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Intervista a Roberto Carboni

Creato il 26 agosto 2015 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

Roberto Carboni
AT: 1) Ciao Roberto, benvenuto su Rivista Fralerighe.

Per te cosa vuol dire scrivere noir?
Cosa vuol dire scrivere del lato oscuro?

RC: Scrivere Noir significa scrivere qualcosa di de-genere. Cioè privo di un genere, in quanto il Noir è l’abisso umano e gli abissi non hanno riferimenti se non l’abisso stesso. De-genere perché la storia non va verso la luce ma segue l’entropia, il secondo principio della termodinamica, per cui tutto de-genera. De-grada. Annichilisce.

Scrivere del lato oscuro invece è un viaggio dentro me stesso, alla ricerca di luoghi spaventosi e incontaminati. Perciò autentici, ancestrali. Alla ricerca dell’Inconscio Collettivo, degli archetipi. Del buio, certo, ma tenendo sempre presente che ogni ombra necessita di un corpo e di un punto luce. Ecco, io descrivo essenzialmente l’ombra, senza dimenticare da dove proviene.

Comunque, con il minor numero di parole possibile, scrivere Noir per me significa essere me stesso.

AT: 2) Qual è il tuo rapporto con la psichiatria? Hai fatto ricerche specifiche per questo romanzo oppure questa branca della medicina ti appassiona da tempo? Cosa ti affascina di questo campo di studi?

RC: Qualsiasi attività che riguarda l’uomo mi interessa. Amo l’approccio modesto degli antropologi, che studiano senza giudicare. È proprio ciò che faccio nei miei romanzi, stendo storie prive di giudizio. Non spiego al lettore quello che deve pensare. Non dico: questo è buono questo è cattivo. Le mie storie sono a-morali, nel senso che non sono immorali, ma solo prive di giudizio. Il giudizio lo metterà il lettore. Io credo nel lettore, nella sua capacità di specchiarsi all’interno della storia. Ecco, lo studio dell’uomo è proprio questo, capire cosa c’è dentro di noi. Scandagliare il buio con una candela. In questo modo il lettore si troverà davanti non personaggi di un romanzo, ma esseri umani veri e propri, non stereotipati. Con i quali potrà confrontarsi. E se vuole potrà anche giudicarli.

AT: 3) Qualsiasi attività… anche l’esoterismo? Lo nomini spesso nel romanzo, almeno fino a un certo punto. Hai approfondito queste filosofie, anche da un punto di vista esterno?

RC: L’esoterismo è una componente molto importante della psiche umana. Alcune correnti di pensiero psicoanalitiche lo contemplano, come appunto il pensiero Junghiano. E poi la sua simbologia è estremamente affascinante, basti pensare all’alchimia, o ai lavori sui tarocchi di Oswald Wirth.
Detto questo, il romanzo doveva essere un concentrato di pressioni, angosce e ombre. Intendevo inquinare la ragione del lettore fino a fare in modo che la sua volontà si arrendesse alla storia. Che si lasciasse andare. Hai presente quando un prestigiatore incomincia a fare apparire carte e colombe, e tu all’inizio cerchi di capire da dove le tira fuori. Poi se è davvero bravo smetti di cercare di capire, e ti abbandoni a lui. Ecco, doveva accadere questo.
Per certi versi questo romanzo è un richiamo all’horror. Il luogo, il palazzo. Le sette. Gli invasati. Gli spiritisti. I capo scuola maligni… solo che il soprannaturale non si manifesta veramente, forse c’è o forse no. Esattamente come nella vita. L’interrogativo è più inquietante della risposta.

AT: 4) A questo punto direi di completare la galleria. Non che sette, invasati, spiritisti e maligni abbiano qualcosa a che fare con l’esoterismo o la psichiatria, sia ben chiaro… Su questi temi che mi dici? Li hai approfonditi?

RC: Almeno dal punto di vista che riguarda la creazione delle mie storie, ci sono relazioni. La psicologia interpreta il pensiero magico, etichettandolo come disturbo schizotipico. Quindi pone un giudizio abbastanza netto. Al contrario l’antropologia lo studia con modestia, come ha fatto Castaneda, per esempio.
Approfondito è una parola troppo importante per un semplice romanziere. Diciamo che ho infilato un dito e ne ho saggiato la consistenza. Ho visto la punta dell’iceberg, con la consapevolezza dell’enormità di quello che sta sotto la superficie.

psycho screaming

AT: 5) Passiamo oltre. Occupiamoci di Federica. Perché hai scelto una protagonista? Ha a che fare con il maggior senso di minaccia fisica, di fragilità, legato al fisico di una donna che ci descrivi come minuta? O c’è dell’altro?

RC: Sì, la donna è più esposta. Questo è un aspetto importante e anche, purtroppo, attuale. Ma c’è dell’altro. Me ne sono accorto durante la gravidanza di mia moglie. La donna è anche più tenace, forte, ostinata. Soffre, stringe i denti ma non molla. Federica è così, è un personaggio complesso e pieno di problemi. Che però non si è mai arreso né alla vita né alle malattia. Ha combattuto e ha continuato a combattere. La rispetto molto.

AT: 6) Domanda forse scontata, ma d’obbligo. Hai mai ricevuto strani messaggi da qualche lettore?

RC: Ricevuti, sì. Da qualche lettore, capita. Il peggio era quando, durante i 17 anni alla guida del taxi, li ricevevo dallo sconosciuto alle mie spalle. Magari la notte, senza un’anima in giro. E’ tutto dentro di me, lo custodisco e un po’ tutt’ora ci gioco. La vita è bella e stimolante, basta mantenere il giusto punto di vista.

AT: 7) Ecco, parliamo del tuo ex lavoro. Quanto ti è servito per raccontare un certo tipo di storie? Ti manca mai?

RC: Il sedile posteriore è un centrifugato schizofrenico di umanità. Carichi la suora poi lo spacciatore, poi il professore, poi il criminale…
Se fai la notte carichi molti ubriachi, tossici, spacciatori e animali selvatici in genere. Persone per le quali lasciarti a terra con una coltellata o lasciarti 5 euro di mancia, sono la stessa cosa. Dipende da te. Possono chiederti o proporti qualsiasi cosa, davvero davvero qualsiasi.
Possono parlarti di Dio, del diavolo, della droga, di qualcosa di illecito. E vogliono che li ascolti. Anche se tu non sai se sono cose vere o solo inventate. La notte è uno strano luogo per fare il tassista. Io ho assorbito e adesso sono un isotopo radioattivo. Trasmetto e contamino. Tutto qua.

bologna notte portico

AT: 8) La notte. Bologna. Ne parliamo? Carlo Lucarelli e tanti altri scrittori della tua città pongono sempre un certo accento sul lato oscuro di Bologna. Come mai, secondo te? C’è bisogno di ridimensionare lo stereotipo della città godereccia e accogliente, o c’è dell’altro?

RC: No è proprio così. Bologna ha una doppia natura. Quella diurna e quella notturna. Di giorno la conoscono tutti. Cultura, cucina, belle piazze, architettura accogliente. La notte è l’opposto. E’ inquietante, i portici diventano anfratti bui, le luci insufficienti. È come stare dentro un castello, il passato ti respira addosso e ti inquieta. Questo è proprio il suo lato Noir.

AT: 9) Ti va di raccontare un’esperienza personale legata alla Bologna notturna? Magari in veste di tassista…

RC: Ricordo un transessuale, completamente devastato dall’Aids. Quasi senza denti e senza carne, le macchie, la tosse… eppure era una delle persone più sensibili, intelligenti e acculturate che io abbia mai conosciuto. Aveva letto un milione di libri più di me e argomentava in maniera tale che era impossibile non starlo ad ascoltare. Quando avevo la fortuna di incrociarlo, parlavamo per ore.

AT: 10) Passiamo a un altro luogo citato nel tuo romanzo: la Sicilia. Sei stato in quei posti di cui parlava Federica? Sembravano inquietanti…

RC: Sì ho visitato Palermo e un pezzo del sud della Sicilia, in barca a vela nel 2007. Davvero un’esperienza magnifica. Ogni secondo è stato uno spunto, una meditazione. La Sicilia è una terra incredibile, che adoro. Tutt’ora vado spesso a Lampedusa.
Riguardo l’inquietudine, quella è dentro di me e ho imparato a trasmetterla.

palermo notte

AT: 11) In conclusione, una domanda che potrebbe interessare agli aspiranti scrittori che ci seguono: hai pubblicato sette romanzi, tieni corsi di scrittura creativa, insomma, hai una certa esperienza. Il furto di manoscritti – fenomeno menzionato nel tuo romanzo – è un problema reale o una fobia irrazionale dell’aspirante autore convinto di aver scritto la nuova Perla della letteratura mondiale?

RC: Non ho mai sentito di un furto di manoscritto. Anche nel mio romanzo in effetti non si tratta di un vero e proprio furto, ma di una manovra complessa. E la risposta è piuttosto semplice, me l’ha detta la mia agente: perché dovrebbero rubare il manoscritto a un autore emergente, quando possono comperarglielo per due soldi? E per contro, perché dovrebbero rubare un manoscritto a un autore famoso, quando con la pubblicazione possono guadagnare centinaia di migliaia di euro? Poi ci sono le linee grigie. Io per stare sul sicuro deposito sempre le mie opere. Si sa mai che non spunti un Ammiratore…

AT: 12) L’intervista è finita, andate in pace.
Per caso ti va di dare un consiglio agli aspiranti autori?

RC: I consigli li danno i vecchi saggi. Io sono solo un bambino che scrive come un adulto. Gli auguro di divertirsi e al contempo di avere la fortuna e l’umiltà di far divertire i lettori.
E come sempre, lunga vita ai sognatori!

Grazie Aniello, il meglio pure a te.

AT: Grazie a te, alla prossima!

Roberto Carboni e Aniello Troiano



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