a Torino, sono sempre vissuta qua. L’ho lasciata solo per qualche viaggio, ma poi sono sempre tornata. E’ un legame forte. Poi, invecchiando si sentono molto di più le radici di appartenenza e insorgono i timori per i cambiamenti radicali. E’ una città oggettivamente molto bella, e mi è sempre piaciuta perché non è una città turistica – e so di star affermando un’eresia (ride, ndr) – ed è sempre viva. Torino, poi, ha da offrire molto culturalmente. Tutti ci possono trovare qualcosa di proprio interesse.
La scrittura è entrata nella sua tardivamente. Quanto le ha dato?
Già, la scrittura continuativa è entrata tardi nella mia vita. Ha dato una piccola svolta: dico piccola, perché finché pubblichi da giovane può darti una svolta significativa nella vita, quando pubblichi più in là si affianca a scelte che una persona ha già fatto con consapevolezza. Nel mio caso non ha rivoluzionato mente, modo di pensare, persone che conosci. Un passaggio graduale, un entrata in punta di piedi.
Lei ha spaziato con i suoi romanzi fra i generi di narrativa. C’è qualche ambito che le interessa maggiormente?
Non so bene, so di per certo che non mi piace fossilizzarmi nella scrittura ma mi piace cambiare genere anche perché con il tempo tendi a diventare ripetitivo. Una delle caratteristiche dei Piemontesi è di essere dei “bastian contrari“, cioè contraddittori rispetto al presente. Ora vanno i gialli e io non scrivo di gialli (ride di nuovo, ndr).
In ambito, i gialli, dove gli scrittori tendono a creare serie molto lunghe, lei è stata innovativa facendo esaurire le storie in un tempo limitato.
Esattamente. Credo che i personaggi e le storie, per quanto possano essere riviste e rivitalizzati, abbiamo una esistenza e un interesse che si esaurisce. Andare oltre può essere molto rischioso per l’esisto stesso della vicenda e del personaggio. Al momento non sento esigenza di scrivere gialli.
Affrontiamo il presente e il suo nuovo romanzo, una storia d’amore. Come la presenta?
E’ una storia d’amore che diventa tale solo nell’epilogo. Marta e Michele si conoscono da bambini ma non si sono mai parlati. Si sono sempre e solo visti dai rispettivi balconi. La vita riserva destini lontani ma ad un certo punto le esistenze si incrociano nuovamente, in altre case, che però hanno affacci ancora frontali, come i vecchi balconi dell’infanzia. Non si riconoscono all’inizio, però il caso li rimette in contatto. Nasce una rivalità iniziale dettata dai confini sociali, superati solo alla fine.
Con Margherita Oggero a Torino (Foto di Claudia Cremona)
Come le nasce l’ispirazione per un nuovo romanzo?
Non sempre nasce nello stesso modo. A volte tutto parte da un’immagine, altre da un momento, altre da un accadimento che chiede di essere raccontato. Ad esempio come è successo per “Perduti fra le pagine” dove l’input è nato dalla vicenda di quei bambini perduti al Salone del libro di Torino. Altre volte la nascita è più sotterranea: come nel nuovo romanzo, sono partita da un intimo, un vissuto, interessi comuni.
“La ragazza di fronte” ha anche la dimensione ambientale importante: questi balconi, queste case che si affacciano, giusto?
Sono sempre stata affascinata dalle case che hanno affacci sui cortili. Senza trascendere nello “spiare” che lo trovo fuori luogo ma mi piace immaginare cosa può essere di fronte, dietro quel balcone, quale vissuto.
I rapporti umani sono sempre al centro dei suoi romanzi, indipendentemente dal genere. Cosa le interessa maggiormente?
Forse il coraggio di non demoralizzarsi alle prime incomprensioni, in tutti i rapporti di amicizia, amorosi, famigliari. Se un rapporto è valido non bisogna sempre “buttare via tutto”. Bisogna avere il coraggio di superare i momenti di antipatia e disagio. Sempre che ci sia qualcosa da salvare, ben inteso.
Lei come insegnante in passato è stata vicino ai giovani. C’è un messaggio che ora trasmetterebbe loro da scrittrice?
Ecco, proprio questo. Non lasciarsi scoraggiare: dalla bocciatura, dal rapporto amoroso che finisce, dalle difficoltà, dall’amico che sparla di te, dal gruppo che non ti accetta. Dopo tutto poi si cresce e ci si fortifica. L’aspetto forse che mi impressiona più dei giovani è proprio questa fragilità. in giovinezza ed adolescenza siamo stati – chi più chi meno – fragili. Ma dalle batoste siamo riemersi tutti.
E ai giovani che vorrebbero scrivere o aspirare a fare questo mestiere, cosa consiglia?
Leggete. Leggete tanto, tantissimo. Perché per scrivere bisogna aver letto moltissimo, perché bisogna avere un bagaglio e una certa famigliarità con la parola scritta. “Conoscere” prima di pretendere di “fare”. E leggere cercando di individuare i meccanismi e regole interne, se scritto bene.