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Intervista a Michele Tetro

Creato il 19 settembre 2014 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

Guida cinema FantascienzaA breve distanza dall’uscita della “Guida al cinema di fantascienza” (Odoya – 2014) viaggiamo tra cinema e letteratura conversando con Michele Tetro, critico cinematografico pluripremiato, scrittore e giornalista, autore di numerosi saggi sul cinema fantastico, oltre che di vari racconti dello stesso genere, pubblicati dal 1983 a oggi.
Addentrandoci tra sfaccettature della sua lunga attività cercheremo i legami tra la parola scritta e lo schermo, parlando anche di fantascienza e social e altre interessanti curiosità.

Siamo lieti di incontrarti, Michele, e ti diamo il benvenuto sulle pagine di Fralerighe, pronti a partire con te verso lo spazio profondo dell’immaginario. È noto che la tua passione per la fantascienza sia nata precocemente intorno ai tre anni, puoi raccontarci quando e in che modo si è potuta evolvere trasformandosi in un’attività professionale?

Dunque, gli aitia… appesa sul soffitto della mia cameretta c’era un modellino del modulo di servizio “Apollo”, costruito da mio padre, maresciallo dell’Aeronautica, che è uno dei miei più antichi ricordi. La visione precoce al cinema di “2001: odissea nello spazio”, in una notte piovosa, quando avevo tre o quattro anni e sempre grazie a mio papà, è stato l‘inizio di tutto. Posso ricordare ancora perfettamente come in quel cinema mi paresse davvero di trovarmi nello spazio, anzi, all’interno di una tuta spaziale… dalla quale non sono più uscito. Poi, è stato tutto un logico percorso a catena, inevitabile: i fumetti dei supereroi Marvel, i telefilm di UFO e “Spazio: 1999”, il primo libro di fantascienza (“La macchina del tempo” di Wells, se non consideriamo “2001”, che era su un ripiano della libreria da molto tempo, di cui potevo godere solo della copertina perché non sapevo ancora leggere), la scoperta di Lovecraft, basilare per me, lo studio sistematico del genere sulla “Grande Enciclopedia della Fantascienza”, la strenua lotta per vedere “Alien”

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al cinema, a detta di mia mamma ben poco adatto alla visione di un bambino… ero diventato un infuso di fantascienza pura, pronto ad essere distillato. Sono sempre stato portato per la scrittura e la creazione di storie, dapprima a fumetti (pagine e pagine imbrattate e illustrate), poi, affascinato anche dalla macchina da scrivere, redatte in prosa. Un giorno, a dodici anni, decisi che era ora di darsi una mossa, contro la (giustificata) opinione di tutti, che temevano dolorose disillusioni: mandai una letterina alla redazione di “OMNI”, la rivista di scienza e fantascienza allora molto rinomata, dichiarando con una faccia tosta incredibile che avrei spedito loro dei racconti, per vedere se li avessero cestinati poiché scritti da un bambino. Risposero subito alla mia provocazione, pubblicando la lettera, dicendo che chi leggeva “OMNI” poteva essere un bambino solo anagraficamente parlando e incitandomi, con un minimo di simpatica ironia, ad inviare i testi. Due mesi dopo in copertina della rivista apparve il titoletto “OMNI scopre uno scrittore prodigio” e all’interno il mio racconto con intervista. Il direttore, il compianto giornalista Gian Franco Venè, mi prese sotto la sua ala tutelare, e tutto cominciò così.

Distacco critico e immedesimazione. Come autore riesci a trovare elementi di continuità scrivendo narrativa e saggistica, o sono dimensioni che restano del tutto a se stanti?

MOD Mondi Paralleli
Direi che siano due cose differenti. La saggistica cinematografica richiede ovviamente un certo distacco critico, soprattutto considerando che siamo stati (e siamo ancora) tutti appassionati, prima che studiosi. Cerco in questo caso di evitare prese di posizione nette ma basate solo su un giudizio soggettivo, ogni critica va ragionata sulla base di dati effettivi, riscontrabili, comprovabili. Non si può solo dire “questo è bello”, “questo è brutto”, bisogna argomentare seriamente. Ciascuno poi avrà il diritto di farsi un’opinione propria, ma c’è sempre una differenza tra chi fa critica e chi ne usufruisce: si riconosca merito anche al critico, invece di mandarlo a quel paese se offre un giudizio che non piace. Non sempre l’espressione “de gustibus” è applicabile… Ho fama comunque di essere un discreto talebano, ma solo perché non ho ancora incontrato qualcuno con posizioni più forti o preferibili alle mie (ai miei occhi, ovviamente)… mi piacerebbe però trovarlo, e adeguarmi di conseguenza, è giusto anche provare ad essere “ridimensionati” dopo un sano confronto. In merito alla narrativa, solitamente cerco di essere piuttosto freddo e distaccato anche lì, descrivendo personaggi come se li osservassi col microscopio, alla maniera lovecraftiana. Ma spesso mi accorgo di partecipare profondamente  alle loro vicende, molto più alla maniera howardiana! Va bene anche così. Ora ho molto più interesse a tornare alla narrativa, da cui la saggistica cinematografica mi ha distolto per troppo tempo.

Hai curato diverse pubblicazioni con Roberto Chiavini e Gian Filippo Pizzo. Che metodo di lavoro utilizzate scrivere per questi saggi a più mani? Ci sono mai stati disaccordi o scelte difficili da condividere tra colleghi?

Ormai il trio è una rodata macchina di scrittura di saggistica cinematografica, con ben sette volumi al suo attivo. Per “Il grande cinema di fantascienza – da 2001 al 2001”, pubblicato per Gremese, Pizzo e Chiavini si sono occupati dei saggi ed io delle 70 schede cinematografiche (in realtà 67, perché all’epoca non avevo ancora visto tre film, redatti quindi da Chiavini, mentre un paio di saggi non firmati nella loro parte sono ad opera mia), per il secondo volume “Il grande cinema di fantascienza – Aspettando il monolito nero” stessa cosa, aggiungendo il fatto che tutti abbiamo collettivamente partecipato alla revisione delle singole parti. Lavoro misto invece per “Il grande cinema fantasy”, sempre di Gremese, per il quale ci siamo divisi testi e schede. Solo schede per “Contact – tutto il cinema su UFO e alieni” per Tedeschi e “Mondi paralleli – Storie di fantascienza dal libro al film” per Della Vigna mentre la “Guida al cinema di fantascienza” per Odoya ce la siamo divisa in tre periodi storici a testa. Tendenzialmente, io sono molto più “enciclopedico” rispetto ai miei due colleghi, che devono un po’ mettermi un freno. Alla fine ce la risolviamo così: loro tagliano un po’ qualcosa di mio, io aggiungo un po’ qualcosa a loro, così in conclusione le parti si equilibrano. Le discussioni ci sono, ovviamente, ma vengono sempre risolte in modo tale che nessuno ne risenta. Ricordo in particolare il problema per un film come “Frankenstein”, in bilico tra i generi: inserirlo o meno in una rassegna di film di fantascienza? Io ero per il no, loro per il sì… e c’erano motivazioni giustificate per entrambi. Alla fine è stato sì…

Premio Vegetti
Secondo il tuo giudizio, che caratteristiche di qualità deve avere un film tratto da un libro per essere valido? Conta più la fedeltà alla fonte letteraria o è preferibile il travisamento (vedi lo Shining di Kubrick) se apporta artisticità al risultato finale? King, ad esempio, non ne rimase troppo contento…

Allora, per me King in questo caso è stato proprio un vontolone (non cercate il significato del termine, l’ho inventato io ma mi sembra abbastanza chiaro!), perché “Shining” di Kubrick è un vero capolavoro del cinema, al di là del genere di appartenenza, mentre il romanzo è solo un buon esempio di narrativa di genere. Insomma, basta considerare la versione televisiva di “Shining” voluta da King stesso, apoteosi della noia, pedissequamente fedele al romanzo sì, ma decisamente senz’anima, diretta da un regista completamente succube al volere dello scrittore. Il che porta direttamente alla mia posizione in merito alla tua domanda. Penso che, dal punto di vista dell’autore di un romanzo o di un racconto, sia giusto che l’adattamento cinematografico della sua opera resti fedele al testo scritto, riservando all’interpretazione degli attori, allo stile registico, all’aspetto visivo e quant’altro il compito di impreziosire quanto già stabilito in sede di scrittura. Ma è ancora più interessante quando il regista diventa a sua volta “autore”, potendo manipolare una determinata trama secondo la propria visio mundi e facendola assurgere a nuovi tipi di interpretazione, magari anche stravolgendola e dandole altre coordinate su cui svilupparsi. È un tradimento della storia originale? Forse anche sì… ma io lo vedo più come un altro modo di raccontare, di trovare nuove fascinazioni, nuovi spunti ugualmente interessanti. Per fare questo, però, è ovvio che non si possa né si debba tradire lo spirito dell’autore originale. Così sì che sarebbe un danno inaccettabile. Penso a “Stalker” di Andrej Tarkovskij, dal libro dei fratelli Strudatsky, mai visto una storia presentata così antipodicamente a livello di romanzo e di film: ma che grandi capolavori, entrambi! Stessa cosa per il già citato “Shining”. Penso invece ad un autore come Lovecraft, tradito in tutte le salse possibile ed immaginabili dal cinema… ecco, a questo mi ribello assolutamente.

A questo punto, la domanda è d’obbligo: quali sono i tuoi generi e gli autori preferiti nella narrativa o nel cinema di fantascienza?

In ambito strettamente fantascientifico prediligo opere di esplorazione spaziale (non space-opera tipo “Guerre stellari”), sociologia futura, introspezione filosofica, quindi tra gli autori metto al top Stanislaw Lem, Arthur C. Clarke, Philip K. Dick, Herbert G. Wells. Sopra tutti sempre, ovunque e in ogni momento H. P. Lovecraft, cui devo veramente molto, in tutti i sensi. Non ho molto interesse per i cosiddetti “ibridi” e la mescolanza dei generi (fanta-noir o fanta-giallo o che so io), che trovo sovente noiosi (naturalmente, per la serie l’essere umano è una contraddizione unica, sto scrivendo weird-western!). In campo cinematografico seguo più o meno le preferenze della narrativa: per me ancora ineguagliabili film come “2001”, “Solaris”, “Stalker”, “Alien”, i film degli anni Cinquanta e Settanta, l’opera omnia di David Cronenberg. Mi divertono abbastanza i film sui supereroi, che seguo volentieri ma senza esaltazione. Sono molto più carente sul versante televisivo, perché non sono più riuscito ad appassionarmi a nessuna serie a partire dagli anni Novanta. Errore mio, lo riconosco.

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Domanda speculare: escludendo il trash e i cult in negativo alla Ed Wood, qual è a tuo avviso il peggior film di SF mai prodotto, per trama, messa in scena e attori?

Mah, sul momento non saprei dirti… in linea di massima trovo deprecabile il film tratto da opera preesistente in cui si tradiscono le idee dell’autore originario. Citerei, tra le ultime cose viste, “Io sono leggenda” di Lawrence o “La leggenda degli uomini straordinari” di Norrington, che banalizzano irreparabilmente le opere di Matheson e Moore. Odio remake o reboot che non apportino innovazione al film originale, e si rivelino quindi del tutto inutili. Ma se proprio vuoi un titolo sopra tutti… non mi viene. O forse “Battaglia per la Terra”… non funzionava niente.

La disponibilità di sofisticate CGI porta il cinema attuale a una spettacolarità esasperata. Puoi indicarci una buona produzione contemporanea che tratti il fantastico con un approccio controcorrente?

Questo è il grande problema del cinema di fantascienza oggi. Una spettacolarità fine a se stessa, prevaricante sulle storie e stordente nei confronti del pubblico. Era ciò che si temeva già all’uscita di “Guerre stellari” nel 1977 ma allora le storie avevano ancora la loro importanza e il bilanciamento con gli effetti speciali era giusto. Con l’avvento della CGI gli equilibri si sono frantumati a sfavore di originalità e buone idee. Un trend che va solo peggiorando, purtroppo… Penso di non aver più visto un film di fantascienza davvero rimarchevole negli ultimi 15 anni, fatta eccezione per pochissimi casi. Segnalerei opere come “Gattaca” o “Moon”, ma sono rari esempi schiacciati tra roboanti blockbuster singolarmente privi di inventiva, idee e con solo rutilanti immagini alla fine frastornanti. Non la vedo bene, per il genere.

Come relatore presente in numerose convention del fantastico, avrai conosciuto più “alieni” che nella cantina di Mos Eisley. C’è qualche incontro che ricordi particolarmente?

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Uh… senz’altro l’incontro con il regista John Milius, a Torino, cui poi ho fatto pervenire il mio libro “Conan il barbaro. L’epica di John Milius”. Ma soprattutto quello con l’attore Gianni Garko, il famoso Sartana degli spaghetti-western. Avevo scritto un romanzo ispirato ad un episodio di “Spazio 1999” per il trentennale della serie e le bozze erano state fatte pervenire, a mia insaputa, proprio a lui, che era protagonista dell’episodio “Il dominio del drago”, di cui io ho scritto appunto il prequel-sequel. Gianni ne è rimasto così entusiasta che ha voluto scriverne la prefazione… sempre senza che io sapessi nulla! L’ho scoperto solo alla “Moonbound”, la convention degli appassionati dedicata alla serie in cui lui stesso era tra gli invitati e in cui il romanzo è stato presentato. Siamo diventati amici e siamo ancora in contatto.

Il tuo libro Mondi Paralleli è anche un frequentatissimo gruppo di discussione su Facebook. Come utilizzi questo strumento di comunicazione col pubblico? I flames polemici che nascono sui social sono uno stimolo a creare interesse sulla fantascienza oppure è solo rumore mediatico?

“Mondi paralleli” è un gruppo di Facebook aperto a tutti gli amanti della fantascienza, sia narrativa che cinematografica. Si parla di un po’ di tutto, spesso con collegamento anche con altri gruppi tematici. Sono lieto di dire che finora non si è mai arrivati a polemiche feroci o trascendenti in rissa aperta, che non consentirei, anche se vi sono molti iscritti con idee ben precise (io stesso tra i primi). Le discussioni “periodiche” che suscitano più interesse e prese di posizione sono quelle relative alla vera natura del genere fantascienza e di riflesso alla definizione specifiche dei vari generi del fantastico, fronti su cui mi cimento spesso in prima persona e con posizioni a volte passibili di critica. Penso perciò che il confronto sia una cosa positiva e uno stimolo a generare interesse per la fantascienza.

Domanda conclusiva, con la quale ci congediamo ringraziandoti per l’amichevole partecipazione. A quali progetti stai lavorando per il prossimo futuro?

Entro l’anno uscirà in libreria la “Guida agli autori horror”, per Odoya, e nel

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2015 la “Guida al cinema horror”, sempre per Odoya. Ho terminato un romanzo weird-western, ancora in cerca di editore, e sto pensando di raccogliere in un’antologia tutti i miei vecchi racconti di fantascienza. Poi, ho un paio di altri progetti… ma si vedrà. Vi ringrazio per l’intervista e vi auguro buon lavoro!

Michele Tetro e Fabio Lastrucci



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