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Il giallo e il noir sono stati per anni un tabù per gli scrittori italiani. Fino agli anni Ottanta si facevano semmai i nomi di Scerbanenco e forse di Attilio Veraldi che, con La mazzetta, Uomo di conseguenza, Il vomerese e gli altri suoi romanzi, si era fatto conoscere negli anni Settanta. Poi c’è stata l’esplosione vera e propria. E, da allora, la produzione italiana di questi generi si è sviluppata in maniera esponenziale. Qual è stata, secondo te, la molla che ha trasformato il panorama letterario italiano?Il noir è presente in Italia fin dal 1930 sotto due forme: una, la nascita del giallo Mondadori cosi chiamato proprio per la sua copertina di colore giallo, poi si sono aggiunte anche le collane segretissimo e mistery.
Si può parlare di un modo, di uno stile italiano nella creazione della letteratura gialla e noir?Certamente sì. Esiste, a questo proposito, proprio una scuola Milanese del noir italiano che ha avuto come capostipite Augusto De Angelis nel 1931 poi, a seguire, Giorgio Scerbanenco negli anni ’50 e ’60 e per ultimo, ancora vivente ma molto malato, Renato Olivieri.
Spesso si dice che il giallo e il noir abbiano così tanta fortuna perché sarebbero i generi più adatti a rappresentare la realtà attuale. Che ne pensi?Sono pienamente d’accordo. Infatti il noir classico ultimamente si è diviso in noir sociale e noir di inchiesta, vedi ad esempio la bellissima collana di Lega Ambiente VerdeNero e Massimo Carlotto con i Mama Sabot, per non parlare di Giuseppe Genna e anche tanti altri.
Ha ancora un senso l’impostazione classica, alla Agatha Christie per intenderci, o per l’autore è necessario ormai aprirsi a soluzioni e a stilemi nuovi?No, secondo me ha ancora un senso, perché molti scrittori si rifanno a questo genere nella stesura delle loro prime opere.
Tu abiti, come me, in una zona di confine. In quella terra dove non si sa bene dove finisca la Lombardia e dove incominci il Piemonte. È importante, per un autore, fare riferimento alla sua terra, ai suoi luoghi?Moltissimo, prendiamo ad esempio Valerio Varesi con Parma, Bruno Morchio con Genova, come Maria Masella Cristina Rava e Maria Teresa Valle, tutte scrittrici di pura ambientazione ligure. Il legame con i luoghi che ci circondano e con le ambientazioni è secondo me essenziale per qualsiasi scrittore.
Tempo fa si è aperto un dibattito, animato da Raul Montanari, sul postnoir, cioè sul fatto che, ormai, molte narrazioni, anche non di genere, fanno riferimento ad atmosfere e ad ambientazioni caratteristiche del giallo e del noir. È una ulteriore legittimazione, oppure sei convinto che ogni genere debba mantenere ben definiti i propri confini?Io sono per un genere di scrittura considerato di nicchia, non amo molto i minestroni e come neo direttore editoriale diffido di chi mi dice che ha scritto un libro TRA noir fantasy e mistery. Ognuno deve avere il suo ben determinato spazio e ruolo.
Sei il direttore editoriale della sezione noir della casa editrice ACAR. Ci parli di questa tua esperienza e di questo editore?Io devo tutto all’incontro con Amos Cartabia che ha creduto nelle mie capacità e mi ha proposto questa avventura che ho subito accettato. Il mio compito è quello di selezionare i manoscritti proposti dagli scrittori di noir e thriller e devo dire che è un lavoro abbastanza impegnativo, ma molto interessante sia dal punto di vista della lettura che degli incontri.
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