Ciao Paolo, benvenuto!
La “nota sull’autore” in calce ai tuoi romanzi ci rivela che sei nato a Roma nel 1967 e che hai tre passioni: musica, sport e libri. C’è qualcos’altro che dobbiamo sapere? Ti va di presentarti ai lettori di Fralerighe?
Allora eccomi. Sono un giornalista della cronaca di Roma del Corriere della Sera. In passato ho lavorato in diverse altre testate (soprattutto all’Unità) e ho cominciato come giornalista sportivo. Adesso mi occupo perlopiù di politica ed economia, lo sport però resta una delle mie grandi passioni. Sono Diplomato in educazione fisica (un insegnante di zompi prestato al giornalismo), ho praticato atletica leggera a livello agonistico e sono stato anche allenatore. Ora, in età adulta, ho scoperto il nuoto, visto che due chiodi nel ginocchio mi impediscono mio malgrado di correre: così faccio le gare master e a giugno scorso ho partecipato ai Mondiali della mia categoria. Con la musica è un rapporto difficile: io amo il pianoforte, ma lui ogni volta che lo tocco reagisce con suoni sgradevoli. Per la gioia dei miei vicini, suono ossessivamente De Andrè e Tenco. Se non ci fosse Maria Teresa, la mia compagna, pianista vera che suona divinamente e ricompensa i vicini con pregevoli esecuzioni, credo che sarei già stato cacciato dal condominio. I libri? Non parto nemmeno per un week end senza una buona scorta di letture.
11 luglio 2012: esce il tuo primo romanzo, “Delitto alle Olimpiadi” (Edizioni e/o); a distanza di poco più di tre mesi, il 24 ottobre 2012, ecco arrivare in libreria la seconda indagine della Sezione crimini sportivi della questura di Roma: “Il castigo di Attila”, anch’esso targato e/o. Un esordio da centometrista, insomma… ad alta, esplosiva velocità! Ci parli delle tue “creature” letterarie?
Nei miei libri lo sport è l’oggetto della narrazione, ma anche uno strumento per la narrazione. Parto da un crimine commesso nel mondo dello sport e intorno cerco di costruire tante storie diverse, cerco di far vivere personaggi che possano strappare un sorriso o fare incazzare, ma che comunque lascino in qualche maniera un segno. E cerco di raccontare quello che vedo della nostra società che non mi piace ma di cui spesso non riesco a parlare nei miei articoli sul giornale. Spero di riuscire a far riflettere su temi seri con un sorriso, in maniera leggera ma non superficiale.
Il commissario Igor Attila, ex pugile con una vita sentimentale tormentata e un passato da dimenticare, e la sua squadra di ex atleti “falliti” sono personaggi interessanti, ai quali è difficile non affezionarsi. Personaggi perfetti, a ben vedere, per un progetto a lungo termine. Hai già concepito un’intera serie di polizieschi ambientati nel mondo dello sport?
Adesso sto lavorando al terzo romanzo che dovrebbe uscire a marzo. E vorrei continuare. L’idea è di andare a ficcare il naso un po’ ovunque nel mondo dello sport: spaziare da una disciplina all’altra, raccontare la vita dei professionisti, ma anche le fissazioni degli amatori, dei cosiddetti sportivi della domenica: però, come ti dicevo, in questi libri voglio parlare di tante altre cose: per esempio nel terzo romanzo tornerà spesso la spending review, questo strumento di politica economica adottato dal governo Monti che probabilmente ha il pregio di salvare i conti pubblici, ma rischia di fare del male, molto male, alle famiglie.
Soffermiamoci per un momento su Igor Attila: personaggio ben riuscito, originale e fuori dagli schemi. Com’è nato? Hai dei riferimenti precisi nel panorama letterario poliziesco? I colloqui di Attila con il questore e con il bizzoso pm Silvio David sono, a tratti, esilaranti e ricordano le schermaglie del commissario Montalbano con i suoi superiori e con il dottor Pasquano…
Camilleri è un maestro irraggiungibile nel suo genere, non oso nemmeno paragonarmi a uno scrittore del suo livello. E’ chiaro che probabilmente, talvolta magari a livello inconscio, quando scrivo sono condizionato dalle mie letture. Fra giallisti e autori di noir amo in particolare Jean Claude Izzo (la trilogia marsigliese è secondo me un capolavoro della letteratura), Simenon, Manotti e Markaris fra gli stranieri. Appunto Camilleri, De Giovanni, Dazieri e Carlotto fra gli italiani. Gli scandinavi mi piacciono ma trovo i loro gialli un po’ “freddi” (colpa della latitudine?).
Ultrasportivo, musicista… Non posso non domandartelo: vi sono elementi autobiografici, nel personaggio di Igor Attila?
Tantissimi. Confesso che la moto truccata è identica alla mia Hornet 600. Le due chitarre che il commissario tiene in ufficio sono le stesse mie (una Gibson Diavoletto e una Santo Lo Verde di liuteria siciliana) e anche il pianoforte a coda, il Bluthner del 1893, è proprio il mio (stesso anno di nascita), che attualmente ho parcheggiato a casa di
amici per ragioni di spazio. E, guarda caso, anche Igor Attila ha due chiodi piantati nel ginocchio. Lui però riesce a correre, come lo invidio.
“Delitto alle Olimpiadi” e “Il castigo di Attila” sono romanzi estremamente godibili, di “intrattenimento” nel senso migliore del termine. Gli argomenti trattati, ciò nondimeno, sono tutt’altro che leggeri: doping, calcioscommesse… Da giornalista pensi che il romanzo poliziesco possa contribuire a denunciare le storture della realtà (in questo caso della realtà sportiva, del “lato oscuro” del mondo dello sport)?
Credo di sì. In Delitto alle Olimpiadi la vicenda ruota infatti intorno a un caso di Epo nell’atletica azzurra ai Giochi di Londra. Il libro è uscito prima delle Olimpiadi. E purtroppo ai Giochi c’è stato proprio nell’atletica italiana un caso clamoroso di Epo (il marciatore Alex Schwazer squalificato per doping). Anche se i personaggi sono inventati così come le storie, per la contestualizzazione delle vicende narrate cerco di documentarmi in maniera molto approfondita. Ne Il Castigo di Attila, per esempio, ricostruisco i meccanismi del riciclaggio del denaro adottati dai clan della camorra sulla base di evidenze emerse nel corso di inchieste giudiziarie.
Da giornalista tratti con cognizione di causa il mondo dello sport e le sue insidie; da romano dipingi una città che, lungi dal limitarsi a fare da sfondo, diventa un personaggio vero e proprio: una città viva, sfacciata, profumata, spietatamente autoironica. Quanto è importante che uno scrittore sia “dei suoi posti”, per citare Isaac B. Singer, che scriva di ciò che conosce davvero bene?
Dipende dal tipo di romanzo che si vuole scrivere. Se vuoi contestualizzare la storia rendendola credibile, è assolutamente necessario conoscere bene gli argomenti di cui tratti, i luoghi in cui ambienti le vicende. Però ci sono ottimi libri in cui la contestualizzazione e l’ambientazione sono frutto esclusivamente della fantasia dello scrittore e molto distanti dalla realtà.
Cosa rende un libro un buon libro, secondo te?
La capacità di emozionare, di lasciare qualcosa nel lettore.
Hai pubblicato entrambi i romanzi con una casa editrice – la indipendente e/o, n.d.R. – da sempre attenta agli autori esordienti, impegnata nella ricerca e nella promozione del talento. La tendenza generale, tuttavia, sembrerebbe diversa… Quali consigli ti sentiresti di dare a un giovane intenzionato a farsi strada nel mondo della letteratura?
Questa domanda mi permette prima di tutto di ringraziare gli editori Sandro Ferri e Sandra Ossola che hanno avuto fiducia in me e nel mio progetto seriale, mettendomi a disposizione una squadra di professionisti, a cominciare dall’editor Claudio Ceciarelli. Per me, esordiente, è stata un’esperienza fantastica, che mi ha permesso di imparare un’infinità di cose, perché scrivere un articolo e scrivere un libro sono due cose ben diverse. Detto questo, un giovane che vuolediventare scrittore deve assolutamente inseguire il proprio sogno, con la consapevolezza che però difficilmente potrà diventare un lavoro. La prima motivazione dunque deve essere la passione. Serve poi grandissima determinazione e moltissima applicazione. Certo, ci sono i geni che scrivono di getto. Ma quella è un’altra storia, anche perché i geni non hanno certo bisogno dei miei consigli…
Che libro tieni sul comodino, in questo momento?
Io leggo sempre almeno tre libri contemporaneamente. Adesso “Una voce di notte” di Camilleri, “Miele” di McEwan e “La Memoteca” di Marco Pomar.
Direttamente dal questionario di Proust…
• gli autori che prediligo: Bulgakov, Izzo, Ammaniti, McEwan, Frentzen, De Luca, Eugenidies, Skarmeta, Pratolini, Simenon, Camilleri… Posso continuare? Se poi volete, anche qualche poeta: Dante su tutti, Dickinson, Leopardi, Attilio Bertolucci, Ada Merini…
• i miei eroi nella finzione: il re senza corona e senza scorta della Canzone di Marinella;
• i miei eroi nella vita reale: Gino Strada e tutte le persone che dedicano la propria vita al volontariato, oltre a tutti quei genitori come i miei che consacrano la vita al benessere dei figli;
• quel che detesto più di tutto: la violenza, fisica, psicologica e verbale;
• vorrei vivere in un Paese dove… non soffriremo e tutto sarà giusto, per dirla con la splendida canzone Cirano di Guccini.
Fuori questionario: stai lavorando a un nuovo romanzo? Posso provare a estorcerti qualche anticipazione?
Sì. Come ti anticipavo uscirà a marzo, parlerà di atletica, ma non solo. Uno dei temi principali sarà il mancato riconoscimento dei diritti delle coppie di fatto, etero e gay.
Grazie per il tempo che hai dedicato alla rivista Fralerighe… Un grosso in bocca al lupo per la tua vita e per la tua carriera!
Paolo Foschi e Simona Tassara - da Fralerighe Crime n. 6