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Intervista a Mario Desiati

Creato il 05 settembre 2011 da Temperamente

Intervista a Mario DesiatiNell’ambito del Festival letterario ‘A testa in Sud’, Temperamente intervista Mario Desiati, finalista al Premio Strega con Ternitti.

Iniziamo con il tuo ultimo libro, Ternitti, finalista al Premio Strega. Cosa puoi dirci della figura di Mimì, molto dinamica, della quale è particolare il rapporto silenzioso con gli antenati? Anche la storia di questo nome è interesante, perché Mimì?

Mimì perché il personaggio è ispirato a una santa, che è Santa Domenica, ed è importante in questo libro il nome dei Santi protettori dei loro paesi. Sono molto attento all’onomastica, e spesso mi diverto a dire che a un certo punto noi nella nostra vita iniziamo ad assomigliare ai nomi che ci portiamo. E Mimì si porta dietro questo nome particolare, il nome di Domenica, che è santa patrona di una città piena di luce, Scorrano, dove si festeggia con la gara delle luminarie, concepita in questo paese. Per quanto riguarda il confronto con l’altro, lei parla con gli antenati. Ammiro molto le persone che hanno questa capacità di “crearsi un altro”. Che cosa significa: c’è un libro molto bello di Recalcati che ho letto questo inverno, e si chiama Cosa resta del padre. Recalcati è un laico, uno psicanalista di stampo lacaniano, ateo, però lui esalta la preghiera, perché con la preghiera tu appunto stai mettendo in dubbio il tuo io, stai uscendo dal tuo io e stai parlando con un “altro”, magari un’entità immaginaria, un’entità religiosa, un’entità come quelle di Mimì, che sono quasi animiste.

Come mai la tua scrittura è cambiata tanto dal primo all’ultimo libro? Lo consideri un miglioramento?

Cambia da libro a libro nel mio caso, nel senso che è la storia che chiama lo stile, e penso che uno scrittore ha un suo stile che si viene a creare col tempo. Puoi dire a uno scrittore che ha un suo stile dopo tanto tempo; è difficile che a trent’anni uno scrittore ha un certo stile, secondo me, è molto presto, anche perché io credo negli scrittori quando rendi l’opera omnia; la mia è un’opera che si sta facendo. Però, nel caso specifico, dipende molto dalla storia, cioè dal tipo di storia che racconti, se è una storia all’interno della quale ci sono altre storie, se stai raccontando in prima persona. È molto importante il cambiamento dalla prima alla terza persona. Penso che questo sarà uno dei pochi libri che ho scritto in terza persona, perché la terza persona è uno strumento molto facile da un lato ma anche molto difficile, perché inevitabilmente ti metti in una condizione di superiorità nei confronti dei personaggi, a un certo punto sali sopra agli altri, e un conto è se sei Tolstoj – Tolstoj, appunto, aveva l’idea che il narratore è Dio, però Tolstoj è Tolstoj –, oppure la terza persona diventa pericolosa proprio perché sei lontano dai protagonisti. Mentre con la prima persona c’è un rischio esattamente opposto – io ho lavorato molto con la prima persona –, lì invece sei troppo dentro e quindi a un certo punto dimentichi che ti stanno leggendo. Col prossimo libro torno alla prima persona.

Io vorrei parlare di Vita precaria e amore eterno. Ti ho conosciuto con questo libro e, come ho scritto nella recensione, penso che il titolo sia veramente adatto, perché parla dei due fulcri del romanzo: l’amore da un lato, così totalizzante e destabilizzante, che sembra essere l’unica cosa certa del romanzo, ma allo stesso tempo l’unica impalpabile, e dall’altro il precariato, di cui si parla anche in Foto di classe, un precariato per il quale tutte le speranze sembrano morire subito, anche se io ho percepito nella tua voce un sintomo di positività. Quindi vorrei chiederti se l’amore di cui si parla in Vita precaria e amore eterno, quindi quello tra Martino e Toni, sia una semplice idealizziazione, e quindi se l’amore per definirsi tale debba essere proprio così, e se tu credi nella possibilità per i ragazzi pugliesi di continuare a lavorare in Puglia, e quindi non abbandonare questa terra ma raggiungere qui i propri sogni.

Per quanto riguarda la questione dell’amore, penso che ognuno di noi abbia la sua visione. Io ti dico la mia: se ti innamori, vivi la storia in maniera intensa, magari facendo anche delle follie, pensando che questo amore non finisca mai e che quindi l’obiettivo sia quello di seppellirti con lei e non ci siano vie di mezzo. Però questa è una mia idea e basta, lavoro su questo, da sempre, sia che l’amore sia corrisposto sia che non lo sia.
Quanto al discorso sulla precarietà, devo dire che quando ho scritto Vita precaria e amore eterno ero molto arrabbiato, mi sentivo vittima del sistema, sentivo che era colpa del mondo se non avevo possibilità nella società lavorativa. Poco alla volta ho capito che in fin dei conti il famoso assunto che dice “ognuno è artefice di se stesso” è vero, nel senso che, anche se ci sono tante difficoltà, alla fine un nucleo di tuoi risultati lo puoi ottenere da solo. Però veramente un nucleo, non tutto, perché io fondamentalmente non sono individualista, credo comunque che ci debba essere un’idea collettiva. In realtà in Puglia si son fatte delle cose insieme. Ad esempio questo festival (festival letterario ‘A testa in sud’ – La Puglia che scrive, la Puglia che vive, n.d.r) è stato organizzato da voi ragazzi di Acquaviva, e siete riusciti a fare qualcosa insieme in estate, in un paese che è finito sulle pagine dei giornali. Dalle difficoltà si può riuscire a fare emergere il meglio di noi stessi.

Ringraziamo Mario Desiati per la sua disponibilità e gli facciamo i nostri auguri per il suo prossimo romanzo.

La video-intervista:


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