Dopo aver conosciuto la sorella Sofia, oggi intervistiamo Rebecca, che ha scritto un libro ambientato nel periodo nazista, affrontando una terribile strage che la nostra storia, speriamo, non dimenticherà mai.
Intervista a Rebecca Domino, autrice de “La mia amica ebrea”
Ciao Rebecca, benvenuta nel nostro Blog! Toglici una curiosità: tu e Sofia siete sorelle?
Raccontaci qualche cosa di te che possa farti conoscere al nostro pubblico.
Ciao! Grazie mille per ospitarmi nel tuo Blog! Sì, Sofia ed io siamo sorelle e abbiamo la fortuna di avere in comune la passione per la scrittura. Per quanto mi riguarda, sono una ragazza toscana, ho ventinove anni, mi piace scrivere, leggere e viaggiare. Ho viaggiato un bel po’ e ho vissuto a Londra per un anno, ma poi sono tornata qui in Italia. Mi definisco sicura di me, allegra, semplice e molto determinata.
Josepha e Rina e un’amicizia indissolubile. Josepha è però ariana e Rina è ebrea. Quando comincia il periodo del nazismo, il loro legame è messo in discussione. Quanto sarà messo alla prova?
Josepha e Rina, le due protagoniste del mio romanzo, non sono amiche da prima dell’inizio del periodo nazista. Josepha frequentava la scuola, dove pian piano ha visto “sparire nel niente” le sue compagne ebree, ma non conosceva Rina. La storia è ambientata nell’Amburgo del 1943, Josepha ha quindici anni quindi è nata nel 1928. Allora, Hitler non era potente come durante la Seconda Guerra Mondiale ma stava già facendo le sue mosse per ottenere il potere assoluto. Josepha è cresciuta con la propaganda di Hitler, che voleva indottrinare principalmente i giovani. Lei è ariana e, pur non facendo parte della Gioventù Hitleriana (di cui invece fa parte suo fratello maggiore Ralf), è assolutamente convinta che Hitler dica la verità, che gli ebrei siano inferiori a loro e che la “razza ariana” sia superiore a tutte le altre; pensa che la sua nazione sia infallibile e che vincerà sicuramente la guerra. A volte, Josepha ha dei dubbi riguardo a quello che legge in merito agli ebrei, ma sa benissimo che non conviene dubitare ad alta voce delle parole del Führer, e, dato che pensa che Hitler abbia sempre ragione, la protagonista del romanzo tiene quei pensieri per sé. La sua vita cambia quando suo padre decide di nascondere nella loro soffitta una famiglia di ebrei, formata da madre e due figli. Una di loro è Rina, coetanea di Josepha, ma ebrea. La ragazzina è in fuga dai nazisti da anni, suo padre è già stato deportato, un fratello e una sorella sono lontani e lei, suo fratello maggiore Uriel e la loro madre sono disperati. All’inizio Josepha prova semplicemente disgusto e odio per gli ebrei che è costretta ad avere in casa, anche perché sa benissimo cosa succede ai tedeschi che vengono scoperti ad aiutarli e non vuole correre dei rischi per loro; pian piano però – grazie anche all’aiuto di suo padre, che non è mai stato convinto delle parole di Hitler – Josepha conosce più approfonditamente Rina. Fra le due ragazzine nasce una delicata amicizia che le unisce, nonostante per il mondo esterno debbano essere per forza diverse. Josepha continua a crescere, è in quell’età in cui vive il passaggio dall’infanzia alla gioventù, comincia a provare interesse per i ragazzi e ha un po’ di paura ad affrontare i cambiamenti nella sua vita, così si confida con Rina, che ai suoi occhi vive “protetta” nella soffitta, dove la vita vera non può arrivare; Rina, dall’altro lato, brama la vita, vuole tornare a correre per le strade, vuole ricongiungersi al resto della sua famiglia, vuole tornare a studiare e ottenere tutti i diritti che ha perso perché ebrea… Sicuramente il loro legame sarà messo duramente alla prova, principalmente perché Josepha ha bisogno di tempo per cancellare dalla sua mente tutte quelle parole contro gli ebrei che ha sentito da chiunque: da Hitler, dalla famiglia, dai vicini di casa, dagli insegnanti, dalle sue amiche di sempre… ma quando Josepha perderà la casa e si ritroverà a lottare per la sua stessa sopravvivenza in un Amburgo gravemente ferita, la ragazzina capisce che Rina può contare solamente su di lei, che nessun altro può aiutarla a sfuggire alla Gestapo e alla sorte che sembra voler colpire tutta la sua gente. E Josepha decide di mettersi in gioco, di rischiare il tutto per tutto, per salvare la sua amica ebrea.
Nella tua storia si comprende che alcune persone aiutarono gli ebrei a fuggire, a nascondersi dai nazisti. Credi che questo sia realmente accaduto nella storia? Se tu fossi stata nei panni di Josepha, avresti aiutato il più possibile la tua amica ebrea?
Sì, sicuramente ci sono state delle persone non – ebree che hanno aiutato gli ebrei durante il nazismo, e ho trovato delle testimonianze alle quali mi sono ispirata per alcuni passaggi del mio romanzo. Quando ho avuto l’idea per “La mia amica ebrea” mi sono chiesta proprio che cosa volesse dire crescere nella Germania nazista, dalla parte “del giusto” mentre moltissime persone ebree soffrivano sotto il volere dei nazisti. Naturalmente, se avessi avuto un legame profondo con un’altra ragazza – come Josepha l’ha con Rina – avrei fatto di tutto per aiutarla. Non so dire fin dove mi sarei spinta: dobbiamo ricordare che, se noi oggi sappiamo moltissime informazioni riguardo all’Olocausto, allora avveniva tutto giorno dopo giorno e la maggior parte dei tedeschi sapeva poco o niente sui campi di concentramento e su cosa succedeva alla maggior parte degli ebrei. Penso anche che sia impossibile dare una risposta totalmente sincera a una domanda così seria perché non ho vissuto quell’esperienza sulla mia pelle; quello che sto cercando di dire è che sicuramente non avrei creduto ciecamente alle parole di Hitler. Sono una persona che pensa con la propria testa e sono in disaccordo con quello che dice la maggior parte della gente anche al giorno d’oggi, un po’ su tutti gli argomenti; analizzo le cose per conto mio e poi decido quello che è giusto o sbagliato in base ai miei parametri e valori di moralità. Di sicuro, mi sarei posta certe domande che ho fatto uscire dalla bocca di Josepha, ad esempio: com’è possibile che un solo ebreo possa essere così pericoloso da far del male a un’intera città? (come sostenevano dei libri di propaganda). Penso che, se non avessi avuto un’amica ebrea, sarei stata in disaccordo con Hitler ma senza dirlo in giro, perché per una cosa del genere si poteva morire in un secondo, o essere deportati, ma se avessi avuto un’amica come Rina, sicuramente avrei fatto di tutto per aiutarla, probabilmente anche perché sarebbe stato impossibile immaginare le conseguenze di tale scelta, specialmente se avessi avuto l’età di Josepha.
Affronti il periodo nazista come se conoscessi molto bene ciò di cui stai parlando. Hai fatto delle letture? Come ti sei preparata?
Sì, per scrivere il mio romanzo mi sono documentata molto. Ho usato Internet per quanto riguarda la ricerca di testimonianze sulla vita ad Amburgo nel 1943 e sugli ariani che aiutarono degli ebrei. Poi ho cercato informazioni sul nazismo in generale, sull’ascesa di Hitler al potere, sulla vita per gli ebrei che abitavano in Germania… e in quel caso ho adoperato sia la rete sia i libri. Allo stesso modo, visto che abito in un paesino in cui conosco un po’ tutti, ho ascoltato anche le storie delle mie vicine di casa, che sono tutte donne anziane e hanno ricordi della guerra. Naturalmente non ho utilizzato quelle testimonianze per il romanzo, perché la vita ad Amburgo nel 1943 era molto diversa rispetto a quella in un paesino sperduto nella campagna toscana, ma è stato interessante ascoltare i loro racconti e consiglio a tutti i giovani di parlare con gli anziani che conoscono, perché sono gli ultimi sopravvissuti della Seconda Guerra Mondiale e penso che sia fondamentale sentire la Storia dalle bocche di chi l’ha vista e vissuta.
Quale vicenda ti ha colpito di più nel tuo romanzo? Ti sei commossa quando hai scritto “La mia amica ebrea”?
Non c’è una parte del mio romanzo che prediligo rispetto alle altre, ma ci sono varie scene che mi sono rimaste nel cuore, anche se per motivi diversi fra loro. Una è quando Josepha, ormai amica di Rina, le propone di scendere dalla soffitta. I genitori e il fratello della protagonista sono usciti ma entrambe sanno che cosa significa far scendere un’ebrea, specialmente in pieno giorno: Josepha chiude tutte le tende e accompagna la sua amica sino alla porta sul retro, che da’ su un giardinetto. Rina rimane in piedi nel vano della porta. Sono anni che si nasconde nelle soffitte, anni che vede il cielo e il sole soltanto attraverso il vetro di una finestra, che non si ferma per un istante a godersi l’aria calda dell’estate. E lo fa con la sua migliore amica, un’ariana, al suo fianco. È una scena che mi da’ sempre i brividi per il messaggio che porta e allo stesso tempo mi angoscia per come le due ragazzine – che non vogliono fare niente di male – siano costrette a stare sul chi vive, perché sanno benissimo che cosa succederebbe se qualcuno notasse un’ebrea nella casa di una famiglia ariana. Qualche giorno fa inoltre mi è capitato di rileggere alcune pagini iniziali del romanzo, e sono rimasta colpita anche da quelle: si fa presto a etichettare Rina come la “poverina” della situazione, perché è ebrea durante il nazismo, mentre Josepha è ariana e quindi, se non sgarra, può vivere tranquillamente (tranquillamente come può permetterlo una guerra, ovviamente). Ebbene, leggendo la prima cinquantina di pagine del romanzo, ho provato pena per Josepha: è cresciuta senza poter usare la sua testa, neanche suo padre ha potuto insegnarle a farlo, perché sarebbe pericoloso. Hitler domina su tutti, la Seconda Guerra Mondiale imperversa e non risparmia neanche gli ariani. Josepha vive con la paura di morire. È un personaggio la cui vita, apparentemente priva di problemi, è in realtà carica di angosce e preoccupazioni. No, non mi sono commossa scrivendo il romanzo, ma ammetto che ogni volta in cui ne rileggo dei passaggi sento dei brividi lungo la schiena. È un libro cui tengo molto, è una storia che fa piangere e sorridere nella sua tenerezza, specialmente perché raccontata in prima persona da una ragazzina di soli quindici anni che si ritrova ad affrontare delle situazioni più grandi di lei e a compiere delle scelte le cui conseguenze cambieranno le vite delle persone cui vuole bene. La sua voce innocente ci chiede com’è possibile che le differenze fra esseri umani non siano usate per arricchirci a vicenda ma come arma per le derisioni, la violenza e il bullismo. Sono molto affezionata sia a Josepha sia a Rina e so che “La mia amica ebrea” rimarrà per sempre nel mio cuore.
Quale messaggio vorresti mandare ai nostri lettori?
Ho scritto questo romanzo con uno scopo: raccontare il nazismo dal punto di vista di una giovane ariana, una persona comune, una ragazza imperfetta come lo siamo tutti. Il libro ha vari messaggi: la speranza, il voler e dover ricordare gli orrori del nazismo e la bellissima, sincera amicizia che nasce fra una ragazzina ariana e un’ebrea durante la Seconda Guerra Mondiale.
Infatti spero che l’amicizia fra Josepha e Rina sia d’esempio alle lettrici e ai lettori, specialmente a quelli più giovani. Purtroppo oggigiorno ci sono numerosi casi di violenza sia fisica sia verbale nei confronti di chi viene considerato “diverso”, che sfociano da una paura di ciò che non corrisponde alla massa. Basta pensare ai casi di bullismo sia nelle scuole sia altrove. Il messaggio principale del romanzo è che l’amicizia, così come l’amore e come ogni altro sentimento puro, può e deve superare tutte le barriere create dalla società umana. Siamo nati tutti uguali, siamo tutti prodotti della stessa natura: non sappiamo che cosa si cela dietro al mistero del mondo e della vita, quello che abbiamo davanti agli occhi come dato di fatto è che siamo tutti prodotti di qualcosa o qualcuno più grande di noi. Non importa il colore della pelle, il posto in cui siamo nati, la preferenza sessuale, le imperfezioni fisiche e/o caratteriali; non ci sono giusti o sbagliati e la diversità dovrebbe solo arricchire, non essere il pretesto per l’odio e la violenza. Sulla stessa scia spero che, attraverso il romanzo, le lettrici – specialmente le più giovani – capiscano che è ognuno di noi è importante; è troppo comodo lavarci le mani di chi sta peggio di noi. Non dobbiamo pensare solo a chi sta davvero male, ma anche alla vicina di casa anziana che è sempre da sola, alla bambina il cui papà ha perso il lavoro e che non ha niente con cui giocare… non giriamo la testa dall’altra parte, aiutiamoci l’un l’altro. Questo è il messaggio centrale de “La mia amica ebrea”: non abbiate paura del diverso, riempite i vostri cuori di amicizia e di vita.
Cosa ti ha spinto a trattare il periodo nazista?
Nonostante al mondo ci siano state altre tragedie ( e molte siano ancora in corso), quella dell’Olocausto è la più conosciuta fra tutte, di conseguenza ne sono sempre stata molto toccata. Quando abitavo a Londra sono andata più di una volta all’Imperial War Museum dove c’è un settore dedicato appunto all’Olocausto. Sono sempre stata colpita da come un solo uomo sia riuscito a creare un “impero del male” così ben funzionante ed è solo quando ho cominciato a fare le ricerche per il romanzo che ho capito meglio come si è mosso Hitler, in che modo è riuscito a conquistare il voto di sempre più tedeschi, come il suo partito sia riuscito a diventare, da piccolo e a volte deriso, quello più importante, l’unico dominatore della Germania. Si parla spesso degli ebrei in relazione all’Olocausto, com’è giusto che sia, ma penso di avere una tendenza (al momento inspiegabile) per raccontare il lato meno conosciuto di vicende famose, per avere protagoniste che a prima vista possono sembrare sbagliate, perfino cattive, e quella parte di me mi ha spinto a chiedermi che cosa volesse dire nascere nella Germania nazista, ma non in una famiglia ebrea, bensì in un’ariana. Con la propaganda di Hitler ovunque, qual era il prezzo da pagare per seguire la propria coscienza? Quante persone sceglievano di non avere una coscienza? Adesso sappiamo moltissimo sui campi di concentramento e sullo sterminio degli ebrei, ma allora i tedeschi ne sapevano ben poco e penso che nessuna mente potesse concepire degli orrori del genere. Ho voluto mettermi nei panni di una ragazzina figlia di quella che credeva essere una nazione invincibile, vedere attraverso i suoi occhi i cambiamenti e le incertezze e ho voluto raccontare un Olocausto di cui, secondo me, si parla sempre troppo poco.
Pensi che la strage compiuta dai nazisti sia abbastanza ricordata nella nostra società?
Penso che, fra i genocidi successi nel mondo, quello degli ebrei da parte dei nazisti sia il più ricordato e, di conseguenza, la strage dei nazisti sia quella cui si pensa più spesso quando parliamo di cattiveria umana in quest’ambito. Allo stesso modo penso che non potremo mai fare abbastanza per ricordare: naturalmente c’è la “Giornata della Memoria” che è importantissima, ma non basta un giorno all’anno per non dimenticare gli orrori di un passato non molto lontano. È importante ricordare in ogni modo sia documentandosi in prima persona (ad esempio leggendo libri sull’argomento, guardando film, ecc) sia parlandone con altre persone, specialmente se si ha la fortuna di conoscere un sopravvissuto (non è il mio caso). Con questo non voglio dire che dovremo vivere circondati dalla tristezza per quello che è accaduto durante il nazismo, ma dovremo ricordare quello che hanno dovuto patire quelle persone e godere dei benefici che abbiamo adesso. Sento tante persone che oggigiorno si lamentano per un nonnulla; penso che dovrebbero “ridimensionarsi” e rendersi conto che, nonostante l’Italia sia afflitta dalla crisi e ognuno abbia i propri problemi, non viviamo nel terrore della prossima mossa di un uomo come Hitler, non dobbiamo nasconderci da altri esseri umani che si pensano sovrani del mondo e possono ucciderci o deportarci in un istante. Più passeranno gli anni, più sarà semplice correre il rischio di dimenticare l’Olocausto: navigando su Internet per la promozione del libro mi sono imbattuta in articoli che parlavano dei siti antisemiti che sono attivi tutt’oggi e mi chiedo come sia possibile che ci siano ancora delle persone che pensano che migliaia di loro simili valgano meno di zero. Ricordare è l’unico modo perché le sofferenze e le morti di quelle persone non siano state vane. I giovani sono il futuro, devono ricordare sin da adesso perché diventino adulti responsabili e possano, un giorno, insegnare anche ai loro figli e nipoti a non dimenticare un passato orrendo che non deve ripetersi; perché la catena possa proseguire e le storie di chi ha vissuto il nazismo in prima persona riescano ad arrivare alle generazioni future e a evitare la ripetizione di una simile barbarie.
Cosa ne pensi del negazionismo?
Penso che sia impossibile credere al negazionismo, essere convinti che l’Olocausto non sia mai esistito. Il negazionismo sostiene, fra le altre cose, che la Shoa sia semplicemente una bugia. E mi chiedo, com’è possibile anche solo prendere in considerazione queste argomentazioni quando ci sono le testimonianze – sia scritte sia orali – di coloro che sono sopravvissuti ai campi di concentramento e che possono confermare l’atrocità della “vita” in un lager e gli orrori delle camere a gas? I negazionisti non negano che degli ebrei siano morti durante la Seconda Guerra Mondiale ma sostengono che durante i conflitti è naturale mettere in conto delle morti e ritengono che la Germania non abbia mai dato il via a un piano atto allo sterminio degli ebrei. Onestamente, mi chiedo come sia possibile che queste persone ottengano articoli sui giornali o sui siti Internet e altre attenzioni; secondo me, data l’assurdità di quello che sostengono e le prove che noi tutti conosciamo (le testimonianze dei sopravvissuti, i lager che tutt’oggi sono visitabili dal pubblico…), sarebbe ottimale ignorare i negazionisti in modo che nessuno debba ascoltare o leggere le loro parole. Dobbiamo ricordare l’Olocausto proprio perché è successo davvero. Delle persone hanno deciso di sterminare altri loro simili. Se la razza umana è capace di grandi atti di coraggio e nobiltà, è anche capace di orrori del genere e dobbiamo ricordarlo e prenderne atto.
Come stai promuovendo il tuo romanzo? Hai qualche indirizzo che i nostri lettori possono seguire?
Dato che sono un’autrice indipendente (per scelta, visto che voglio controllare ogni aspetto dei miei romanzi) mi sono rivolta principalmente ai blog letterari, ai siti Internet e ai giornali online. Sto ancora continuando la promozione e sono sempre alla ricerca di persone che siano interessate a leggere e recensire il mio romanzo e a presentarlo nei loro siti/blog. Onestamente sono rimasta piacevolmente sorpresa dall’accoglienza che il pubblico ha riservato al mio romanzo; dato che molte persone, specialmente giovani, leggono tutt’altro genere di libri mi aspettavo meno interesse invece ho scoperto con piacere che anche ragazze molto giovani, che di solito leggono fantasy, paranormal romance, ecc hanno voluto leggere il mio romanzo e sono felice che lo abbiano apprezzato. Allo stesso modo, cerco di promuoverlo anche fra persone che sono interessate in particolare all’Olocausto o che si occupano di siti Internet e blog della comunità ebraica. Se volete essere aggiornati sulle mie attività e se volete ospitarmi nel vostro sito/blog potete visitare il mio blog http://rebeccadomino.blogspot.it dove troverete le segnalazioni, le recensioni, gli articoli inerenti al mio romanzo, i miei contatti e i progetti futuri.
Hai dei progetti futuri?
Sì, cerco di scrivere ogni giorno e quindi ho sempre dei progetti per la testa! Allo stesso modo seleziono molto accuratamente i romanzi che voglio pubblicare e sono molto emozionata per il mio prossimo libro, che uscirà a giugno di quest’anno, e che racconta la storia di una ragazza realmente esistita; una storia che secondo me è poco conosciuta e che merita di essere raccontata. Per ora non posso dire altro al riguardo ma per me è stata una sfida scrivere di una persona realmente esistita e non vedo l’ora di poter parlare meglio del mio prossimo romanzo!
Grazie, Rebecca, per aver partecipato alla nostra intervista. Ti auguriamo un buon proseguimento!
Grazie a voi per avermi ospitato! Buon proseguimento anche al vostro blog e un saluto a tutti i lettori!
Sole e Luna Blog