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Intervista a Massimo Carlotto

Creato il 23 dicembre 2013 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

Da Fralerighe Crime n. 10

Intervista a Massimo Carlotto
AT: Bentornato su Fralerighe.

MC: Grazie! È sempre un piacere.

AT: Iniziamo con le domande. 1) Com’è nata l’idea per L’oscura immensità della morte?

MC: Il dibattito su pena, vendetta e perdono era così scadente (non che oggi sia migliorato) che ho avvertito il bisogno di intervenire nell’unico modo che mi è consono e cioè con un romanzo. Ho indagato in realtà specifiche e raccolto materiale che mi permettesse di costruire una trama in grado di affrontare la complessità del tema.

AT: 2) Ho letto in giro che ha intervistato diverse persone coinvolte in casi simili a quello narrato in questo romanzo. Com’è stata quest’esperienza? 

MC: Molto intensa dal punto di vista umano. Ho cercato e stabilito contatti con famiglie dove il crimine aveva portato il lutto, punito poi dallo Stato con una condanna. L’ulteriore elemento in comune era il rifiuto del perdono del colpevole attraverso un atto formale. Ho dibattuto con queste persone sul senso della vendetta e del perdono e una volta di più mi sono convinto che i sentimenti sono troppo esasperati per una riflessione pacata e che solo lo Stato può assumersi la responsabilità di tale decisione.

AT: 3) Dal suo libro emerge un quadro della giustizia italiana tutt’altro che lusinghiero. Secondo lei, quali misure andrebbero realizzate con più urgenza per migliorare l’amministrazione di questo settore?

MC: In questo momento storico la politica è troppo compromessa con diverse forme di criminalità per cercare di attuare una seria riforma della giustizia. Infatti non è nemmeno in grado di attuare quella elettorale. Credo sia necessario attendere una nuova fase frutto di un ricambio del ceto politico ma purtroppo non avverrà in tempi brevi.

AT: 4) Ergastolo. Fine pena: mai. Da una parte è lecito affermare che si tratti solo di una condanna a morte più ipocrita, e che quindi sarebbe bene abolire tale pena. Dall’altra, però, viene da chiedersi: e se abolissimo l’ergastolo, che fine farebbero i boss della criminalità organizzata, tanto per dirne una? Potremmo ritrovarci Totò Riina a piede libero… Lei cosa ci dice al riguardo? E’ a favore dell’abolizione dell’ergastolo? E per quanto riguarda l’eventuale libertà di boss del crimine del calibro di Riina, Provenzano, Cutolo e compagnia? 

MC: Da anni mi batto per l’abolizione dell’ergastolo. In altri paesi europei è stato abolito, in alcuni è ancora presente ma con limiti temporali ben precisi. Il tempo della pena deve avere una relazione con il tempo storico in cui viene scontata. Non si possono continuare ad applicare concetti ottocenteschi o del primo ’900 in una società dove la velocità della società è profondamente mutata. Il concetto di “mai” non ha poi un senso riabilitativo secondo i principi costituzionali. A tutti, mafiosi compresi, va offerta una seconda possibilità. Il che non significa una scarcerazione automatica ma un percorso di verifica di un possibile reinserimento. Ovviamente per chiunque appartenga alla criminalità organizzata la discriminante immediata è la dissociazione. Il problema vero non riguarda tanto i mafiosi ma i serial killer considerati dalla psichiatria eternamente pericolosi. Ma non tutti sono mafiosi e tantomeno assassini seriali.

Intervista a Massimo Carlotto
AT: 5) Il carcere narrato in questo romanzo è un sistema tutt’altro che capace di riabilitare i detenuti, come l’equivalente americano raccontato da Bunker. Cosa pensa dell’autore statunitense? E cosa proporrebbe per migliorare il carcere nostrano? 

MC: Bunker è stato un grande scrittore. La tradizione della letteratura penitenziaria statunitense è importante ma probabilmente lui è stato l’autore che ha trovato una chiave efficace per far comprendere culture e meccanismi anche al pubblico europeo. Il sistema penitenziario italiano invece è abbandonato da anni. La politica teme di perdere voti e quindi segue e fomenta la “pancia” dell’opinione pubblica piuttosto che risolvere problemi gravi e complessi. Un paese in grado di scommettere sul proprio futuro investe energie per recuperare i criminali e reinserirli nella società per il semplice motivo che è conveniente da tutti i punti di vista. Noi siamo afflitti da altri problemi che rendono concezioni innovative pura utopia.

AT: 6) La grazia è uno dei temi centrali del romanzo. Che ci dice a tal proposito?

MC: La grazia è un istituto dalle molteplici utilità. In Italia è sempre meno usato, un segno dei tempi.

AT: 7) E del perdono, cosa ci dice? Bunker nei suoi romanzi afferma che l’America, pur essendo cristiana per la maggiore, sia incapace di perdonare, di porgere l’altra guancia. L’Italia, il paese del Vaticano, è capace di perdonare? 

MC: Difficile perdonare. Per la stragrande maggioranza delle persone colpite da lutti così gravi è impossibile. Ho conosciuto una signora che dopo aver letto il romanzo ha voluto conoscere l’assassino del padre. Ne è nato un confronto umano molto complicato ma oggi quella donna segue in prima persona il reinserimento di quell’uomo che le ha strappato un affetto con la violenza. Vuole che diventi una persona realmente migliore. Ma si tratta di un caso molto, molto isolato.

AT: 8) Carnefici che diventano vittime, e viceversa. La violenza è una spirale che non conosce limiti. Razionalmente, sappiamo bene che non è con la violenza che risolveremo qualcosa, eppure, in casi come quello raccontato nel romanzo, quando non la mettiamo in pratica sogniamo di farlo. Perché?

MC: Perché la vendetta è un sentimento reale. Possiamo occultarlo sotto l’ipocrisia della ragione o della religione ma riaffiora sempre. Basta guardare le immagini televisive dopo le esecuzioni negli Stati Uniti. Le persone che hanno appena osservato un uomo morire sono felici di aver pareggiato il conto.

AT: 9) La nostra società appare incapace di lenire l’enorme dolore che grava sui parenti delle vittime. Perché non ci riesce?

MC: Perché il comune senso di pietà è individuale e non collettivo. Per le vittime del terrorismo è stato diverso perché settori illuminati della società hanno agito nel loro insieme ponendosi il problema di un’utilità collettiva per queste persone. Ma per le vittime del crimine comune non c’è mai stata attenzione se non mediatica.

AT: 10) Dal suo romanzo è stato tratto uno spettacolo teatrale, dal titolo “Oscura immensità”, diretto da Alessandro Gassman. Cosa ci dice al riguardo? Com’è andata?

MC: Benissimo, un grande successo. Uno degli spettacoli più apprezzati della stagione. Anche la prossima è al completo.

Intervista a Massimo Carlotto

Da sinistra: Claudio Casadio (Raffaello Beggiato), Alessandro Gassman (regia), Giulio Scarpati (Silvano Contin).

AT: 11) Io credo che il suo romanzo non abbia l’ambizione di fornire risposte, ma al contrario stimoli per domande. Concorda?

MC: Credo che il ruolo della letteratura sia proprio questo: suggerire domande importanti.

AT: 12) Lei che risposte ha trovato per quegli interrogativi?

MC: Che perdono e grazia possono essere decisi solo da una parte terza e cioè lo Stato, dopo un’attenta verifica del percorso penitenziario del condannato.

AT: L’intervista è finita. La ringrazio.

MC: Alla prossima!

Massimo Carlotto e Aniello Troiano



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