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Intervista a Matteo B Bianchi

Creato il 12 gennaio 2011 da Sulromanzo

Matteo B Bianchi

Mancano 138 pagine alla fine del libro

Caro Matteo, m'ero programmato di farti una bella intervista, sai, di quelle serie che tutti i critici seri fanno agli scrittori seri; ma poi ho pensato che no, io non sono un critico serio. Tu, in quanto scrittore, non so. Parliamo quindi delle cose che m'hanno colpito finora. Quanto importante è stato il lavoro linguistico sul testo? Hai ricercato modalità espressive che fossero inconsuete?

 

Ho scritto un romanzo alla seconda persona perché è una forma abbastanza inusuale ed era tempo che volevo adottarla. Ma non è ricerca letteraria la mia, piuttosto l'esigenza di trovare modalità stimolanti per me come scrittore, ancor prima che per i lettori. Per esempio, nel romanzo precedente (Esperimenti di felicità provvisoria) mi ero divertito a mescolare i linguaggi (aforismi, riassunti di soap-opera, racconti). Qui ho usato tutte le persone singolari: il protagonista (la sezione principale del testo) è al tu, il fratello è in terza persona, il personaggio di una sensitiva in prima. Variare registro ha permesso a me di usare toni diversi e credo che garantisca al lettore di identificare più profondamente le differenti personalità dei personaggi.

 

Mancano 128 pagine alla fine del libro

Sì lo so, la distanza è poca, ma oggi mi sono messo a leggere il tuo libro in classe finché gli studenti facevano compito e ho cominciato a ridere. Mi hanno guardato tutti male. Una volta, parlando, m'hai detto che rifiuti un'idea di letteratura che nasca dal dolore (era Gadda?); ora ti chiedo, quanto è importante divertire le persone, in generale e con questo libro? E quanto l'esperienza televisiva t'ha cambiato in questo?


Davvero hai riso con questo libro? E io che pensavo che fosse il mio "romanzo depressivo"! A dir la verità non mi preoccupo di divertire il lettore quando scrivo. Sinceramente me ne preoccupo quando devo leggere di fronte alla gente, cerco di scegliere brani incisivi e possibilmente ironici, perché li ritengo più adatti alla fruizione in pubblico. Quando scrivo mi interessano di più altre cose: per esempio che i dialoghi suonino molto realistici e naturali, che la narrazione abbia molto ritmo (per questo prediligo i capitoli brevi, i cambi frequenti di prospettiva).

Detto questo, non rifiuto l'idea gaddiana della letteratura che nasce dal dolore. Rifiuto invece il preconcetto (tanto diffuso nel nostro paese) che scrivere di tematiche sociali forti equivalga a produrre libri importanti. Per dire, negli ultimi anni sono usciti svariati romanzi sul tema del precariato, e purtroppo la maggior parte erano terribili, ma hanno ricevuto dai giornali un'attenzione sproporzionata. 

Infine non credo che lavorare per la tv abbia modificato il mio modo di scrivere. Credo di essere uno scrittore un po' anomalo perché ho lavorato davvero in ogni ambito: come copywriter pubblicitario, come autore radiofonico, come sceneggiatore, come commediografo, come autore di reportage turistici, come autore tv. Posso dire di averle provate tutte. E se ne sono stato influenzato, credo che sia dall'insieme di queste esperienze, più che da una in particolare.   

 

Mancano 90 pagine alla fine del libro

Da cosa nasce il desiderio di comprendere nel testo anche una storia d'amore al femminile? Continua in qualche modo le nuove vie percorse in Esperimenti?

 

No, si tratta di due approcci completamente differenti. "Esperimenti di felicità provvisoria" (il mio romanzo precedente) narrava di quattro persone in crisi personale che sceglievano di affrontare una storia sentimentale che contravveniva alle loro sicurezze precedenti. Era un libro sulle possibili fluttuazioni dell'amore, sul fatto che a volte le etichette "eterosessuale" o "omosessuale" perdono il loro senso perché la vita è più complicata (o più fantasiosa?) di così. Era basato su numerose esperienze che mi sono state raccontate nel corso degli anni, di vicende sullo scavalcamento dei confini di cui, a mio avviso, si parla seriamente troppo poco. 

"Apocalisse a domicilio" invece è un libro nel quale la sessualità del protagonista non ha alcuna rilevanza. Intendo dire che il sesso ha un ruolo importante per lo sviluppo della vicenda, ma il fatto che il protagonista sia gay o no non cambia di una virgola il senso del libro. 

 

Apocalisse a domicilio
Fine del libro

L'ho finito. Non ho resistito, mi ha travolto; so che avrei dovuto fermarmi per farti altre domande, ma no ce l'ho fatta. Parlando con una collega (abbiamo letto il libro assieme) ci siamo confessati di aver atteso a lungo il finale, e di non aver sperato finale migliore.

 

Grazie, il finale divide moltissimo. Chi lo odia (e MI odia per aver lasciato il finale aperto) e chi lo adora e lo trova perfetto.

 

Ti chiedo quest'ultima cosa: quanto è stato il lavoro di creazione prima della scrittura (pianificazione, organizzazione, ecc) e quanto invece si è evoluto mentre scrivevi?

 

Non sono uno scrittore che pianifica, non prendo appunti precedenti, non faccio né schemi, né riassunti. Elaboro solo una struttura in testa e cerco di attenermi a quella. Però quando inizio a scrivere un libro ho delle urgenze, ci sono degli snodi importanti che ho la necessità di buttare giù subito: l'inizio, il finale, i capitoli nei quali succedono gli eventi principali. Scrivo prima quelli per capire se reggono, se funzionano sulla carta, ma anche per stabilire il tono che deve avere la narrazione. Una volta fissati questi punti completo il resto. E poi, naturalmente, scrivendo le cose vanno a posto, capisco cosa va approfondito e cosa ridotto, quali personaggi far crescere. Per esempio, nel caso di "Apocalisse" solo scrivendo ho scoperto che le figure del fratello e della sensitiva meritavano un ruolo centrale, dei capitoli dedicati alle loro singole vicende.


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